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Carmine, l’ultimo «battitore» – Di Maurizio Panizza

Una storia di emigrazione e di lavoro cominciata in Irpinia nel lontano 1970 e (non ancora) terminata a Riva del Garda

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Carmine tra Francesco Moser e Didi Thurau.
 
È una storia di lavoro e di emigrazione che inizia nel 1970 con la partenza di un diciassettenne dall’Irpinia.
Dieci anni dopo, quel ragazzo apre a Francoforte un ristorante che ben presto diventa punto di riferimento di artisti, cantanti e sportivi di fama internazionale.
Nel 1990, però, il locale chiude improvvisamente e Carmine parte per gli Stati Uniti. Oggi, dopo aver fatto diversi lavori in altri posti d’Italia, da qualche anno quel ragazzo è cittadino di Riva del Garda, dove svolge (ancora per poco) un’attività del tutto particolare.
 
Prima di tutto, quello che ti arriva al cuore è il suo sorriso e la sua simpatia. Poi, ad avvolgerti ci pensa un eloquio allegro e rassicurante, scorrevole e senza particolari inflessioni linguistiche. Infine, ci sono i molti racconti della sua vita ad affascinare e a farti rimanere a bocca aperta.
Lo incontriamo in un ristorante del centro di Riva del Garda. Lui è un distinto signore irpino-tedesco, forse meglio dire tedesco-svizzero, sì ma non del tutto tedesco o svizzero, anche un po’ statunitense, per la verità, e poi ancora italiano «di ritorno», ma stavolta del profondo nord, prima lombardo, poi veronese e da un po’ di anni anche trentino.
Accidenti, un guazzabuglio di provenienze, di storie e di personaggi mescolati insieme. Un puzzle che però sono la cifra di un cittadino del mondo di 63 anni, dalle molte vite e dai molti lavori e con un nome d’arte - Angelo - che fa il paio con un curioso cognome che ne è l’accrescitivo: Angelone. 
Il personaggio di cui vogliamo parlare è proprio lui, o almeno vorrebbe esserlo, perché sembra veramente un’impresa descriverlo in tutte le sue poliedriche sfaccettature: un fraticello in convento negli anni ’60; un garzone di macellaio, lavapiatti e cameriere negli anni ’70; un portiere di notte, un valente ristoratore, un impresario-cantante-scrittore, nonché chef de rang nei decenni successivi.
Tante medaglie conquistate nelle battaglie di una vita vissuta in mezzo mondo, mostrate ora con orgoglio, tutte diverse, ma tutte con un forte elemento distintivo in comune: la valigia dell’emigrante sempre pronta sotto al letto.
 

Lioni, 1954. Il piccolo Carmine con la sorella nel cortile di casa.
 
Oggi, a un anno dalla pensione, Carmine - questo il suo vero nome - è ancora un combattente in campo aperto. Infatti, lui è il primo, l’unico e forse anche l’ultimo battitore che Riva del Garda abbia mai avuto, dove per battitore - strana parola - si intende l’arte di saper procurare clienti ai ristoranti usando soprattutto la psicologia e la cortesia.
In questo, Carmine è un vero campione e giustamente nel settore se lo contendono: gli anni scorsi al Vaticano (il ristorante, s’intende) e il prossimo (l’ultimo, prima della pensione), con un contratto già in tasca per il «Riva Mia», in centro storico.
Come sia arrivato sul Lago di Garda, per di più esercitando un lavoro così inconsueto, Carmine ce lo racconta partendo da lontano, da quando, cioè, ancora bambino, venne messo a collegio dai Frati Minori di Airola, un piccolo centro nel beneventano a un centinaio di chilometri dal suo paese natale, Lioni, in provincia di Avellino.

1964. Con il saio nel Convento di Airola.

Sua madre, abbandonata dal marito, si era trovata all’improvviso a dover crescere due figli con la sola forza delle sue braccia. E tre bocche da sfamare in famiglia erano troppe in una terra estremamente povera come l’Irpinia, ricca solo di visti consolari per andare a lavorare all’estero.
Così, fin dall’età in cui di solito si gioca spensierati con i compagni, Carmine invece vestì il saio e iniziò a sgranare rosari, ma poi, sentendo che quella strada non era la sua, a 17 anni decise di prenderne un’altra, stavolta per andare molto più lontano: prima in Svizzera, poi in Germania.
Era il 1970. In un ristorante di Francoforte venne assunto come lavapiatti e nei dieci anni successivi imparò con passione a fare il cameriere e pure il cuoco.
«Chi fa con piacere il proprio lavoro – dice – quello non sarà mai un lavoro.»

