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Riconoscere gli oggetti: gli «astrociti» allenano la memoria

Come un complesso sistema di irrigazione, accendono e regolano il flusso di informazioni tra i neuroni distribuendo il «fattore BDNF» in modo efficiente e capillare

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Si chiamano astrociti e sono particolari tipi di cellule, a forma di stella, che nel sistema nervoso centrale danno sostegno ai neuroni, assicurano l'isolamento dei tessuti nervosi e la protezione da corpi estranei in caso di lesioni.
Funzionano come un comune nastro adesivo attorno alle sinapsi (strutture che mettono in comunicazione le cellule del tessuto nervoso), anche se molte delle loro caratteristiche sono ancora inesplorate.
A lungo si è dibattuto se avessero o non avessero un ruolo nella trasmissione dei segnali elettrici.
Ma ora uno studio pubblicato su «Neuron», rivista scientifica di grande impatto, rivaluta la loro importanza come interruttori della trasmissione delle informazioni.
Sarebbero infatti fondamentali nel processo di costruzione della memoria a lungo termine.
 

 
In particolare, quel tipo di memoria che nel contesto di una particolare area corticale (corteccia peririnale) permette il riconoscimento visivo degli oggetti e che viene compromessa, anche seriamente, nei pazienti affetti da malattie neurodegenerative.
Nello studio condotto da Marco Canossa, fisiologo del Centro per la Biologia Integrata (Cibio) dell’Università di Trento, viene messa in evidenza l’importanza degli astrociti come catalizzatori della trasmissione tra neurone e neurone.
«Oltre a sostenere i neuroni e metterli in connessione tra loro come una sorta di impalcatura, queste cellule sono in grado di regolare e somministrare in modo adeguato una proteina – il fattore neurotrofico cerebrale BDNF (Brain-derived neurotrophic factor) – che, come una sorta di “farmaco endogeno”, amplifica l’attività delle sinapsi neuronali e permette di apprendere e ricordare nuove informazioni. Svolgono questo ruolo in modo estremamente efficace e capillare perché ciascun astrocita riesce ad accendere e regolare il flusso di informazioni tra più di 100 mila neuroni.»
Questa scoperta apre a nuove possibilità nel trattamento dei problemi legati alla perdita di memoria nel riconoscimento visivo degli oggetti.
«Somministrare artificialmente la proteina BDNF direttamente ai neuroni presenta difficoltà tecniche importanti ed è un procedimento difficile da controllare. Meglio allora sfruttare l’efficienza degli astrociti, proprio come fosse un complesso sistema di irrigazione, per garantire un rilascio controllato della BDNF. In questo modo si regolano le attività delle sinapsi e si allenano le performance del cervello.»
 

 
Il BDNF appartiene alla famiglia delle neurotrofine, la cui scoperta è valsa a Rita Levi-Montalcini il Premio Nobel per la Medicina nel 1986.
Ora su quella famiglia di fattori di crescita neuronale si concentra l’attenzione degli scienziati di tutto il mondo e di recente, una linea di ricerca su questo tema scientifico si è aperta anche a Trento con l’arrivo di Marco Canossa.
Il lavoro, la cui prima autrice è la ricercatrice Beatrice Vignoli, sempre del Cibio dell’Università di Trento, è stato concertato con lo European Brain Research Institute (EBRI) Rita Levi-Montalcini di Roma con il quale Marco Canossa ha instaurato una lunga e proficua collaborazione.
Lo studio di Canossa riapre e ripone nuova enfasi a una diatriba scientifica sul ruolo degli astrociti che dura da un decennio, chiarendo la loro importanza nell’ambito dei processi che influenzano la memoria a lungo termine legata al riconoscimento degli oggetti.
«Che gli astrociti non fossero da sottovalutare ce lo aspettavamo. Dopotutto da alcuni anni si sa che il cervello umano si differenziava da quello degli altri organismi anche per possedere astrociti di grandi dimensioni in grado di collegare un alto numero di neuroni e quindi di provvedere ad una maggior capacità di gestire le informazioni mnemoniche, dare più apprendimento e memoria al nostro cervello. La sfida che ora si apre ai ricercatori – aggiunge Canossa – è quella di capire se e come questa scoperta possa avere implicazioni in altri ambiti della memoria della corteccia cerebrale.»

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