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Enrico Finazzer, le camionette del Regio Esercito – Di D. Larentis

È autore di diverse interessanti pubblicazioni dedicate alla storia militare – L’intervista (seconda parte)

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(Link alla prima parte dell'intervista)
 
Dottor Finazzer, lei ha al suo attivo diverse altre pubblicazioni, una di queste è dedicata alle camionette del Regio Esercito utilizzate nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Come è nata l’idea di scrivere un libro su questo tema?
«Il libro è nato durante un’esposizione modellistica ad Appiano, in occasione di una visita con il Gruppo Modellistico Trentino di studio e ricerca storica di Trento.
«Mi sono trovato lungo il percorso espositivo di fronte al modello di un mezzo di cui, con mio grande stupore, non sapevo nulla, utilizzato, come indicava la didascalia, in Nord Africa: la camionetta AS 42.
«La ricerca sulle camionette del Regio Esercito è quindi scaturita da questa mia iniziale curiosità, interesse che mi ha spinto ad indagare in questa direzione.
«Ho cercato successivamente di riunire tutte le diverse informazioni che ho via via vagliato inserendole in un’unica pubblicazione, gettando così nuova luce sull’uso bellico delle camionette.
«Mi sono avvalso dell’aiuto di Luigi Carretta, coautore del volume, il quale si è occupato soprattutto della prima parte, quella tecnico-meccanica, mentre io mi sono dedicato prevalentemente alla seconda, quella storica, relativa in particolar modo ai reparti che hanno utilizzato questi mezzi; sono state inserite infine molte immagini inedite, le quali hanno contribuito ad impreziosire l’opera.»
 

Camionette AS42 del Raggruppamento sahariano in esplorazione in Tunisia nel marzo 1943. 
Da «Le camionette del Regio Esercito», Gruppo Modellistico Trentino, 2014.

 
Stiamo quindi parlando del teatro operativo nord-africano, potrebbe inquadrare l’argomento?
«Durante la Seconda guerra mondiale il teatro operativo nordafricano, quello libico in particolare, fu uno dei più importanti per il Regio Esercito e l’unico in cui le nostre forze ebbero modo di misurarsi con quelle dell’Impero Britannico, prima da sole, poi in cooperazione con le forze tedesche nel prosieguo della campagna, fino all’epilogo della resa in Tunisia nel maggio del 1943.
«Delle operazioni in Cirenaica e Tripolitania tra il 1940 e l’inverno del 1942 si è scritto molto, anche dei mezzi che presero parte alle operazioni. Ma c’è anche un altro fronte, quello del Sahara libico e del Fezzan, in cui si batterono poche centinaia di uomini decisi, equipaggiati con strumenti più o meno adatti a quel particolare teatro operativo e per i quali furono messi a punto, con colpevole ritardo, dei mezzi appositamente studiati per l’impiego nelle condizioni estreme del deserto.
«Le prime esperienze operative nel teatro del Sahara libico risalgono già agli anni ’20, quando l’Italia si accinse a estendere oltre la stretta fascia costiera il proprio dominio sulla Libia che, sulla carta, era sancito fin dal 1912, a seguito della guerra Italo-turca.
«La penetrazione in quelle zone inospitali dimostrò da subito che il modo migliore di controllare quel territorio era un agile insieme di colonne mobili, con grande autonomia e appoggio dal cielo, che potessero intervenire con rapidità al bisogno.
«Quattro delle compagnie avio-sahariane andarono perdute nelle fasi iniziali della guerra in Libia; esse furono poi ricostituite nella primavera del 1941 con l’incarico di difendere il Sahara libico dalle incursioni del Long Range Desert Group britannico dall’Egitto e, in un secondo momento, anche dai francesi del Ciad.
«Le compagnie avio-sahariane furono equipaggiate con l’ottimo Autocarro Sahariano AS 37, mezzo appositamente studiato per l’ambiente desertico, dal quale furono successivamente ricavati dei mezzi di circostanza che dettero buona prova di sé e furono all’origine della serie di ottime camionette che avrebbero dovuto costituire la punta di lancia delle forze mobili.
«In Italia, nel frattempo, si lavorava alla creazione di unità specificatamente addestrate per azioni di sabotaggio e disturbo a lungo raggio dietro le linee nemiche, in particolare il X Reggimento Arditi e i Centri Militari, nonché alla realizzazione di mezzi, altrettanto speciali, che consentissero l’ampia autonomia e la robustezza necessarie a questo tipo di azioni.
«Alla fine del 1942, l’offensiva britannica seguita alla grave sconfitta di El Alamein portava allo sgombero della Tripolitania e al conseguente ritiro di tutte le forze dal Sahara libico, terminato nei primi giorni del 1943. In questo modo queste forze e questi mezzi perdevano il loro teatro operativo e la libertà d’azione a lungo raggio che dovevano costituire aspetti della loro principale caratteristica, finendo con l’operare inquadrati come semplici unità di esplorazione più o meno lontana in Tunisia o, successivamente, come unità anti paracadutisti quando, persa l’Africa, la minaccia si profilò in pieno sul territorio nazionale.
«Durante l’armistizio queste unità speciali seguirono poi la diaspora che caratterizzò tutto il Regio Esercito.»
 

