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«Gli incontri del giovedì»: 9 febbraio 2017 – Di Daniela Larentis

Per l’Associazione Castelli del Trentino a Mezzolombardo interverrà l’archeologa Rosa Roncador: parlerà di Reti, Celti e karnyx di Sanzeno

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì» prosegue con l’appuntamento del 9 febbraio 2017.
Durante la conferenza, che si terrà come sempre alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, l’archeologa Rosa Roncador parlerà di «Reti, Celti e il karnyx di Sanzeno».
Rosa Roncador ha conseguito una laurea in Conservazione dei Beni culturali presso l’Università degli Studi di Bologna e un dottorato di ricerca in Archeologia presso lo stesso ateneo.
Ha preso parte a numerosi progetti di ricerca e a scavi archeologici sia in Francia che in Italia, collabora dal 2005 con l’Ufficio Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento.
Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, fra cui ricordiamo il volume curato dall'Ufficio Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento dedicato agli «Antichi popoli delle Alpi» (a cura di R. Roncador e F. Nicolis, 2014).
È inoltre Presidente e Coordinatore scientifico dell’Associazione culturale Alteritas, sezione Trentino.
In attesa dell’incontro di giovedì prossimo, abbiamo avuto il piacere di porgerle alcune domande.
 

 
Partiamo dal tema della conferenza che si terrà a breve: «Reti, Celti e karnyx di Sanzeno». Cosa intendiamo innanzitutto con il termine «karnyx»?
«Con il termine karnyx (parola greca), come attestato in Esichio di Alessandria, si fa convenzionalmente riferimento a una tromba da guerra in uso presso le popolazioni celtiche composta da una serie di tubi in lamina di bronzo e terminante in un padiglione a protome zoomorfa. Tale strumento veniva utilizzato durante le battaglie con lo scopo di terrorizzare il nemico.
«Di questo particolare modo di combattere dei Celti ci dà notizia il resoconto, generalmente attribuito allo storico Fabio Pittore, in seguito ripreso nell’opera di Polibio, relativo alla battaglia di Talamone, che ebbe luogo nel 225 a.C. e vide contrapposte la coalizione gallica formata dalle tribù degli Insubri, dei Boi e dei Taurisci, cui si erano aggiunti anche i Galli Gesati (mercenari di origine transalpina) e l’esercito romano:
«[I Romani] erano spaventati dall’aspetto e dal clamore dell’esercito dei Celti. Innumerevole era infatti la quantità dei buccinatori (bukanêtôn) e dei trombettieri (salpinktôn): un così lungo ed acuto clamore essi produssero quando tutti insieme intonarono il loro canto di guerra, che non solo le trombe (salpingas) dell’esercito, ma perfino i luoghi vicini, riecheggiando il frastuono, pareva emettessero una voce».
«Polibio, II, 29.»
 
Come è nato il progetto di ricerca e chi vi ha partecipato?
«Durante gli studi condotti dalla scrivente nell’ambito delle tesi di specializzazione e di dottorato sono stati riconosciuti, tra i reperti di Sanzeno (Val di Non) conservati presso la collezione archeologica del Castello del Buonconsiglio, alcuni elementi tubolari, una foglia e un bocchino di bronzo interpretabili come parti di karnykes.
«La rarità di tali reperti in ambito europeo (ne sono noti circa venti) e l’importanza del centro di Sanzeno per la seconda età del Ferro, hanno portato alla creazione di un gruppo di ricerca multidisciplinare internazionale che si è occupato dello studio del reperto e che sta curando la realizzazione di una copia sperimentale in bronzo.
«Il progetto di ricerca Karnyx di Sanzeno ha avuto inizio nel 2008 grazie al sostegno dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i Beni culturali della Provincia autonoma di Trento. A tale progetto, che non si è ancora concluso, partecipano numerosi enti di tutela e ricerca quali l’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i Beni culturali della Provincia autonoma di Trento, l’Università degli Studi di Genova, il Conservatorio F. A. Bonporti di Trento e il Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France (Louvre)».
 

