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Sei anni fa l'Adigetto.it partiva per l’Afghanistan – Ultima parte

Una scuola femminile e un acquedotto per 6.000 persone portano la firma del Trentino

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(Vedi puntata precedente)
 
E giunse il momento di prendere atto di come erano stati investiti i 40.000 euro che la Provincia autonoma di Trento aveva dato al 2° Reggimento genio alpini affinché realizzasse delle opere civili.
Come abbiamo detto all’inizio della nostra storia, il tutto era cominciato quando l’allora Assessore alla Cooperazione Internazionale Lia Beltrami aveva deciso di destinare dei fondi per opere civili in segno di buona volontà, quella stessa che ha sempre caratterizzato il nostro Paese, che anche in epoca imperialistica insieme alle armi ha sempre sbarcato banchi di scuola.
Il colonnello Scaratti, comandante del Genio, aveva individuato insieme ai suoi collaboratori più stretti una scuola femminile distrutta dai talebani a Gulistan. La scelta era stata condivisa con Trento e così, in un paese dove le donne non dovrebbero farsi un'istruzione, i nostri alpini hanno ricostruito una scuola femminile.
 

 
Va precisato che Gulistan si trovava allora in uno dei distretti più turbolenti dell’intera regione di Herat. Situato nella Provincia di Farah, nella parte meridionale dell’area di nostra competenza, la popolazione era stimata allora in 54.000 abitanti, prevalentemente Pashtun con minoranza Tagika. Il villaggio principale è appunto Gulistan, si trova a 1.434 m s.l.m. nel settore montuoso del distretto.
Nel settembre 2005, i combattenti talebani avevano preso il controllo della regione dopo aspri combattimenti e gli Italiani ebbero l’incarico di riportare la pace in un’area così impervia e pericolosa da ricordare in parecchie tratti quella parte desertica dell’Arizona controllata dagli indiani apache a fine Ottocento.
I distaccamenti che avevamo eretto a presidio erano regolarmente fatti oggetto di bombardamenti con mortai e razzi. Alcuni dei nostri ragazzi persero la vita. Parecchi militari vennero decorati per aver operato in condizioni estreme. Tra questi il capitano Toscano e il tenente Schettino, entrambi del 2° Reggimento, che si trovarono costretti a recuperare degli automezzi in dotazione sotto il fuoco nemico.
 

 
Una volta individuata l’opera da realizzare, Scaratti e Toscano si diedero da fare per trovare sul posto manodopera disponibile a fare i lavori necessari per rendere abitabile la scuola femminile.
Va precisato che le autorità civili erano favorevoli all’istruzione femminile, ma con i talebani fuori porta non avrebbero mai fatto nulla senza di noi.
Lavorare per una paga versata in moneta occidentale ha poi attirato molti operai della zona e in breve i nostri genieri poterono limitarsi a proteggere il cantiere e a dirigere i lavori.
Quando i lavori furono finiti, il colonnello Scaratti prese atto di aver avanzato dei soldi. Allora, dopo essersi consultato con la referente trentina, decise di procedere anche alla realizzazione di un acquedotto destinato a servire più villaggi per un totale di seimila persone.
 

 
A questo punto era chiaro a tutta la popolazione che il nostro esercito non portava solo armi e che le parole erano seguite dai fatti.
Questo non vuol dire che gli attentati dei talebani si fermarono, ma certamente diminuirono perché non trovavano più protezione da parte dei civili.
Sia la scuola che l’acquedotto vennero inaugurati in pompa magna e in entrambi i casi fu deposta una targa scritta in italiano e pashtun dove si ricordava che le opere erano state realizzate dalle nostre Forze Armate.
Il governatore della regione inviò a Lorenzo Dellai una lettera, scritta in inglese e in dari (vedi a pié di pagina), nella quale pregava il presidente della provincia di ringraziare i suoi concittadini per il regalo fatto alla popolazione afghana.
Nelle foto vediamo vari momenti di quell’epoca.
 

 
Tornammo in Italia alla fine di un periodo molto faticoso e stressante, che però non avremmo dimenticato mai.
I nostri soldati, tutti volontari, sono diventati dei veterani, hanno imparato a prendere decisioni nei momenti cruciali, a proteggersi tra di loro, a considerare sacra la vita umana. In Afghanistan abbiamo perso una cinquantina di uomini. Una cifra enorme, ma pur sempre minimale rispetto alle perdite di forze armate di altri paesi. Perché? Perché appunto non abbiamo sbarcato solo armi. E neanche solo pane, come ha ricordato lo stand del Vaticano all’Expo di Milano.
Da parte nostra devo dire che essere protetti da una scorta militare dei nostri soldati dà la sensazione di quanto siano responsabili della vita di un loro concittadino. Io non trovavo giusto che dei giovani rischiassero la vita per proteggere un anziano come me, ma mi hanno fatto capire che il loro lavoro li gratificava proprio perché così servivano il loro Paese.
Il quale Paese non li ha mai abbandonati come purtroppo accadde nei momenti ahimè non molto lontani della Seconda Guerra mondiale. Stavolta il Paese c’era, lo vivevi momento per momento nella vita militare in Afghanistan.
Le dotazioni per i nostri militari sono il meglio di ciò che si trova sul mercato, gli armamenti sono quanto di meglio offra la tecnologia italiana, l’alimentazione era davvero «ottima e abbondante». Ai tempi del mio servizio militare tutto questo sarebbe sembrato astrologia.
 

 
Al mio ritorno a Trento sono stato invitato a tenere parecchie conferenze sulla missione in Afghanistan.
Quello che interessava alla gente era proprio conoscere il livello di preparazione delle nostre forze armate.
Una volta però qualcuno organizzò una conferenza alla Biblioteca Civica di Trento dove dei relatori provenienti da Milano avrebbero spiegato alcune «verità» sull’Afghanistan. Ovviamente vi partecipai e sentii con grande stupore che il relatore diffidava i presenti dal credere alle balle relative alle presunte scuole femminili distrutte dai talebani…
Per fortuna io c’ero stato davvero e avevo toccato con mano proprio il contrario.
Il relatore non si aspettava che ci fosse qualche testimone in sala. Presi la parola e lo smentii, rassicurando i Trentini sul loro atto di solidarietà realizzato per mano di soldati di stanza a Trento.
Su una cosa devo convenire. Se per ricostruire una scuola distrutta e realizzare un acquedotto sono bastati 40mila euro, con i costi dell’intera missione Isaf avremmo potuto ricostruire l’intero Afghanistan.
 
G. de Mozzi
(Fine)

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