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I cinque anni dell'hospice «Amedeo Bettini» di Mori

Inaugurato il 15 febbraio 2012, ha una sua peculiarità tutta sua: il 30% dei ricoverati torna al domicilio dopo un periodo in struttura

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Era il 15 febbraio 2012 quando l'hospice di Mori, struttura intitolata al medico Amedeo Bettini e collegata all'Apsp, venne aperto e cominciò ad accogliere persone dall'intero territorio provinciale.
«In 5 anni – spiega il direttore Antonino La Grutta – contrariamente a quanto molti possono pensare, una significativa percentuale di pazienti ha potuto tornare al proprio domicilio dopo un periodo qui: circa il 30%.»
A guidare il lavoro di questa struttura è sempre stata, accanto alle diverse professionalità dei membri del team, una fortissima componente umana: una capacità di entrare in relazione coi pazienti e i loro familiari che è stata riconosciuta da più parti.
Spiega ancora il direttore: «Il gruppo di lavoro è lo stesso dall'inizio a oggi. Questo ha consentito di consolidare la squadra e affinare anche una serie di buone pratiche».
 
Proprio l'apprezzamento dei familiari è uno degli elementi che più dà motivazione a chi lavora all'hospice: in molti, periodicamente, si fanno sentire o fanno una visita, anche molto tempo dopo che il loro congiunto ha concluso il proprio cammino.
Alcuni hanno scelto di far parte dell'Associazione Vivere in hospice, che è una realtà altrettanto importante.
«Il gruppo dei volontari è andato crescendo e, questo mese, inizierà a lavorare anche al domicilio.
«Non è la prima attività esterna: corsi di formazione e iniziative anche di festa si sono susseguite.
«Oggi l'associazione conta 38 membri, 4 di loro seguiranno le attività domiciliari.»
 

 
L'associazione negli anni, grazie alle donazioni di familiari e sostenitori, ha regalato all'hospice macchinari diagnostici, paravento, uno stereo, alcuni copri divani, lampade e altro ancora.
Se dai familiari viene un costante riscontro, altrettanto accade con le istituzioni.
«La Provincia ha rinnovato per il prossimo triennio l'accreditamento. Lo sforzo parte dal consiglio d'amministrazione, passa da me e dagli uffici amministrativi e si concretizza nell'impegno di ogni singolo operatore e di ogni singolo volontario».
La coordinatrice infermieristica e dei servizi spiega così.
«Il gruppo ha sempre avuto la capacità di prendersi cura delle persone e del loro contesto familiare e amicale.
«Si è sempre cercato il lavoro in rete con l'azienda sanitaria, al fine di creare percorsi di continuità assistenziale. Ci rapportiamo con Rovereto, Riva del Garda, Trento.
«Siamo in costante contatto col palliativista dell’Apss; confronti vengono organizzati all'entrata in struttura, all'uscita e una volta a settimana. Nulla è lasciato al caso.»
 
I compleanni e gli anniversari spingono, come è normale, a ricordare anche qualche episodio curioso.
Come la vicenda di un ospite straniero che dopo un periodo all'hospice è tornato nella sua terra natale; in generale, l'hospice è venuto a contatto con molte persone provenienti anche da culture diverse, a cui si è cercato di dare risposta assecondando credo religioso e tradizioni: un confronto che ha portato arricchimento umano e culturale.
Talvolta, per persone che vivono particolari solitudini: «L'hospice è diventato addirittura una famiglia».

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