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Dalla sicurezza del posto di lavoro alla sicurezza del lavoratore

Mercato, welfare e solidarietà: la ricerca di un equilibrio possibile Santini: «Due livelli contrattuali: uno generale che difenda il potere d'acquisto dei salari, ed uno aziendale che premi la produttività»

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C'è un termine, flex-security, che vorrebbe farci credere che flessibilità nel lavoro e sicurezza sociale possono coesistere. Ma quando si parla di mercato, welfare e solidarietà, come si è fatto oggi all'ultimo Forum del Festival con Cipolletta, monsignor Crepaldi, l'Ad dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (ex Sviluppo Italia) Domenico Arcuri e Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl (doveva esserci anche l'ex ministro delle politiche sociali Paolo Ferrero, fermato da un incidente stradale, fortunatamente senza conseguenze), una distinzione va fatta subito: se il mercato è mondiale (globale), i sistemi di sicurezza sono locali.
«Al centro della questione - afferma subito Cipolletta aprendo il confronto - non è più la sicurezza del posto di lavoro ma la sicurezza dell'individuo, del lavoratore.»

Vista dal presidente delle Ferrovie dello Stato, che ha introdotto il Forum, la flessibilità significa ad esempio «far andare i treni con un solo macchinista, come avviene in tutti i paesi del mondo, anziché due come avviene in Italia per vincolo contrattuale.»
E proprio sulla necessità di superare l'attuale sistema contrattualistico italiano si è sviluppato, in particolare, il confronto alla Sala Depero.

Cipolletta.
«Tra mercato e solidarietà, la verità sta nel mezzo: ci vuole l'uno e ci vuole l'altra. È importante dichiararsi, schierarsi. Ci sono formule di sicurezza molto aziendali. La cassa integrazione, ad esempio: perché non potrebbe essere privatizzata? Si abolirebbe un po' del cuneo fiscale". I contratti: "Ma perché in tutti i paesi del mondo i contratti scadono anno dopo anno, mentre solo in Italia i sindacati vogliono allungare i termini?»
Cipolletta ha parlato anche del rapporto pubblico/privato.
«È nel pubblico che c'è un grande problema di flessibilità. Non dico che nel pubblico ci sono i fannulloni, la grande maggioranza lavora molto più di quanto guadagna.»

E le Ferrovie?
«Mi auguro che arrivi il privato, ma non vorrei fare la fine di Alitalia. Il sindacato è contento di come sono andate le cose con la compagnia aerea di bandiera? E' stato intelligente far fallire quell'accordo? E' in gioco l'efficienza del Paese, dei grandi servizi, ferrovie, scuola, sanità, che potrebbero essere migliori se consentissimo alle persone che valgono di poter guadagnare anche di più.»

Altra questione, la solidarietà.
«Se dobbiamo fare delle priorità nel mondo, di chi dobbiamo occuparci? A chi deve andare la solidarietà?»
A giocare di fioretto con Cipolletta ci ha pensato Arcuri, non prima però di aver risposto con una battuta a quanto detto ieri da Marchionne, ad della Fiat, a proposito dell'impossibilità di investire in Sicilia: «E' impossibile investire in Sicilia alle condizioni di Marchionne. Abbiamo lavorato a lungo lo scorso anno per garantire il raddoppio dello stabilimento di Termini Imerese. Certo gli strumenti della competitività italiana rispetto a quella offerta dai paesi dell'est non è soddisfacente, ma in Italia è complicato attrarre investimenti diretti esteri, per molto tempo l'Italia è stato un hard discount per le imprese che venivano a comprare le imprese di casa nostra. Il 66 % degli investimenti diretti effettuati nel 2007 sono andati in Lombardia, il 75 % in Lombardia e Piemonte. Centro e sud sono fuori da queste dinamiche.»

E di nuovo in risposta a Cipolletta, che ricordava come all'epoca del governo Dini venne chiamato a studiare come eliminare gli enti inutili residuo della Cassa per il Mezzogiorno e che si è chiesto «quand'è che non avremo più Sviluppo Italia ma un'Italia sviluppata», Arcuri ha avuto buon gioco nel dimostrare con i numeri che «Sviluppo Italia non c'è più: prima aveva 216 società controllate, oggi ci sono solo 9 consigli di amministrazione: abbiamo dato un contributo silenzioso al contenimento dei costi della politica. Sviluppo Italia dunque non c'è più, mentre l'Italia nel frattempo non si è sviluppata. Perché? Le ragioni sono tre, e si chiamano sicurezza, legalità, infrastrutture».

«La risorsa di cui oggi abbiamo scarsità è il tempo» ha concluso Arcuri.
«Organizzare politiche a sostegno dello sviluppo significa ridurre il tempo necessario a realizzarla. Le politiche a sostegno dello sviluppo erano caratterizzate sulla struttura dell'offerta, poco avevano a che fare con le caratteristiche della domanda, oggi bisogna privilegiare la domanda, chiederci come si possono rendere le regioni più accoglienti. Il target di tutto questo sono le nuove generazioni, ma spesso le scelte di ingresso sul mercato del lavoro dei cittadini sono condizionate dai debiti accumulati per ultimare il percorso di formazione. Per quanto ci riguarda, vogliamo uscire dai fortini di rendita e affrontare con coraggio, dalla parte del lavoro, della funzionalità e degli utenti, il rapporto positivo tra competizione e sicurezza. Avremo bisogno dell'aiuto di tutti, anche delle istituzioni.»

