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La poesia di Alberto Pattini, secondo Fulvia Carbonera

La docente di letteratura a Novara: «I versi di Alberto Pattini si caratterizzano per una particolare armonia tra dimensione ritmica e impressione estetica…»

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Alberto Pattini alla presentazione di «Poesia del Trentino - La melodia della Grande Madre».
 
Ho incontrato per la prima volta le parole di Alberto Pattini in una fresca sera estiva, mentre passeggiavo sul lungolago di Luino (sul lago Maggiore), tra i giovani platani, ai cui supporti erano annodati dei cartigli, che recavano scritte delle liriche.
Incuriosita per l’originalità della situazione (non è frequente imbattersi in poesie che si librano nell’aria serale, appese a giovani alberi), mi sono avvicinata e ne ho letto qualcuno, ancora piena di meraviglia per l’iniziativa.
È stato allora che i miei occhi si sono posati su «Ulula il lago» contenuta in questa silloge.
Il ritmo dei versi mi ha subito catturata. Il ritmo generato dalle parole, dalle immagini che si susseguivano e che si affacciavano alla mia mente, risvegliando memorie antiche legate al mio profondo amore per il lago.

Fulvia Carbonera.

Non conoscevo Alberto Pattini. Non conoscevo la sua opera. Ma la forza delle immagini e delle emozioni che riusciva a suscitare in me mi ha spinta a cercare informazioni e a contattarlo, per esprimergli l’ammirazione e la gratitudine per quei versi così potenti ed evocativi.
Alberto mi ha risposto (con calma…) e così ho scoperto che è anch’egli uomo di lago, come io sono donna.
Un altro lago, quello di Caldonazzo, e altri monti, ma una sensibilità nei confronti della natura che ho sentito appartenermi.
Ho letto molti altri suoi testi, da cui traspaiono quelli che si possono considerare i temi profondi della sua ispirazione.
 
Il tema, innanzitutto della Natura come luogo dell’introspezione e della ricerca di sé.
Imparo a sorridere / odorando eleganti rose di siepe / baciate dalla rugiada… (Profumo della notte, vv.5-8).
Sono un alato viaggiatore, / quello che conta non è il mondo / che vedo o gli schemi collettivi, / ma quello che sogno è la chiave d’argento / per rendere visibile l’invisibile, / per migliorare l’armonia della mia vita. (Sogno: chiave d’argento, vv.14-19).
 
La Natura diventa anche il momento in cui la quotidianità è sospesa e da cui irrompe il bisogno del contatto con il proprio io più profondo, il rifiuto dell’artificiosità insita in una civilizzazione, in un’antropizzazione forzata, vissuta come violento allontanamento dalle radici, dalle origini.
È sempre più difficile alimentare / il fuoco di un sentimento / nella società colma d’indifferenza / che ignora la bellezza della vita, / umiltà e rispetto sono coperte / dalla lava dell’invidia e dall’odio / del veloce progresso / che vegeta nel vuoto. (Vivere lentamente, vv.1-8).
 
Importante è anche il tema della natura come luogo della memoria, anche dolorosa.
Destino beffardo, / ferite dell’anima / che non guariscono, / dolore di rotolanti sentieri / trascorsi in passati dirupi (Dolore svelato, vv.1-5), poiché chi vive a stretto contatto con la grande madre sa bene che il suo amore può essere duro, a volte spietato.
Non meno intensamente rappresentato è il tema dell’amore, inteso come ricerca dell’altro da sé, che ci completa, ma che ci sfugge, che esce dalla nostra possibilità di controllo, che riempie gli anfratti dell’anima con la sua assenza.
Cerco la tua ardente mano / sulla strada innevata dalla solitudine, / percorro senza bussola / la ricerca di una carezza, / cerco un tuo sorriso / tra i rami delle bianche betulle, / intravedo tra i raggi pallidi di luna / solo ombre dei tuoi occhi. (Solitudine, vv.1-8).
Il tutto pervaso dallo stupore che caratterizza l’atteggiamento del fanciullo di fronte ad una meraviglia, di lui tanto più grande, ma di cui si sente a buon titolo parte integrante.
 
I versi di Alberto Pattini si caratterizzano per una particolare armonia tra dimensione ritmica e impressione estetica.
Il tema della Natura è declinato dal poeta in una molteplicità di significati, che coinvolgono la ricerca introspettiva dell'uomo in cammino verso la profondità dell'anima; la contrapposizione fra il paesaggio primigenio, autentico e genuino e quello antropizzato, piegato con violenza alle esigenze di un mondo troppo veloce e artificioso; la malinconia per l'amore vissuto talora come perdita, talora come assenza e memoria, resuscitata e amplificata dal contatto con la montagna; lo stupore, infine, quasi fanciullesco per la grandezza di un creato di fronte al quale l'uomo, non può che restare in silenziosa contemplazione.
 
Da questa percezione del rapporto tra uomo e natura nasce un canto affascinante nella melodia generata dai versi, nella rappresentazione simbolica delle manifestazioni di una natura-madre che è casa, rifugio e speranza del domani.
Un canto che nasce spontaneamente dall'ispirazione dell'autore e non da tecnica versificatoria consapevole e ricercata.
Proprio la spontaneità, la mancanza di «maniera», il legame profondo con un territorio amato visceralmente, rendono le liriche di Pattini molto interessanti nel panorama lirico contemporaneo.
 
Prof.ssa Fulvia Carbonera
docente di letteratura a Novara

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