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Il concerto-ombra e la tragedia di Trento – Di Sandra Matuella

Vinicio Capossela: «…I mostri che albergano dentro noi stessi e che vivono nell’ombra. Ma soprattutto la cosa più spaventosa: noi stessi, la nostra ombra interiore»

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Immagine del concerto Ombra all’Auditorium.
 
In una Trento incredula e sotto shock per il terribile massacro dei piccoli figli da parte del padre che si è poi gettato in un dirupo, nemmeno un bel teatro tutto esaurito poteva invitare a una serata allegra e spensierata: invece, il concerto di Vinicio Capossela che si è tenuto appunto lunedì, in un gremito Teatro Auditorium, si è rivelato un appuntamento utile, per quanto possibile, ad elaborare e, in qualche modo, accogliere, l’orrore accaduto durante il giorno.
Con le sue «Canzoni della cupa e altri spaventi», tappa del tour «Ombra», Vinicio Capossela, lo sciamano della musica d’autore italiana, ha cantato le inquietanti metamorfosi dell’uomo in creature fantastiche, emerse dal profondo della notte dei tempi.
«Vecchie conoscenze – osserva Capossela – il minotauro, il ciclope, i mostri che albergano dentro noi stessi e che vivono nell’ombra. Ma soprattutto la cosa più spaventosa… noi stessi, la nostra ombra interiore. Perché, come dice il mio amico pescatore d’ombre Jacopo Leone, la luce rivela il visibile, l’ombra rivela l’invisibile.»
 
Il palco è una scatola nera, luogo di passaggio di licantropi, di sirene che cantano la voce degli assenti, di uccelli della notte e angeli caduti, di lamenti di anime senza pace e morti di malamorte.
È una caverna che brulica di maschere velate di nero, di clandestinità e di labirintici specchi deformanti dove ballano «le ombre scure che genera la luce della convenzione sociale e che il corpo proietta sul terreno dell’istinto».
E’ insomma una scena vorticosa che abbraccia la dimensione del sacro: instancabile esploratore del mito, di riti magici e culti antichi del Mediterraneo, sconfinando anche nel mondo biblico e nelle parabole evangeliche, nel 2011, in occasione del precedente concerto a Trento, Vinicio è salito in cattedra alla Facoltà di Lettere, insieme a Giorgio Ieranò, docente di Storia del teatro greco, per raccontare la sua complessa avventura artistica e antropologica.
Alla fina del concerto di lunedì, dal palco Vinico parla di ombre e di inconscio citando Jung, e invita le persone ad entrare in questa dimensione «non sul lettino dello psicoanalista, ma sulla poltrona del teatro», in forma, quindi, partecipata e condivisa: «certo i biglietti dei teatri non sono proprio economici, ma costano comunque meno di una seduta di psicoanalisi». Pioggia di applausi!
 

Egidio Galvan tra Claus Soraperra e Manuel Riz.
 
È anche vero, però, che gli spettacoli teatrali con la creatività e i mezzi per far vivere un’esperienza sensoriale e spirituale così incisiva, siano davvero rari, e non a caso il concerto di Vinicio è stato salutato con una doppia standing ovation finale al cantautore e ai suoi straordinari artisti e musicisti di strumenti antichi e moderni, tra cui Anusc Castiglioni, scenografa e animatrice d’ombre che ha trasformato la scena del concerto in un grande teatro di ombre e lanterne magiche di visioni ineffabili.
E Vincenzo Vasi, musicista unico per originalità e presenza scenica, virtuoso del Theremin, uno strumento elettronico dalle sonorità spettrali (indimenticabile il concerti di Capossela in cui Vasi suonava accanto al «cristallarmonio» del musicista trentino Gianfranco Grisi, altrettanto originale e magnetico: lunedì, a fine concerto, dal palco Vinicio ha salutato Grisi mandandogli pure un bacio).
 
Questo concerto «Ombra» aveva anche un cuore tutto trentino: Egidio Galvan, dell’omonima celebre ditta di pianoforti di Borgo Valsugana, è infatti l’accordatore di fiducia di Vinicio, mentre ad agitare la scena e la platea, sono scesi da Canazei i due Kramups ossia i diavoli delle leggende dolomitiche, impersonati da Claus Soraperra e Manuel Riz: a loro il compito di spaventare, ha specificato Capossela a fine concerto, e non di fare semplicemente paura, per risvegliare così alla vita.
Sono maschere potenti della tradizione alpina, armate di forconi di legno, che appartengono anche a quel variegato mondo dionisiaco, portatrici come sono del «terrore ebbro e creatore», come diceva Platone, e quindi «di quell’anarchia micidiale da cui nasce il bisogno di coesione e unità».

Sandra Matuella - s.matuella@ladigetto.it
 
Vinicio Capossela.

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