Per monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, quello che lui stesso definisce «il dicastero delle disgrazie», oggi occorre saper gestire non tanto le risposte ma coltivare le domande. Non cita il «ma anche» di Veltroni, monsignore, ma Giovanni Paolo II e la dottrina sociale della Chiesa, «che sotto sotto tutti sono convinti sia contro il mercato, mentre invece dice che il mercato è lo strumento più efficace per rispondere ai bisogni, sapendo però che il mercato è uno strumento, non un fine, giacché l'uomo non può essere oggetto di mercato, perché ci sono bisogni che il mercato non può soddisfare, perchè ci sono individui che non ce la fanno a stare nel mercato, perché ci sono beni che è bene rimangano di tutti, perché il mercato è una gara, finita la quale chi riparte di nuovo riparte avvantaggiato rispetto ad altri. Le regole esterne valgono sempre meno di quelle interiorizzate nella coscienza degli operatori. Più etica rende efficiente il mercato. I furbetti del quartiere lo truccano il mercato. Ma il mercato ha bisogno di un ambiente permeato di valori: dobbiamo recuperare, far funzionare il sistema economico italiano riempiendo il bicchiere dei beni immateriali, la famiglia, la scuola, l'educazione, la gioia di essere italiani, la speranza, la fiducia e la forza di credere in questo paese.»
La conflittualità?
«Il mercato funziona bene anche se c'è un po' di conflittualità. Non demonizzo i sindacati, che certo devono rinnovarsi.»

La verità sta nel mezzo? Per il segretario della Cisl, Santini, «mercato e welfare hanno senso nella misura in cui, nel divenire quotidiano, riescono a convivere. Abbiamo combattuto a lungo nella nostra storia affinché non ci sia solo il mercato, e dobbiamo ammettere che anche l'idea che possa esistere in astratto una sicurezza che prescinda dal collegarsi alle regole del mercato si è rivelata nella storia un'illusione, e dunque dobbiamo avere sempre la capacità di tenere legati questi due elementi. E' possibile che sul lavoro convivano? Sì, è possibile e necessario, ma la flessibilità, necessaria per il mercato, non deve diventare precarietà. Va costruita una flessibilità sostenibile in capo alle persone, la tutela del posto di lavoro dev'essere riconiugata nel mercato del lavoro, ricostruendo gli ammortizzatori sociali, estendendola anche alle fasce giovanili ed ai primi anni di lavoro
Santini ha poi espresso apertura sul tema della revisione del sistema contrattuale».

«Dev'essere riformato. Pare sia la volta buona, c'è un documento unitario dei sindacati, Marcegaglia ha fatto dichiarazioni importanti. Cosa vogliamo ottenere? Una cosa molto semplice: il contratto nazionale oggi tiene insieme troppe esigenze: far fronte al costo della vita, ridistribuire i redditi e i profitti, un miscuglio di obiettivi che ha appesantito i contratti. In attesa dei contratti annuali, pensiamo che sarebbe bene affidare a due diversi livelli di contrattazione due diversi obiettivi: a livello nazionale quello di far sì che i contratti collettivi ripristino, garantiscano, permettano la tutela del potere d'acquisto delle retribuzioni. L'altro elemento, collegare il salario alla produttività delle imprese, è più giusto affidarlo ad un livello di negoziazione più frammentata, per far sì che tale legame diventi più impegnativo, che richiede una corresponsabilità delle parti, un confronto partecipativo e collaborativo. Perché è vero che dobbiamo dare risposte all'esigenza delle imprese di essere più competitive, ma permettere anche che sia premiato l'impegno, il merito. Ci riusciremo? Mi auguro di sì, sono per un sistema di rapporti tra le parti dinamico e positivo, non più paralizzante.»

Rispondendo a Cipolletta sul caso Alitalia.
«Non ci piace la crisi di Alitalia, né l'andamento faticoso delle ferrovie, siamo totalmente disponibili a discuterne. C'è però anche un sindacalismo corporativistico e autonomo che ha una funzione anche distorsiva della dialettica tra le parti. Non è necessario azzerare tutto, ma si può semplificare molto. Anche le telecomunicazioni, come le Ferrovie ancora oggi, erano un settore in monopolio e quando venne liberalizzato nacque un nuovo contratto di settore, molto più elastico, che oggi sta accompagnando positivamente il settore. Semplificare la busta paga? Siamo d'accordo. Sull'incentivo alla produttività proposto dal governo con il decreto sugli straordinari siamo perplessi, abbiamo chiesto e ottenuto che fosse sperimentale, vedremo i prossimi sei mesi, noi vorremmo semplificare la norma: una parte del salario sia legata a quello che effettivamente viene realizzato nelle aziende, alla produttività, e meglio se questa parte viene agevolata da una tassazione più bassa. Si tratta di una "rivoluzione", il nostro è ancora un paese legato alla rendita, dobbiamo impegnarci tutti, sindacato, imprese, Stato, per quella tutela sociale che solo con un equo sviluppo sarà possibile garantire. Il sindacato, rinnovandosi, potrà essere esso stesso fattore di sviluppo.»

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