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Libia: l'offensiva contro Daesh e rischi di escalation Tripoli - Tobruk

I recenti sviluppi della guerra civile libica nell'analisi di Stefania Azzolina e Marco Di Liddo del Centro Studi Internazionali (CeSI)

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Intrappolata nel perdurante conflitto tra il governo Internazionalmente riconosciuto di Tripoli (propriamente detto Consiglio Presidenziale, CP1) e quello di Tobruk (formalmente Camera dei Rappresentanti, CR), ad agosto, la guerra civile libica non ha conosciuto significativi scossoni politici.
La profonda reticenza alla cooperazione e al compromesso mostrata da entrambi i contendenti, alimentata sia dalla lottizzazione delle principali cariche istituzionali nel futuro assetto politico nazionale sia dai conflitti tra tribù e milizie, potrebbe rendere decisamente complicata l’entrata in vigore degli accordi di Skhirat e prolungare i tempi del negoziato nei prossimi mesi.
Dunque, la nascita dell’autentico Governo di Unità Nazionale (GUN) è inevitabilmente legata alla fiducia di Tobruk al progetto del leader del CP Serraj, ad oggi ben lungi dall’essere concessa.
A riprova dell’attuale inamovibilità della Camera dei Rappresentanti può essere citata la consultazione del 23 agosto, quando la maggioranza dei parlamentari (61 su 101 presenti) non ha accordato la fiducia alla lista dei ministri proposta da Serraj, impedendo così la formazione del GUN.
Si tratta del secondo rifiuto che Tobruk oppone a Tripoli dopo quello dello scorso gennaio, nonostante nei mesi intercorsi tra le due votazioni il Consiglio Presidenziale abbia discretamente rafforzato la propria tenuta e sia riuscito ad ottenere il sostegno delle milizie tripoline e di Misurata e ad accreditarsi, almeno formalmente, come interlocutore legittimo agli occhi della Comunità Internazionale.
In ogni caso, occorre sottolineare come sulla volontà espressa da Tobruk pesi la mancata partecipazione al voto di tutti i parlamentari favorevoli al compromesso, ai quali è stato impedito di espletare il proprio dovere istituzionale con metodi violenti o dirette minacce alla loro incolumità.
 
Da quanto emerso sinora, pare che a neutralizzare il fronte pro-GUN siano state alcune milizie tribali della Cirenaica ed elementi dell’Esercito Nazionale Libico, la formazione para-militare agli ordini del Generale Khalifa Haftar.
Infatti, quest’ultimo è il leader del movimento contrario al Governo di Unità Nazionale, sia per ragioni di opportunità, legate al ruolo di prestigio e potere che egli vorrebbe ricoprire nel futuro Stato Libico e che al momento non gli viene garantito, sia per ragioni ideologiche, connesse alla profonda avversione verso la Fratellanza Musulmana e a tutto lo spettro dell’islamismo politico che tutt’ora, in misura differente, governano il Consiglio Presidenziale.
Appare possibile che, finché potrà usufruire dell’aperto appoggio egiziano ed emiratino, Haftar proseguirà la propria partita politica, sfruttando la forza militare a sua disposizione per tenere in ostaggio il Parlamento di Tobruk, di per sé privo di risorse sufficienti per la propria auto-difesa e sopravvivenza.
Dunque, nelle prossime settimane, il CP e Serraj (o chi eventualmente ne raccoglierà l’eredità istituzionale) potrebbero essere chiamati ad un rimpasto di governo o all’ennesima modifica della lista dei potenziali ministri per cercare di tenere vivo il negoziato con la controparte.
 