Batteria di moderni cannoni da 149/40 nel deserto nordafricano nel 1942.
Da «Le artiglierie del Regio Esercito», Italia Storica 2012, disponibile anche in formato e-book.
 
Ha incontrato particolari difficoltà nell’analisi delle fonti?
«La difficoltà maggiore è stata riconciliare le diverse fonti; soprattutto sul numero e sull’impiego delle camionette c’erano diverse informazioni discordanti.
«Riuscire a mettere insieme tutte le informazioni e far quadrare il tutto è stato molto impegnativo, laddove non c’era una linea comune ho scelto di inserire le varie versioni.»
 
Quante camionette sono state prodotte?
«Si tratta pur sempre di numeri irrisori se confrontati ai mezzi prodotti dagli americani, per esempio, a ogni modo è stato difficile stabilirlo in quanto le informazioni a tal riguardo erano davvero discordanti.
«Si va dalle 60 alle 200, c’è chi dice 300. Quelle tracciabili con certezza non sono più di un’ottantina.»
 
Quale fu il primo reparto ad utilizzare le camionette?
«Il primo reparto ad utilizzare le camionette fu il Raggruppamento Sahariano, nato dalle ceneri delle compagnie avio-sahariane create da Italo Balbo nella seconda metà degli anni ’30.
«Queste ultime erano delle formazioni interamente mobili, composte da personale italiano e libico, create dapprima in numero di cinque e poi portate a sette e posizionate in punti strategici del territorio che erano destinate a controllare.
«Esse potevano contare, ciascuna, su tre velivoli dell’aviazione sahariana alle proprie dirette dipendenze, i Caproni 309 Ghibli appositamente progettati per il deserto, in funzione di ricognizione e supporto aereo ravvicinato.
«Un primo, moderno esempio di collaborazione interforze per le Forze Armate italiane.»
 

Artiglieria semovente prodotta dall’Ansaldo: a sinistra un pezzo da 75/18, a destra un cannone da 105/25.
Da «Le artiglierie del Regio Esercito», Italia Storica 2012, disponibile anche in formato e-book.
 
Fra i reparti che le utilizzarono ce n’è qualcuno che ha attirato particolarmente la sua attenzione?
«Per me è stato estremamente interessante scoprire l’esistenza di certi reparti. A parte le compagnie sahariane di cui avevo già sentito parlare, ossia i piccoli reparti mobili che presidiavano il deserto del Sahara, ho scoperto l’esistenza di unità costituite da soldati stranieri che erano arruolati nell’esercito italiano, in particolare soldati volontari arabi che avrebbero dovuto combattere a fianco dei nostri soldati e che si erano arruolati per vari motivi.»
 
Quali potrebbero essere stati questi motivi, secondo lei?
«Per esempio alcuni avrebbero potuto farlo perché idealmente volevano la liberazione del mondo arabo dal dominio inglese e francese; altri semplicemente perché magari si trovavano in Italia al momento dello scoppio della guerra; o per altri diversi motivi.
 
E quale sarebbe stato il loro ipotetico utilizzo?
«Queste poche centinaia di uomini erano state riunite in unità specifiche che dovevano servire per il sabotaggio dietro le linee nemiche, incursioni a lungo raggio, avevano infatti il vantaggio di conoscere la lingua.
«Erano praticamente dei Commandos, ma non furono mai o quasi mai in realtà utilizzati, per svariate ragioni anche politiche.»
 