 
Ce ne potrebbe illustrare brevemente le fasi principali?
«Il progetto Karnyx di Sanzeno si articola in tre parti. La prima si è incentrata sulla realizzazione delle analisi chimico-fisiche e strutturali finalizzate alla definizione della composizione chimica del reperto e al contempo all’identificazione delle modalità di lavorazione/costruzione dell’oggetto: le analisi sono state condotte da Benoit Mille e Paolo Piccardo presso i laboratori del Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France – C2RMF (Louvre - Parigi) e presso l’Università degli Studi di Genova.
«In contemporanea si è proceduto allo studio del contesto archeologico-culturale (Rosa Roncador) e di quello storico-musicale (Roberto Melini): quest’ultimo si è concentrato sulla storia della disciplina con particolare riferimento alle ricostruzioni di strumenti musicali e allo studio tipologico di strumenti affini attestati in altre epoche e in altri ambiti culturali dell’antichità.
«La seconda fase del progetto, ancora work in progress, prevede la ricostruzione sperimentale del karnyx meglio conservato (denominato tipo Sanzeno), identificato grazie alle analisi composizionali e strutturali, da parte dell’artigiano specializzato (Alessandro Ervas). I dati raccolti da ogni specialista durante gli studi, integrati dal confronto con quelli provenienti dai frammenti degli altri karnykes europei (il karnyx di Sanzeno è infatti incompleto essendo lacunoso della protome zoomorfa), hanno permesso la ricostruzione di una copia, al momento di ottone.
«La realizzazione dello strumento in ottone ha premesso all’artigiano specializzato di costruire i supporti per la lavorazione delle lamine, per la messa in opera dei tubi e per lo sbalzo della protome zoomorfa. Tutti i supporti verranno riutilizzati per la ricostruzione del karnyx in bronzo.
«In parallelo si è proceduto con la sperimentazione (e documentazione) relativa alle lamine di bronzo: dalla fusione dei lingotti alla realizzazione delle lamine tramite martellatura. Si è trattato di un percorso molto lungo e accidentato che sta faticosamente giungendo alla conclusione.
«Il karnyx di ottone vive ora una nuova vita come strumento musicale grazie alle sperimentazioni del maestro Ivano Ascari del Conservatorio F. A. Bonporti di Trento ed è protagonista del documentario The Lost Sound realizzato da Decima Rosa Video, con la regia di Elena Alessia Negriolli.»
 

 
Da un punto di vista metodologico come ha condotto lo studio archeologico dei reperti?
«Lo studio archeologico prevede la visione autoptica (quando possibile) del reperto, la sua analisi (composizione, morfologia, tipologia e cronologia) e la sua documentazione grafica (disegni e fotografie).
«Si procede poi alla schedatura del reperto e al suo inserimento in una banca dati che facilita la gestione di numerose e complesse informazioni (contesto, unità stratigrafica di provenienza, dimensioni, materiale, peso, tecnica di realizzazione, morfologia, decorazione, bibliografia, confronti, datazione ecc).
«In seguito per poter datare un reperto e per comprenderne il quadro culturale di origine o di riferimento si procede alla ricerca dei confronti, cioè alla ricerca di oggetti simili rinvenuti in altre parti d’Europa.
«Ad esempio per quanto riguarda i karnykes di Sanzeno sono ad oggi noti solo una ventina di esemplari sebbene il numero continui (grazie a nuovi riconoscimenti e a nuove scoperte) a crescere.»
 
A quando risalgono i rinvenimenti in Val di Non?
«I frammenti di karnykes furono rinvenuti a Sanzeno agli inizi degli anni Cinquanta durante gli scavi condotti in loc. Casalini sotto la direzione di Giulia Fogolari.
«Le ricerche archeologiche riportarono alla luce strutture abitative parzialmente interrate (case) al cui interno furono rinvenuti numerosi reperti metallici, ceramici ma anche ingenti quantità di cereali carbonizzati.»
 

 
Le indagini sul contesto di rinvenimento e sulle relazioni fra Celti e Reti a che risultati hanno portato?
«Lo studio delle interazioni tra Celti e Reti è stato oggetto della mia tesi di dottorato presso l’Università degli Studi di Bologna che sarà pubblicata a breve da BraDypUs (studio associato).
«Tale progetto di ricerca si basa sull’analisi di alcune classi di materiali (armi -tra cui anche i karnykes, - oggetti d’ornamento, produzioni artistiche, iscrizioni ecc.) che possiamo ricondurre ai Celti, presenti però in un territorio, quello delle Alpi centro-orientali, che secondo le fonti antiche era occupato dai Reti archeologicamente riconoscibili nella cosiddetta cultura materiale Fritzens-Sanzeno.
«L’analisi quantitativa (quanti oggetti), qualitativa (che tipo di oggetti) e cronologica (quando una tipologia di oggetti è comparsa e per quanto tempo venne utilizzata) di reperti ritenuti dagli archeologi tipici del mondo celtico (riconducibili alla cultura materiale di La Tène) in un altro contesto culturale (Fritzens-Sanzeno) hanno permesso di individuare i contattai tra Celti e Reti prima delle storiche migrazioni di IV sec. a.C. (del sacco di Roma, secondo il racconto di Tito Livio) e le continue interazioni fino alla romanizzazione (II sec. a.C.).
«Il territorio alpino centro-orientale (corrispondente agli attuali Trentino, Alto Adige e Nord Tirolo) svolse anche durante la seconda età del Ferro (la seconda metà del I millennio a. C.) il ruolo di mediatore tra mondo italico e mondo centro-europeo. Le vallate alpine non si configurarono dunque come solo vie di transito ma come luoghi di incontro e di scambio non solo commerciale ma anche culturale.»
 
Ha incontrato difficoltà nella comparazione delle fonti?
«No. Non ho incontrato particolari difficoltà anzi, secondo me, la ricerca di confronti è una delle parti più avvincenti del lavoro dell’archeologo.
«Quando finalmente (dopo lunghe ricerche in biblioteche e confrontandosi con i colleghi) si riesce a comprendere la funzione di un reperto e a datarlo (in modo particolare per una tromba da guerra come il karnyx) si prova una grandissima soddisfazione.
«È proprio questa soddisfazione che ti spinge a continuare sebbene le difficoltà del fare archeologia siano talvolta enormi.»
 