Tuttavia, la ricerca di complicate alchimie politiche risulta subordinata all’esito della campagna anti-jihadista effettuata da entrambi gli schieramenti. Infatti, le forze del Consiglio Presidenziale, capeggiate dalla potente milizia di Misurata, sono in procinto di riconquistare totalmente Sirte e sottrarla al controllo dello Stato Islamico (IS o Daesh), iniziato nel febbraio 2015.
Nel momento in cui si scrive, soltanto nel distretto 3 e nel distretto 1 della città portuale sono asserragliati poco più di un centinaio di combattenti di Daesh.
La presa di Sirte rappresenterebbe il culmine dell’operazione Al-Bunyan al-Marsoos (Muro Impenetrabile), avviata lo scorso 16 maggio per catturare quella che era diventata la principale roccaforte di IS nel Paese. Inoltre, disperdendo il nutrito nucleo jihadista di Sirte, il Consiglio Presidenziale infliggerebbe un colpo significativo alla rete libica del movimento di Daesh, potrebbe aggiungere un ulteriore tassello al mosaico di alleanze che lo sostiene e aumenterebbe la propria legittimità internazionale attraverso i successi nella lotta al terrorismo.
In sintesi, Serraj potrebbe attribuirsi il merito di aver contribuito a pacificare il Paese e di aver riunito sotto la propria bandiera tre delle più importanti città della costa, quali Tripoli, Misurata e Sirte, in quella che potrebbe essere una coabitazione conflittuale ma dall’alto valore simbolico.
Infatti, non bisogna dimenticare che, sebbene la scena politica libica sia dominata dalla lotta allo Stato Islamico, gli attriti e le acredini interne al Consiglio Presidenziale continuano a caratterizzare Tripoli, dove le milizie che sostengono Serraj non cessano reciproche azioni di provocazione e saltuari scontri a fuoco per il controllo di avamposti, check point e infrastrutture strategiche.
 
Nonostante l’efficacia dell’azione perpetrata dalle milizie fedeli al Consiglio Presidenziale, non può essere trascurato il ruolo svolto dagli Stati Uniti.
Infatti, a partire dal primo agosto, le Forze Armate statunitensi hanno effettuato oltre 90 raid aerei su Sirte e sui territori attigui per distruggere basi, istallazioni, infrastrutture e mezzi dello Stato Islamico, riducendone significativamente le capacità operative e spianando la strada all’avanzata delle milizie di Misurata.
Condotti con velivoli a pilotaggio remoto, elicotteri AH-1 Super Cobra e cacciabombardieri AV-8B Harrier II degli U.S. Marines, i raid aerei in questione hanno rappresentato il maggior impegno militare di Washington in Libia dal 2011, anno dell’operazione «Odyssey Dawn» contro il regime di Muammar Gheddafi.
Contemporaneamente all’azione del Consiglio Presidenziale e degli Stati Uniti a Sirte, l’Esercito Nazionale Libico ha proseguito l’offensiva anti-jihadista (operazione Dignità) a Bengasi, Derna e nei villaggi a sud di Ajdabiya, senza tuttavia riuscire ad ottenere significativi risultati. Infatti, seppur in difficoltà, sia le milizie filo-qaediste di Ansar al-Sharia (Protettori della Fede, inquadrati nella coalizione Consiglio dei Rivoluzionari di Bengasi, CRB) e del Consiglio dei Mujaheddin di Derna sia le unità locali di IS continuano a controllare alcuni quartieri delle suddette città.
 
L’eventuale vittoria delle forze del Consiglio Presidenziale a Sirte e il rafforzamento delle posizioni dell’Esercito Nazionale Libico a Derna e Bengasi potrebbero sensibilmente indebolire sia la rete di Daesh sia quella di al-Qaeda nel Paese. Tuttavia, il fronte jihadista è lungi dall’essere completamente neutralizzato.
Innanzitutto, non potendo più controllare e amministrare le città della Cirenaica, le brigate salafite potrebbero ripiegare su una tattica basata su attacchi mordi e fuggi e sulla conduzione di attentati allo scopo di logorare le forze di entrambi gli schieramenti e rendere difficilmente governabile il territorio.
A questo proposito, il sanguinoso attentato dinamitardo del 2 agosto a Bengasi, rivendicato dal CRB e costato al vita a 22 persone, costituisce un serio monito per quelli che potrebbero essere i futuri sviluppi dell’insorgenza terroristica in Cirenaica.
In secondo luogo, non è da escludere la migrazione dei gruppi jihadisti verso quattro possibili destinazioni: le aree occidentali al confine con la Tunisia, come la città di Sabratha, dove già si registra una consistente presenza di miliziani estremisti; la città di Bani Walid, roccaforte della tribù lealista gheddafiana dei Warfalla, apertamente opposta sia al Consiglio Presidenziale che alla Camera dei Rappresentanti; le aree desertiche del Fezzan, dove l’assenza del controllo statale ha generato la proliferazione incontrollata di gruppi legati ai network terroristici della regione sahelo-sahariana (al-Qaeda nel Maghreb Islamico, al-Mourabitun); la città orientale di Ajdabiya, divenuta negli ultimi anni uno dei centri nevralgici del jihadismo libico.
 
