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Storie di donne, letteratura di genere/ 162 – Di Luciana Grillo

Elena Poniatowska, «Tinissima» – Un omaggio alla donna che incarnò lo spirito romantico e rivoluzionario dei suoi tempi e la nuova condizione femminile del '900

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Titolo: Tinissima
Autrice: Elena Poniatowska
 
Traduzione: Francesca Casafina
Editore: Nova Delphi Libri 2016
 
Pagine: 626, Brossura
Prezzo di copertina: € 21
 
Ci sono biografie e biografie, questa è una straordinaria biografia che, insieme alla storia della vita di Tina Modotti, ci trasporta negli anni ’20 dell’Europa e dell’America, ci coinvolge nella Storia di Paesi lontani dove si andava per trovare lavoro e dignità e qualche volta per sfuggire al nazismo e al fascismo.
La famiglia di Tina Modotti vive a Udine, «a stretto contatto con la miseria», poi si trasferisce negli Stati Uniti. Il padre Giuseppe è un socialista convinto: «Le lotte operaie, gli scioperi e i cortei erano un punto fermo nella vita di Giuseppe».
Il fratello Benvenuto «che parlava inglese come un nordamericano, si fermava a chiacchierare con la sorella maggiore fino a tarda notte» e le diceva che «le donne sono responsabili del proprio corpo, possono disporne alla pari degli uomini».
 
Dunque, Tina, nata nel 1896, è affiancata da parenti evoluti, ma è bella, e per tutta la vita sentirà il peso della sua bellezza: quando ad esempio avversari politici uccidono il suo compagno Julio Antonio, il lungo processo che seguirà diventerà per lei un tormento, una continua umiliazione.
Scaveranno nel suo passato, le attribuiranno amanti e l’accuseranno di eccessiva libertà, finirà col sentirsi processata a sua volta.
|I giornalisti scrivevano: L’attraente veneziana dagli occhi neri e dallo sguardo profondo, La bella protagonista del tragico fatto… inquietante, seducente, accattivante, torturante e sinuosa
 
La Poniatowska accompagna Tina nel suo faticoso cammino, indica date significative, parte dal 10 gennaio 1929 – giorno dell’omicidio di Julio Antonio – e torna indietro, agli anni in cui si conobbero, ai ricordi di Julio Antonio, a cui la nutrice Longina aveva insegnato che «solo le cose che non conosciamo ci fanno paura», mentre la madre Cecilia, che «odiava il sole di Cuba… guardava i suoi figli senza vederli, e parlava con loro in inglese. O non parlava. Aspettava rabbiosa. La sua impazienza permeava tutta la casa. Una bomba a orologeria, la casa; un detonatore, sua madre».
Julio intanto cresceva, si interessava di politica, seguiva i seminari sul marxismo di Rubèn Martìnez Villena, «maneggiava cifre, percentuali» e si chiedeva: «Perché non siamo i padroni della nostra ricchezza?... Faceva volteggiare in aria la lotta sociale… L’Avana era la sua casa, ma ancora di più l’università… Quando gli altri arrivavano, lui era già lì… La sua dedizione impressionava… Dietro ogni manifestazione c’è lui».
 
Ma torniamo a Tina, che nel ’28, quando lui è esule in Messico, se ne innamora e con lui partecipa a incontri e assemblee: «Con Julio al suo fianco, poteva affrontare tutto», ma sente il pericolo avvicinarsi, vorrebbe andare via, «anche in Messico potevano ucciderlo. Sentirsi spiati stanca, Tina non camminava più per le strade senza voltarsi».
Dopo l’assassinio, Tina viene condannata agli arresti domiciliari e sorvegliata notte e giorno. «Tina è isolata da una ringhiera in uno scenario che ricorda il circo romano con la fossa e i leoni… Lei non ha padroni, le italiane vanno lasciate sciolte».
In Messico Tina è arrivata nel 1922, già vedova, con la suocera Rose Richey: «Dal Messico si aspettava tutto. Si svegliava con una forza nuova, che aveva provato solo a Udine da bambina» e diceva: «Questo paese mi porta a essere migliore ogni giorno…miglior amante, miglior discepola, miglior fotografa, miglior essere umano. Qui mi costruisco e mi reinvento».
E vivendoci, si sentiva «sempre più attratta dal Messico oscuro, ricoperto di polvere e di piaghe… il Messico degli affamati, delle baracche», dove conobbe Diego Rivera e Vladìmir Majakowskij, continuò ad amare la fotografia, posò come modella, organizzò mostre di successo, frequentò l’Ambasciata russa e fu apprezzata dall’ambasciatrice che l’abbracciò dicendole: «Mi piacciono le donne come lei, che sfidano il mondo, costruiscono un nuovo ordine».
 
