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Prospettive di Difesa Europea dopo il Vertice di Bratislava

Una prima analisi post Brexit per verificare l’agilità delle forze europee – DI Danilo Secci

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Il 26 e 27 settembre scorsi, i Ministri della Difesa dell’Unione Europea si sono riuniti per discutere la possibilità di una maggiore integrazione delle proprie strutture militari.
Per l’occasione, Francia e Germania hanno presentato un documento congiunto, intitolato «A Strong Europe in a World of Uncertainties», in cui sono stati illustrati i punti fondamentali per il rilancio del progetto di Difesa comune.
Anzitutto, è emersa l’esigenza di definire un nuovo pensiero strategico che, alla luce dell’esito del referendum inglese sull’uscita del Regno Unito dall’UE, definisca meglio quali obiettivi in Politica Estera e di Difesa l’Unione vorrebbe perseguire.
In secondo luogo, la relazione sottolinea l’importanza di disporre a livello comunitario di forze multinazionali, con personale civile e militare, da schierare con facilità ed immediatezza, facenti capo ad un’unica catena di comando e finanziate attraverso appositi fondi comunitari.
 
Anche l’Italia ha presentato una propria proposta i cui contenuti, sebbene non ancora pubblicati, sembrano essere molto vicini ed armonizzabili con quelli del testo franco-tedesco, in particolare per quel che riguarda l’elaborazione di una nuova strategia di Difesa e la necessità di dotarsi di un centro permanente per la pianificazione e gestione delle missioni UE.
In diverse sedi, inoltre, Roma si è espressa a favore di una maggior integrazione del comparto militare-industriale, per il quale suggerisce maggiori incentivi e agevolazioni fiscali.
Per quel che riguarda il meccanismo di adesione al nuovo progetto di Difesa Europea, invece, l’Italia ha proposto un meccanismo simile a quello adottato per la Convenzione di Schengen: un gruppo iniziale di Paesi, che Roma identifica nei sei fondatori della Comunità Europea con la possibile aggiunta della Spagna, dovrebbero creare un primo nucleo di forze multinazionali al quale, poi, si potrebbero aggiungere unità provenienti da altri Stati.
 
L’incontro dei Ministri della Difesa si è reso necessario a seguito della presentazione da parte dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, del documento sulla nuova dottrina strategica europea, noto come «EU Global Strategy», presentato qualche giorno dopo il referendum sulla Brexit.
Il documento ha sottolineato la necessità di disporre di unità multinazionali ben equipaggiate, organizzate e, soprattutto, autonome da un punto di vista operativo.
A tal fine, il documento ha raccomandato lo sviluppo di velivoli a pilotaggio remoto, migliori capacità di comunicazione satellitare e rifornimento in volo e l’acquisizione di superiori potenzialità in campo cibernetico.
 
Se a Bratislava Italia, Francia e Germania hanno manifestato un certo entusiasmo nello sviluppo di un sistema di sicurezza comunitario attraverso proposte che, benché diverse tra loro, mirano al raggiungimento di una maggiore integrazione tra le proprie Forze Armate, altri Paesi hanno espresso posizioni più scettiche.
È il caso soprattutto del cosiddetto Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che non vede di buon occhio la creazione di un sistema di Difesa che possa ridurre il peso politico e militare della NATO, alleanza militare efficacemente impegnata a garantire la propria sicurezza e integrità territoriale dagli anni ’90 del secolo scorso ad oggi.
 Al di là delle diversità di vedute sull’opportunità o meno di rilanciare il progetto di Difesa comune, resta il fatto che in Europa si è ripreso a parlare di sicurezza. Le motivazioni di questa tendenza possono essere ricondotte a tre ragioni.
 
La prima è legata alla percezione di maggiore instabilità politica e militare sui confini orientale e meridionale dell’UE dovuta soprattutto alla crisi in Ucraina (accompagnata da un maggior attivismo militare russo nel Baltico e Mar Nero) e alla straordinaria ondata migratoria di popolazioni provenienti dall’Africa e Medio Oriente.
La seconda rimanda alle conseguenze derivanti dalla fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Tra tutti i Paesi membri dell’UE, quest’ultimo è stato storicamente quello più avverso a qualsiasi progetto per la creazione di una Difesa comunitaria: di conseguenza, l’allontanamento di Londra da Bruxelles potrebbe comportare minori resistenze alla realizzazione dello stesso.
In quest’ottica, le proposte presentate da Roma, Parigi e Berlino sono una chiara dimostrazione della volontà di riprendere in maniera attiva e costruttiva la tematica della Difesa dell’Unione.
La terza, infine, si ricollega ai benefici finanziari derivanti da una maggiore razionalizzazione dei costi di gestione dello strumento militare insiti nella condivisione di mezzi e personale particolarmente necessaria, fra l’altro, in un contesto politico ed economico di continui tagli ai bilanci della Difesa dei singoli Paesi UE.
Appare opportuno sottolineare, inoltre, che gli stessi benefici si potrebbero avere anche a livello produttivo mediante fusioni nel comparto militare-industriale che comporterebbero importanti economie di scala.
 
Comunque sia, la formazione di unità multinazionali per la Difesa Europea rappresenta un obiettivo che richiederà il superamento di alcuni ostacoli importanti quanto quello costituito, fino ad oggi, dall’ostruzionismo inglese.
Sarà anzitutto necessario delineare con chiarezza i rapporti tra la futura struttura di Difesa Europea e la NATO. L’Alleanza Atlantica ha mostrato apprezzamento per un’eventuale condivisione delle capacità militari UE in quanto ciò accrescerebbe, di conseguenza, le proprie potenzialità, a patto però che non si crei una struttura parallela e concorrenziale ad essa.
La futura Difesa Europea, inoltre, per poter essere efficace dovrà disporre di un proprio quartier generale per la gestione delle operazioni e di mezzi finanziari comuni adeguati allo sviluppo di tecnologie, quali aerei a pilotaggio remoto, capacità di rifornimento in volo, sistemi satellitari e di cyberdifesa, che sempre di più condizioneranno la capacità di competere a livello globale negli scenari operativi futuri.
 
Bisognerà superare, inoltre, i limiti del meccanismo decisionale in Politica Estera e di Difesa UE che prevede il voto unanime del Consiglio dell’Unione Europea per l’impiego di unità multinazionali di Difesa (a ciò va aggiunta la contemporanea disponibilità dei Paesi fornitori di truppe all’impiego delle stesse).
Un sistema deliberativo di questo tipo risente chiaramente del principio per cui la sovranità del singolo Stato continua ad avere, in quest’ambito, la supremazia rispetto a quella dell’Unione. Fino a quando, anche per le questioni di Politica Estera e Difesa, non si adotterà un meccanismo decisionale maggioritario che implica, di conseguenza, il rischio di veder superata la propria autorità da quella dell’UE, non si potrà parlare di una struttura difensiva europea concreta ed efficace.
L’esempio più significativo di questo limite è dato dalla finora poco edificante vicenda dei Battlegroup europei (unità di reazione rapida costituite su base semestrale da circa 2.500 soldati provenienti da diversi Paesi UE), formalmente operativi dal 1° gennaio 2007, ma che, in realtà, non hanno ancora avuto un impiego effettivo sul campo proprio a causa del meccanismo decisionale che prevede l’approvazione unanime dei Paesi UE in sede di Consiglio che fino ad oggi non si è mai verificata.
 
Danilo Secci
(Ce.S.I.)

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