Dieci anni dopo, una svolta imprevista e drammatica nella sua vita: il 23 novembre del 1980, davanti alla tv Carmine apprende in diretta e con sgomento del terremoto avvenuto a Napoli.
Per fortuna, pensa, il capoluogo campano è lontano da Lioni e dall’Irpinia. Invece, non è così. L’epicentro in realtà è avvenuto propria nella sua terra, lì nei suoi ricordi, nei suoi affetti.
Il governo tedesco - come sempre molto efficiente - organizza subito un volo di rientro degli emigrati provenienti dalle zone terremotate. 


Lioni, 23 novembre 1980. Il terremoto dell'Irpinia.
 
Arrivato a Napoli con la Lufthansa, Carmine prende un taxi e poi con mezzi di fortuna raggiunge quello che resta di Lioni al tramonto del giorno successivo trovando sua madre e sua sorella in strada, davanti a un fuoco, a fianco di quella che era stata la loro casa.
È un incontro doloroso, ma per fortuna la sua famiglia è salva. Disgraziatamente non sarà così per altri 228 concittadini. E’ proprio in quelle ore disperate che Carmine matura il proposito di portare sua madre con sé, a Francoforte, per sollevarla da quella tragedia.
 
Si parte pochi giorni dopo, ma purtroppo mamma Angela fa fatica ad ambientarsi in una grande città del tutto estranea alla sua cultura, di cui non conosce né lingua, né persone.
Sempre da sola in casa, un giorno a ora di pranzo si presenta a sorpresa al ristorante dove lavora Carmine portando in testa un grande cesto con dentro cavatelli al ragù e altre delizie fatte in casa: sono destinate al figlio e agli altri dipendenti del locale.
Tutti rimangono conquistati da quei gusti semplici e genuini del Sud, in particolare il proprietario che chiede ad Angela se è disponibile a preparare gli stessi piatti per i suoi clienti.
Lei acconsente molto volentieri ed è subito un successo, a tal punto che dopo alcuni mesi Carmine inizia ad accarezzare l’idea di mettere su, assieme a mamma, un ristorante tutto suo. E ci riesce per davvero.
L’occasione propizia avviene grazie ad un’amica ebrea il cui padre aveva affittato il suo albergo a dei lavoratori stranieri lasciando però liberi i locali al piano terra. È qui che Carmine nel 1981 avvia il Ristorante «La Mamma», proprio in onore di quella donna che vuole riscattarsi dalla miseria facendo conoscere le sue specialità.
 
Grazie ad alcuni amici musicisti e produttori discografici, che lì scoprono una cucina italiana molto diversa dalla solita pizza, ben presto il locale - massimo 40 coperti - diventa punto di riferimento di personaggi famosi, sia tedeschi che stranieri, di passaggio da Francoforte.
In quegli anni varcano la porta del ristorante, cantanti come Lucio Dalla, Gianna Nannini, i Queen, i Jethro Tull, Joe Cocker, Joan Baez, ma anche sportivi del calibro di Francesco Moser e Didi Thurau
 

Carmine con la cantante Joan Baez.
 
Sono anni formidabili per il Ristorante La Mamma e da tanta celebrità ne deriva quasi un rito per i personaggi del jet set internazionale che arrivano a Francoforte: tutti, almeno una volta, devono passare da quel locale e Carmine è sempre lì a fare loro da impareggiabile e simpatico anfitrione.
Non volendo essere da meno, anche lui in quegli anni diventa un «personaggio».
Infatti, spinto da un amico produttore decide di rispolverare il canto studiato in molti anni di collegio e incide un disco dal titolo «Enigma». Anche in questo caso è un successo: 12 milioni di dischi venduti in poco tempo in Germania e in altri Paesi.
 