Al momento, le opzioni maggiormente percorribili sono quelle relative alla migrazione verso il Fezzan, dove i miliziani estremisti potrebbero riorganizzare i propri ranghi sfruttando una rete già organizzata e funzionale e senza la pressione militare esercitata dal Consiglio Presidenziale e dall’Esercito Nazionale Libico, e quella di Bani Walid, città dove IS potrebbe sfruttare i buoni rapporti con le tribù locali ed usufruire dell’orografia del terreno, che rende la città difficilmente attaccabile ed espugnabile.
Al contrario, Ajdabiya appare troppo vicina alla linea del fronte per essere considerata un rifugio sicuro nel medio termine, mentre Sabratha e le aree occidentali fungono più da retroterra logistico per i movimenti terroristici tunisini che da base operativa per eventuali azioni sul territorio libico.
In ogni caso, al di là della precisa destinazione geografica, i movimenti jihadisti libici potranno sfruttare le problematiche sociali, politiche, militari ed economiche di un Paese in guerra civile da ormai 5 anni, privo di un apparato statale funzionante e caratterizzato da una popolazione stremata, in larga misura disillusa e poco rappresentata sia dal CP che dalla CR.
Quanto mostrato a Sirte, ossia la costruzione di una architettura amministrativa, economica, politica e legale efficace ed in grado di produrre ordine e somministrare welfare potrebbe essere replicato in altre aree del Paese grazie all’appoggio delle tribù o degli ancora numerosi nostalgici di Gheddafi.
 
In ogni caso, l’allontanamento di Daesh dalla costa rischia di porre a pericoloso contatto le milizie del Consiglio Presidenziale e quelle di Tobruk / Haftar.
In un momento in cui le relazioni tra i due parlamenti sono abbastanza tese e il comportamento del Generale Haftar appare imprevedibile e fortemente autoreferenziale, l’eccessiva vicinanza dei due schieramenti militari potrebbe facilmente degenerare in uno scontro aperto.
Ad alimentare questa ipotesi sono gli ultimi sviluppi della campagna dell’Esercito Nazionale Libico che, a partire dall’inizio del mese, sembra aver puntato i terminali petroliferi di Ras Lanuf, Sidra e Zueitina, ad oggi controllati dalle Guardie delle Infrastrutture Petrolifere (GIP), fedeli al CP.
Nello specifico, il 6 agosto, Haftar è penetrato in forze nella città di Zueitina, senza tuttavia attaccare le milizie del GIP e limitandosi a circondare il porto.
Una simile azione è giunta a pochi giorni di distanza dalla ripresa dell’export petrolifero, autorizzato dal Consiglio Presidenziale grazie alla benedizione delle maggiori holding multinazionali operanti in loco.
La rinnovata vendita di petrolio, con il suo conseguente afflusso di capitali in favore del CP, ha suscitato le ire della Camera dei Rappresentanti, interessata anch’essa agli introiti dell’industria idrocarburica.
Dunque, Haftar potrebbe mirare a scalzare le milizie del GIP da alcuni degli impianti per sostituire ad esse le proprie forze, aumentare il suo peso in sede negoziale e attingere ai flussi finanziari derivanti dall’export del greggio.
Appare evidente come una simile eventualità innalzerebbe l’asticella dello scontro tra Tripoli e Tobruk e potrebbe conseguentemente condurre il Paese in una nuova e pericolosa fase della guerra civile.

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