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Bob Dylan compie oggi settant’anni/ 2 – Di Guido de Mozzi

Quello che Dylan è stato per noi della Beat Generation E che, appunto, non è più

Quando scrisse Blowin' in the wind ero piccolo, è vero, ma c'ero.
Qualcosa che la gente non sa, è che allora Blowin' in the wind venne immediatamente tradotta in italiano e cantata come una canzonetta qualsiasi. Però ci piaceva, anche se le parole erano piuttosto lontane dall'originale. Tante le strade che l'uomo farà

La canzone cult di Dylan arrivò in originale a noi giovani nel '68, cioè 5 anni dopo, quando la nostra rivoluzione dilagò in tutto il mondo e il Vietnam divenne il raccordo tra le nostre paure e la loro realtà.
Senza Dylan non avremmo capito molto del Vietnam, perché la stampa ufficiale ne parlava come un fatto marginale. Bollettini militari di una guerra che certamente avrebbero vinto gli Americani.

«C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones», scritta nel 1966 da Mauro Lusini e cantata da Gianni Morandi, subito sembrò una canzone a sfondo politico, antiamericano.
Ci volle il 68 per aprire gli occhi, ma si dovettero tradurre i testi delle canzoni di Dylan per capire il disastro della generazione americana che andava a morire a 15.000 miglia di distanza.

Come scrive giustamente Marco Pontoni su questo stesso giornale, «Bob Dylan non è più un'icona, questo è pacifico».
Ma Dylan è rimasto l'icona del nostro tempo, di quel tempo. Quando era talmente potente da disertare Woodstock, quando lo ascoltavamo per sapere come stavano le cose, quando ci sembrava che scendesse in piazza al nostro fianco.

La Beat Generation è stata più propriamente rappresentata da John Lennon, che ci ha fatto immaginare un mondo in pace.
La grande musica non è venuta da Dylan, ma dai Beatles, dai Rolling Stones, dai Creedence, dai Pink Floyd, dai King Crimson…
Ma lui, l'odierno settantenne, ci aveva fatto sognare che bastava una chitarra e un'armonica per diffondere le nostre idee e cambiare il mondo.

Guido de Mozzi

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