 
Lei è una delle socie fondatrici di Alteritas Trentino. Qual è la finalità dell’associazione culturale di cui lei è la presidente e quali attività svolge?
«L’idea di creare in Trentino una sede territoriale di Alteritas – Interazione tra i popoli (Verona) nasce dalla volontà di un gruppo di archeologhe che condividono l’impostazione multidisciplinare e diacronica della ricerca di Alteritas.
«Conoscere l’altro non solo nella contemporaneità ma anche tramite il confronto con altri vissuti in differenti epoche storiche e pre-protostoriche può essere fonte di sorprendenti scoperte.
«L’uomo con le sue necessità, con le sue paure e con il suo mettersi in relazione con gli altri membri della comunità con il trascorrere dei secoli ha messo in campo soluzioni talvolta simili sebbene molto distanti nel tempo.
«L’individuo inoltre con la propria complessità non può essere studiato utilizzando solo un punto di vista. Grazie all’esperienza di Alteritas (Verona) abbiamo potuto capire la necessità dell’interazione tra specialisti di differenti discipline quali storici, storici dell’arte, sociologi, antropologi, demografi, biologi, psicologi, economisti, giornalisti, musicisti ecc.
«Abbiamo dunque deciso di sperimentare questo approccio anche in Trentino.
«Alteritas Trentino svolge attività di divulgazione e di ricerca scientifica. Per quanto riguarda la divulgazione scientifica nel 2015 abbiamo ideato una rassegna di incontri (che proporremo anche quest’anno) dedicata al cibo intitolata CiBiAmo la MENTE in cui specialisti di diverse discipline (ad esempio entomologi, enologi, economisti, storici dell’alimentazione, archeologi ecc.) illustrano a un pubblico di non addetti ai lavori aspetti di alcuni dei prodotti tipici del territorio trentino quali il miele, il vino, i cereali, il formaggio e l’olio.
«Durante gli incontri i partecipanti hanno avuto la possibilità di conoscere un po’ del passato della nostra regione e di essere al contempo aggiornati su tematiche contemporanee relative ai metodi di coltivazione oppure alla fragilità della nostra biodiversità.
«Per quanto riguarda i progetti di ricerca Alteritas Trentino (sede territoriale trentina di Alteritas - Interazione tra i popoli, fondata nel 2015) aderisce al progetto multidisciplinare internazionale Alter-Habilitas occupandosi del tema delle disabilità in ambito museale. Alteritas Trentino vorrebbe contribuire a rendere tali spazi accessibili a tutte le fasce della popolazione, anche a quelle più deboli, diventando luogo di incontro e di inclusione sociale. Il progetto si propone di creare una rete di contatti e tavoli di lavoro composti da soggetti (pubblici e privati) che si occupano di disabilità, di valorizzazione e divulgazione del patrimonio culturale e di accessibilità museale al fine di realizzare congiuntamente percorsi didattici sperimentali.
«Tali attività, sarebbero rivolte ai disabili, alle loro famiglie e ai caregivers al fine di renderli partecipi della vita culturale della collettività ma anche a studenti, con lo scopo di aiutare lo sviluppo di una maggiore sensibilità nei confronti dei disabili.
«Abbiamo avuto di occasione di partecipare al progetto T-essere memoria ideato e condotto da Luisa Moser dell’Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento, dedicato ai malati di Alzheimer. Gli ottimi risultati di questo progetto ci hanno incoraggiate a proporre tale approccio anche a persone con altre patologie.»
 
Progetti futuri?
«Nel 2017 vorremmo che il progetto Alter-habilitas nei musei. Per la creazione di un network dedicato all’accesibilità museale entrasse nella fase operativa.
«Quest’anno vorremmo inoltre portare a Trento la conferenza Culture in Movimento. Gli oggetti raccontano la storia tenuta a Fiavè ad agosto 2016 e ampliare il progetto che si occupa di raccontare i migranti di ieri e di oggi.
«Questo progetto realizzato in collaborazione con ECOMUSEO della JUDICARIA, CINFORMI Trento, Alteritas (Verona) e altri nuovi partner in via in definizione, ripropone, anche per un tema così delicato e così attuale come quello delle migrazioni, l’approccio inter/multidisciplinare e diacronico, distintivo dell’associazione culturale Alteritas.
«Le motivazioni che spingono gli uomini a spostarsi non sono così diverse da epoca a epoca, anche le paure che questi spostamenti generano sono molto simili a quelle raccontate ad esempio dalle fonti greche e latine relative alla calata dei Celti in Italia, così come lo sfruttamento del dolore di queste persone si ripropone come nel Medioevo.
«Con questo non vogliamo ne fare paralleli, che sarebbero impropri perché le condizioni e le società cambiano, e nemmeno trovare soluzioni. E’ nostro desiderio solo illustrare il passato e far conoscere meglio (grazie all’aiuto di specialisti del contemporaneo) fenomeni che si ripropongono nella storia dell’umanità.»
 
Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

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