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Dal testo dell’omelia di fine anno del Pontefice Papa Francesco

«I giovani, respinti come Maria e Giuseppe» – «Che i giovani non si disilludano di fronte all’immaturità degli adulti»

Di seguito riportiamo un estratto dell’omelia pronunciata da Papa Francesco durante la celebrazione dei primi Vespri, nella basilica vaticana, della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio.
Desideriamo sottolineare la durezza dei concetti nei confronti di chi gestisce il lavoro con leggerezza, o peggio con il solo fine dell’interesse.

Oggi, davanti al bambino di Betlemme, vogliamo ammettere di avere bisogno che il Signore ci illumini, perché non sono poche le volte in cui sembriamo miopi o rimaniamo prigionieri di un atteggiamento marcatamente integrazionista di chi vuole per forza far entrare gli altri nei propri schemi.
Abbiamo bisogno di questa luce, che ci faccia imparare dai nostri stessi errori e tentativi al fine di migliorarci e superarci; di questa luce che nasce dall’umile e coraggiosa consapevolezza di chi trova la forza, ogni volta, di rialzarsi e ricominciare.
 
Mentre un altro anno volge al termine, sostiamo davanti al presepe, per ringraziare di tutti i segni della generosità divina nella nostra vita e nella nostra storia, che si è manifestata in mille modi nella testimonianza di tanti volti che anonimamente hanno saputo rischiare.
Ringraziamento che non vuole essere nostalgia sterile o vano ricordo del passato idealizzato e disincarnato, bensì memoria viva che aiuti a suscitare la creatività personale e comunitaria perché sappiamo che Dio è con noi.
 
Sostiamo davanti al presepe per contemplare come Dio si è fatto presente durante tutto questo anno e così ricordarci che ogni tempo, ogni momento è portatore di grazia e di benedizione. Il presepe ci sfida a non dare nulla e nessuno per perduto.
Guardare il presepe significa trovare la forza di prendere il nostro posto nella storia senza lamentarci e amareggiarci, senza chiuderci o evadere, senza cercare scorciatoie che ci privilegino. Guardare il presepe implica sapere che il tempo che ci attende richiede iniziative piene di audacia e di speranza, come pure di rinunciare a vani protagonismi o a lotte interminabili per apparire.
Guardare il presepe è scoprire come Dio si coinvolge coinvolgendoci, rendendoci parte della sua opera, invitandoci ad accogliere con coraggio e decisione il futuro che ci sta davanti.
 
Guardando il presepe incontriamo i volti di Giuseppe e di Maria. Volti giovani carichi di speranze e di aspirazioni, carichi di domande.
Volti giovani che guardano avanti con il compito non facile di aiutare il Dio-Bambino a crescere.
Non si può parlare di futuro senza contemplare questi volti giovani e assumere la responsabilità che abbiamo verso i nostri giovani; più che responsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debito che abbiamo con loro.
Parlare di un anno che finisce è sentirci invitati a pensare a come ci stiamo interessando al posto che i giovani hanno nella nostra società.
 
Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani.
Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società.
Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li «condanniamo» a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse.
 
Siamo invitati a non essere come il locandiere di Betlemme che davanti alla giovane coppia diceva: qui non c’è posto.
Non c’era posto per la vita, per il futuro. Ci è chiesto di prendere ciascuno il proprio impegno, per poco che possa sembrare, di aiutare i nostri giovani a ritrovare, qui nella loro terra, nella loro patria, orizzonti concreti di un futuro da costruire.
Non priviamoci della forza delle loro mani, delle loro menti, delle loro capacità di profetizzare i sogni dei loro anziani. Se vogliamo puntare a un futuro che sia degno di loro, potremo raggiungerlo solo scommettendo su una vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale.
 
Guardare il presepe ci sfida ad aiutare i nostri giovani perché non si lascino disilludere davanti alle nostre immaturità, e stimolarli affinché siano capaci di sognare e di lottare per i loro sogni.
Capaci di crescere e diventare padri e madri del nostro popolo.
 
Davanti all’anno che finisce, come ci fa bene contemplare il Dio-Bambino!
È un invito a tornare alle fonti e alle radici della nostra fede. In Gesù la fede si fa speranza, diventa fermento e benedizione: «Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia».

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