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«Cinquant’anni non sono bastati» – Di Daniela Larentis

Ospiti della Commissione Provinciale Pari Opportunità di Trento, Anna Maria Isastia e Rosa Oliva hanno presentato martedì il loro saggio a Palazzo Trentini, Trento

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Martedì 21 febbraio è stato presentato innanzi a un folto pubblico il saggio scritto a quattro mani da Anna Maria Isastia, professoressa di Storia Contemporanea presso l’Università «La Sapienza» di Roma, e Rosa Oliva, grazie alla quale fu cancellata, con la sentenza n.33 del 1960, parte di una legge risalente al 1919 che impediva alle donne di entrare in magistratura e in altre carriere pubbliche.
Ospiti della Commissione Provinciale Pari Opportunità di Trento che, in collaborazione con la Commissione Provinciale Pari Opportunità di Bolzano e con il Soroptimist International club di Trento, ha organizzato l’incontro pubblico a Palazzo Trentini, le due autrici attraverso il loro intervento hanno condiviso una riflessione che coinvolge tutta la società, su come noi donne eravamo, su come siamo e saremo. 
 
È stata sottolineata con forza l’esigenza di combattere l’invisibilità delle donne, le quali ancor oggi devono lottare contro un maschilismo imperante.
Come ha sottolineato Rosa Oliva nel suo intervento «il maschilismo non ha connotazione geografica» ed è tuttora presente.
Ha presentato l’incontro nel ruolo di moderatrice Simonetta Fedrizzi, Presidente della Commissione Pari Opportunità di Trento, la quale ha sottolineato l’importanza di trasmettere un messaggio positivo alle giovani generazioni di donne, le quali non sono del tutto consapevoli di quanto finora è stato fatto.
 
Il tipo di sottomissione, il dominio a cui le donne sono assoggettate da sempre, a noi fa venire in mente il pensiero di Pierre Bourdieu.
Il dominio è un aspetto centrale della riflessione del noto sociologo francese, scomparso agli inizi del III millennio.
Secondo il suo pensiero dominare non significa solamente imporre la propria volontà al corso degli eventi, ma anche definire la regola del gioco.
Per questo motivo una forma di dominio è efficace quando vi è misconoscimento della violenza, paradossalmente chi è in posizione subordinata non ha nemmeno coscienza della propria subordinazione.
Egli descrive questo misconoscimento in un interessante saggio dal titolo «Il dominio maschile», edito da Feltrinelli (lui usa il termine di «violenza simbolica»).
 
La bella recensione di Luciana Grillo, giornalista della nostra testata, aveva anticipato la data di questo importante appuntamento, delineando i contenuti del saggio e ricordando attraverso le parole dell’avvocato Gerardo Marotta, fondatore a Napoli dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, «che i diritti si conquistano con difficoltà e si possono perdere facilmente», un monito per le future generazioni.
(Vedi la recensione a questo link)
Oltre alle due autrici, sono intervenute Margit Fliri, Federica Romanelli e Franca Toffol.
 

 
Due parole sulle relatrici dell’incontro, prima di passare all’intervista.
 
 Anna Maria Isastia
Docente di Storia contemporanea all’Università Sapienza di Roma, si è a lungo impegnata in ricerche sulla storia risorgimentale e dell’Italia liberale.
Ha organizzato una serie di congressi anche sul tema delle pari opportunità e della rappresentanza democratica.
« stata Presidente nazionale del Soroptimist International Italia per il 2013-2015.
È componente del Direttivo della Rete per la Parità che ha fondato nel 2010 con Rosanna Oliva, Gigliola Corduas, Carla Mazzuca e Daniela Monaco.
Ha collaborato con l’Università di Bruxelles e con l’Università di Bordeaux per le ricerche sulla storia della massoneria femminile.
Nel 2013 ha pubblicato la prima ricerca sulle magistrate.
È presidente vicario della Fondazione Archivio nazionale ricordo e progresso e in quest'ambito si occupa di prigionie militari guidando e indirizzando la ricerca di giovani studiosi e studiose.
Come Segretaria Generale della Società Italiana di Storia Militare ha collaborato all’organizzazione scientifica del convegno «Le donne nel primo conflitto mondiale».
Ha al suo attivo più di 200 pubblicazioni tra monografie e saggi.
 