Sarebbe eccessivo indicare tutti i suoi spostamenti, le sue esperienze, le conoscenze e gli amori, i successi professionali e politici.
Basti ricordare che «per il tuo impegno sociale, la cellula dei giornalisti ti ha scelta come rappresentante. Farai parte dell’avanguardia del proletariato» e che «a Mosca, sulla rivista Puti Mopra del Soccorso Rosso Internazionale, le sue foto denunciano la miseria in America latina».
 
Come fotografa – siamo nel 1929 – «Tina si è ripromessa di abbandonare ogni estetismo, l’arte per l’arte, ma allo stesso tempo vuole innalzare la realtà al rango di arte».
Certo Tina fu una donna coraggiosa e forte, anticipò le lotte e il femminismo, esaltò l’impegno politico e la libertà sessuale, ma fu sicuramente «scomoda» e presa di mira perché donna.
All’arresto seguirono l’espulsione e il ritorno in Europa, una sosta a Berlino, viaggi a Mosca, in Crimea, a Praga, a Parigi, a Vienna, a Granada, missioni importanti in Cina al servizio dello spionaggio sovietico.
Tina «parla in maniera categorica della dittatura del proletariato, della lotta di classe, dell’autorità del partito, delle contraddizioni interne e del trionfo del socialismo…».
 
Tutto ciò mentre in Europa si affermano i regimi totalitari e Tina è costretta a cambiare il suo nome in quello di Marìa Sanchèz.
L’autrice non si risparmia, descrive l’impegno di Tina durante la guerra civile spagnola, il suo dolore straziante quando apprende che la mamma è morta, il compito di accogliere i delegati al Congresso degli scrittori a Valencia («Preferirei rimanere all’Ospedale OperaioÈ un ordine del partito. Tu conosci molte lingue... sei indispensabile»), l’impressione che esprime Juan quando la rivede: «Era la donna più attraente del Messico negli anni venti, la più bella… È irriconoscibile!. La segue con gli occhi, ombra di se stessa dentro il vestito nero, le tempie imbiancate, un’espressione amara che ne altera i tratti un tempo allegri. Solo il modo di camminare è rimasto uguale. E Juan prova una grande pena. La guerra stanca, la guerra distrugge».
 
In mezzo a tanto male e tanto dolore, Tina conosce Rafael Alberti e Antonio Machado, «un grande poeta, sul serio, un grande poeta spagnolo» il cui feretro viene avvolto dalla bandiera repubblicana e Pablo Neruda.
È il 1939, il generale Franco ha vinto la guerra. Tina parte per New York ma, una volta arrivata, non la lasciano sbarcare, scenderà in Messico, ma «È tornata in un altro Messico o lei non è più la stessa. L’agente di immigrazione le ha timbrato il passaporto senza nemmeno guardare la fotografia».
Tina è sempre più chiusa, più lontana, «fluttua per le stanze, sforzandosi di non disturbare nessuno… è riservata, di una passività nervosa… Non avere documenti, non avere patria, non avere figli, non avere famiglia… Non teme la morte, al contrario, ha con la morte una reazione creatrice; è al Messico cambiato che non riesce ad adattarsi», con il passaporto di un’altra donna riesce a tornare a New York, rivede l’amato fratello e di nuovo va in Messico e con Vittorio, in una minuscola casa, in cerca di una normalità perduta per sempre cerca di ricominciare a vivere.
Tina Modotti muore il 6 gennaio 1942, e ancora una volta i giornalisti si accaniscono contro di lei, «la Maddalena comunista… ha sempre condotto una vita misteriosa… Era stata espulsa nel 1930, con l’accusa di cospirazione e tentato omicidio… il suo primo marito morì in modo inesplicabile… donna depravata e pericolosa… spia al servizio dei fascisti italiani».
 
Il fratello Benvenuto cerca di proteggerne la memoria, Pablo Neruda per lei compone una poesia che tutti i giornali pubblicano, la sepoltura nel Panteòn de Dolores è nella sezione più povera.
Tina Modotti, hermana, no duermes, no, no duermes:
tal vez tu corazòn oye crecer la rosa
de ayer, la ùltima rosa, la nueva rosa.
Descansa dulcemente, hermana. Pablo Neruda
(Tina Modotti, sorella, non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.)
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Precedenti recensioni)

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