Se non che, in barba alla fortuna e come spesso accade, un brutto giorno la fiaba si interrompe bruscamente. Infatti, nel 1987 muore all’improvviso mamma Angela e il locale perde di colpo un fondamentale punto di riferimento.
Carmine si rende subito conto che con la scomparsa della mamma è finita anche per lui un’epoca. Così, la strada della vita lo pone nuovamente di fronte a un bivio.
Il ristorante passa di mano pochi anni dopo e Carmine prende la decisione di trasferirsi in California.
Rimane a San Diego per quasi un anno mettendo a frutto la sua esperienza nel mondo della ristorazione, ma alla fine sceglie di rientrare al paese natale.
Il richiamo alle origini è molto forte. A Lioni, però, Carmine scopre che lì il tempo è ancora fermo agli anni della sua gioventù e che il progresso non pare essere passato da quelle contrade.
Insomma, lavoro non ce n’è, e l’unico settore in attività è purtroppo ancora quello dell’emigrazione. Lui ne prende atto, raccoglie il consiglio di un amico e riparte: stavolta la meta è il Lago di Garda.

Carmine Angelone, oggi.

Nel 1998 è all’Imperial di Limone, pochi anni dopo a Malcesine, al Don Pedro. Successivamente, per otto stagioni, sarà all’Hotel Gritti di Bardolino: tutti locali di categoria superiore in cui il nostro protagonista, facilitato dalla conoscenza del tedesco e dell’inglese, sa destreggiarsi molto bene con i turisti, ricavando da ciò buoni guadagni e molte soddisfazioni.
Tuttavia questo fatto anziché fargli mettere l’animo in pace, lo stimola ad accettare di nuovo altre sfide. Così, mentre tutti non si sarebbero mai sognati di lasciare un lavoro sicuro e ben retribuito, Carmine rovescia nuovamente il tavolo della sua vita e accetta di fare il «battitore» a Riva del Garda, dove mai prima di allora si era vista all’opera una figura del genere.
«Il suo target – ci spiega, – sono soprattutto le comitive che arrivano in pullman. Ormai, dopo anni, conosco tutti gli autisti e le guide ed è quindi più semplice avere il primo approccio e ottenere la fiducia.
«Ma non sta tutto qui, – ci confida. – È anche necessario conoscere bene la realtà del Paese da cui provengono i turisti, per esempio le loro usanze, le espressioni, le abitudini. Entrati in simpatia con una battuta e un sorriso, poi tutto diventa più facile e l’approccio in genere porta al successo della trattativa.»
È solo a quel punto che Carmine illustra ai suoi interlocutori i menù, parla di prezzi, offre biglietti da visita.
 
Noi l’abbiamo visto all’opera, lo fa con evidente passione perché il suo lavoro è la sua vita.
Per questo, a lui - che fra l’altro non è mai stato sposato e non ha figli - domandiamo come immagina la sua prossima pensione, lontano da turisti e ristoranti.
«Beh, quando sarò libero da impegni mi dedicherò finalmente alla musica, la mia passione da sempre, e forse finirò il mio libro autobiografico che ho iniziato da tanto tempo.»
Hai dei rimpianti di ciò che hai fatto o volevi fare? – Gli chiediamo.
«Ho avuto certamente una vita movimentata, ma ho sempre potuto fare ciò che desideravo. No, nessun rimpianto rifarei tutto ciò che ho fatto.
«Ora semmai – aggiunge, – ho una sola preoccupazione, o meglio un desiderio: quello di trovare qualcuno disponibile a portare avanti ciò che ho costruito qui a Riva del Garda. Perché, a differenza di ciò che molti pensano, quello del battitore è un bel lavoro, libero, a contatto con tanta gente, che apre orizzonti nuovi e permette di perfezionare le lingue.
«Un lavoro - conclude - che una volta imparato ti può offrire anche buoni guadagni.»
 
Ragazzi in cerca di occupazione, avete sentito?
Dai, fatevi avanti al più presto, troverete in Carmine un ottimo maestro.
Per di più - prendete nota - è disponibile a insegnarvi il suo lavoro completamente gratis.
 
Maurizio Panizza

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