 Rosa Oliva, Presidente della Rete per la Parità 
Già funzionaria dello Stato, successivamente ha ricoperto come esperta giuridica incarichi regionali, in Parlamento e di Governo, impegnandosi in particolare sulle problematiche riguardanti la condizione dei minori, la lotta al dolore e per l’ambiente.
Si batte per i diritti delle donne da quando, appena laureata, come abbiamo detto riuscì a far cancellare con la sentenza n.33 del 13 maggio 1960 della Corte Costituzionale, una legge che penalizzava le donne nelle carriere pubbliche.
Nel 2010, dopo le celebrazioni dei 50 anni della sentenza, ha fondato, e ne è tuttora la presidente, la Rete per la Parità, per valorizzare i principi fondamentali della Costituzione, a partire dall’uguaglianza formale e sostanziale tra donne e uomini.
Grande Ufficiale della Repubblica, le è stato assegnato il premio Minerva 2010 per l’uguaglianza di genere.
Ha recentemente pubblicato «Cinquant’anni non sono bastati, le carriere delle donne e Cara Irene ti scrivo».
 
 Margit Fliri 
Nel 1970 Margit Fliri è stata la prima donna magistrato del Trentino Alto Adige.
Dopo 7 anni come Pretore e 19 da giudice penale presso il Tribunale di Bolzano, ha svolto dal 1996 al 2008 le funzioni di Presidente del Tribunale per i Minorenni, e quindi sino al collocamento a riposo avvenuto nel 2010 quelle di Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale del Minori.
Per quasi 40 anni è stata vicepresidente di sezione prima e quindi Presidente della Commissione tributaria di 1. grado di Bolzano.
 
 Federica Romanelli 
Dal 2003 al 2014 è stata Dirigente medico con incarico a tempo indeterminato presso l’Ospedale Sacro Cuore di Negrar con attività di Chirurgia vitreo/retinica; chirurgia della cataratta; retina medica; laser; ecografia oculare).
Dal 2014 è responsabile dell’unità Operativa Trento e Rovereto presso APSS Trento.
E’ inoltre autrice di numerosi articoli e pubblicazioni su argomenti che attengono la sua attività professionale.
 
 Franca Toffol 
Ha un percorso lavorativo variegato. E’ stata insegnante, si è occupata di rassegne stampa, da circa 12 anni progetta e dirige iniziative legate in particolare alle pari opportunità e alla cultura di genere.
È presidente dell’associazione Rete donne-lavoro, vicepresidente della Commissione provinciale pari opportunità di Bolzano, del Comitato culturale del Cristallo e di un’associazione di volontariato.
 

 
Quando fu emanata la sentenza Rosa Oliva era appena laureata, ora a distanza di moltissimi anni abbiamo avuto il privilegio di rivolgere a lei e ad Anna Maria Isastia alcune domande.
 
Come ricordava Luciana Grillo nella sua recensione, Flavia Marzano considera che «abbiamo nuove opportunità offerte dalla rete e dalle nuove tecnologie, nuove modalità di comunicare e interagire». Siete d’accordo?
Che cosa può rappresentare oggigiorno la rete per le donne, più opportunità oppure minaccia?
 
R. Oliva: «Io direi più opportunità. Le minacce non mancano, purtroppo siamo abituate a riceverle con ogni mezzo. La rete rappresenta un’opportunità per le associazioni. Io sono testimone di come una piccola associazione, Aspettare stanca, lo sia.
«Questa associazione è nata proprio grazie alla rete nel 2006; non avevamo fondi, eravamo in poche eppure siamo attive ancora adesso. Così come Rete per la parità, un’associazione di associazioni, nata grazie alla rete dopo le celebrazioni dei cinquant’anni della sentenza del 1960.»
 
Il sociologo francese Bourdieu parla del dominio maschile quale esempio di una sottomissione che chiama «violenza simbolica», spesso accettata dalle stesse donne. Siete d’accordo con questo pensiero?
Le donne sono o non sono ancora del tutto consapevoli di questa «violenza dolce» che spesso subiscono nella quotidianità?
 
A.M. Isastia: «Sicuramente. Le donne non solo non sono consapevoli di questa cosiddetta violenza dolce, ma la condividono e la ripropongono alle nuove generazioni.
«Noi siamo portatrici di una cultura maschilista che riproponiamo senza nemmeno renderci conto di quello che si insegniamo ai nostri figli, del come ci muoviamo nella società, dei messaggi che noi spesso lanciamo.
«È indispensabile innanzitutto che le donne acquisiscano consapevolezza di questo, attraverso il linguaggio, attraverso una serie di simboli, di comportamenti, di atteggiamenti.
«A volte anche le frasi fatte, i modi di dire sono portatori di valori che sono del passato e che noi inconsciamente riproponiamo.»
  
Da un punto di vista metodologico come avete affrontato la stesura del saggio?
 
A.M. Isastia: «Siamo partite nel 2010 con le celebrazioni per i cinquant’anni e da quel momento si sono riproposte e moltiplicate le iniziative.
«Quando, poi, insieme a Rosanna Oliva è stato deciso di trasformare il tutto in un libro, ci siamo mosse ex novo, non utilizzando il materiale del passato, ma chiedendo collaborazioni nuove alle persone che coinvolgevamo, cercando di lavorare su tutti i settori che ci potevano interessare.
«Il problema è stato quello di limitare, di escludere, di concludere in tempi rapidi e, se posso dire, se fosse stato per Rosanna Oliva avremmo pubblicato L’Enciclopedia Treccani
 

 
Nel libro viene evidenziato il pensiero di Teresa Gualtieri, la quale da architetta suggerisce una nuova urbanistica attenta alle donne. La città deve anche secondo voi «rendere i luoghi fisici e sociali idonei al recepimento ed espressione dei sentimenti delle donne»?
In che modo potrebbe farlo?
 
R. Oliva: «Può farlo se c’è quel cosiddetto sguardo di genere, cioè in tutto ciò che si decide di fare nella vita, in particolare nell’urbanistica e nell’assetto delle nostre città, bisognerebbe tener conto che l’umanità è composta da donne e da uomini.
«Siamo diversi e abbiamo anche necessità diverse. Questo è la città delle donne, come la chiamo io. Tra l’altro Teresa, che è anche la presidente del comitato scientifico della Rete per la parità, segue il gruppo di lavoro per l’obiettivo 11 e fa l’agenda per lo sviluppo sostenibile.
«Stiamo collaborando all’alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, per ogni obiettivo c’è un gruppo di lavoro. Io coordino il gruppo di lavoro parità di genere, obiettivo 5, e Teresa Gualtieri collabora per l’obiettivo 11, le città sostenibili, proprio con il ruolo di portare all’interno di questo gruppo, composto dalla maggior parte di uomini, questa visione di genere, di cui lei è molto esperta, perché da architetta e urbanista ha sempre avuto questa particolare attenzione alle necessità delle donne.»
 
Nella terza parte del saggio affrontate la questione dell’uso della lingua italiana, il quale non sarebbe progredito verso la parità di genere. Alcuni pensano che non si tratti di una questione davvero importante. Qual è sinteticamente il vostro pensiero a riguardo?
 
R. Oliva: «Noi come Rete per la parità abbiamo tra i nostri obiettivi il filone mai più donne invisibili. All’interno di questo filone abbiamo individuato, innanzitutto, il linguaggio come uno strumento per dare visibilità alle donne.
«Le donne non possono essere nascoste, ad esempio con i titoli al maschile; tra l’altro in violazione alle regole della grammatica, perché in italiano il neutro maschile non esiste.
«Così come affibbiare a una donna un titolo maschile nasconde il fatto che sia una donna e ciò non è giusto, anche se molte donne non sono d’accordo».
 
Qual è il monito che desiderate lanciare a tutte le giovani donne?
 
R. Oliva: «Io ho scritto un piccolo libro Cara Irene ti scrivo, rivolgendomi a mia nipote di nove anni, proprio perché ritengo sia importante parlare ai giovani e alle giovani. Siamo molto presenti come Reti per la parità nelle scuole.
«Con Anna Maria Isastia stiamo seguendo un progetto all’interno di un istituto superiore con delle classi tutte maschili, ci sono solo due ragazze, ed è bellissimo confrontarsi con questi ragazzi che negano il problema, che ci accusano di essere superate, di non conoscere la realtà, invece sono loro che non hanno consapevolezza.»
 
Infine abbiamo avuto il piacere di rivolgere a Simonetta Fedrizzi un’ultima domanda, a conclusione di questo importante appuntamento.
In relazione all’incontro di oggi e alla luce della sua esperienza, che idea si è fatta delle giovani donne, oggigiorno, e quale messaggio si sentirebbe di dare?
 
S. Fedrizzi: «A noi sta molto a cuore la trasmissione di un messaggio positivo alle giovani generazioni. L’idea che mi sono fatta è che non ci sia del tutto la consapevolezza del percorso che è stato fatto finora da parte delle donne.
«Sarebbe importante aiutare le giovani a valorizzare le loro competenze, aiutarle ad immaginarsi anche in ruoli ricoperti generalmente da uomini. Hanno le capacità e anche le competenze.
«Si tratta di superare una sorta di autolimitazione che ancora riscontro nelle donne. In misura minore rispetto a un tempo, tuttavia esiste ancora. Vuole essere anche un messaggio di fiducia quello che vogliamo dare, un messaggio positivo.»
 
Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

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