Altri esempi?
«Un altro reparto molto interessante era il X Reggimento Arditi, formato da veri e propri Commandos italiani, dei quali si sa davvero molto poco, ma che in realtà hanno portato avanti delle azioni singolari, anche di successo (non meno meritevoli delle controparti inglesi).
«Si era ormai nel 1942 quando il Regio Esercito si rese conto che le tattiche di infiltrazione utilizzate dalle forze britanniche potevano e dovevano essere replicate dalle nostre forze, purché opportunamente selezionate e addestrate.
«Nella primavera di quell’anno fu sancita la creazione di un battaglione Arditi su quattro compagnie, poi ridotte a tre e posto alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore. Il reparto riprendeva il nome e le tradizioni ideali dei reparti di Arditi della Prima Guerra Mondiale, benché le tattiche fossero radicalmente diverse.
«Nel luglio successivo, al primo battaglione se ne aggiunse un secondo per formare un reggimento che prese il nome di X Reggimento Arditi. Le compagnie camionettisti dovevano essere equipaggiate con ventiquattro camionette AS 42, suddivise in quattro pattuglie, ognuna composta da due ufficiali e diciotto arditi.
«Il primo reparto del X Reggimento a ricevere le camionette fu la 103ͣ Compagnia Camionettisti del I Battaglione che vide il primo lotto di AS 42 assegnatole distrutto durante il bombardamento di Torino del novembre 1942 e ricevette i propri mezzi solo alla vigilia dell’invio sul fronte tunisino, cosa che avvenne alla fine di gennaio del 1943.
«Sfortunatamente, quando i camionettisti giunsero in Africa si accorsero che via mare erano arrivate solo una parte delle camionette, dodici sulla normale dotazione di diciotto delle tre pattuglie inviate laggiù.
«Durante le operazioni sul fronte tunisino l’utilizzo delle camionette AS 42 non fu quello previsto, tuttavia esse furono in grado di assicurare quell’apporto di fuoco mobile che durante la Seconda guerra mondiale fu sempre un grande cruccio per il Regio Esercito.
«Inoltre, gli arditi, grazie al loro ottimo addestramento, riuscirono spesso a ristabilire situazioni compromesse.»
 

Le camionette del Regio Esercito (con Luigi Carretta), Gruppo Modellistico Trentino, 2014.
Le artiglieria del Regio Esercito nella Seconda Guerra Mondiale, Italia Storica 2012 (anche e-book).
 
Potrebbe darci qualche altra breve informazione sullo sviluppo delle camionette, in particolare da quale esigenza nacque la Camionetta AS 42?
«Fin dalle prime azioni in Nord Africa il Regio Esercito si trovò ad affrontare una minaccia alla quale non era preparato, rappresentata dalle veloci puntate offensive contro settori delle proprie retrovie considerati relativamente sicuri e lontani dal fronte, portati dalle speciali formazioni organizzate nel Long Range Desert Group, come si è accennato prima.
«Queste unità erano equipaggiate con autocarri veloci e a lunga autonomia, soprattutto alcuni modelli di Chevrolet e Ford e, a partire dal 1942, con le famose Jeep americane opportunamente modificate.
«Tali unità godevano di larga autonomia operativa che le portavano a colpire obiettivi nevralgici nelle retrovie italo-tedesche quali depositi, aeroporti e colonne di rifornimenti.
«Il Regio Esercito dovette quindi reagire a questa minaccia rinforzando tutti i presidi delle retrovie e mantenendo sempre l’allerta molto alta. Solo nel 1942, tuttavia, si riuscì a realizzare un mezzo che doveva consentire non solo di controbattere la minaccia ma, a sua volta, portare la minaccia nelle retrovie nemiche.
«Tale mezzo fu allestito in collaborazione della SPA, azienda del gruppo FIAT, e dalla Viberti, che presentarono il prototipo nel luglio dello stesso anno.
«Mettendo momentaneamente da parte le positive esperienze fatte con la precedente camionetta AS 37 fu realizzato un veicolo decisamente più basso e derivante direttamente dall’autoblindo AB 41 che all’epoca era in fase di distribuzione alle unità esploranti delle unità corazzate e motorizzate.»
 
In estrema sintesi quali erano le caratteristiche peculiari di questi mezzi e come possiamo immaginarli? A quale categoria possiamo ricondurli?
«Le camionette possono essere ricondotte alla categoria delle jeep, possiamo immaginarle così a grandi linee. Si distinguevano dagli altri mezzi a disposizione dell’esercito fino a quel momento per la leggerezza; erano infatti molto leggere e godevano di una grande autonomia, erano infatti estremamente adatte alle lunghe crociere nel deserto.
«Ce n’erano di due tipi, fondamentalmente: il primo tipo, l’unico che è effettivamente stato utilizzato nel deserto, era un derivato di un autoblindo. Sul cassone scoperto era montato un pezzo di artiglieria leggera, un piccolo cannone da 20 mm o un cannone da 47 mm.
«L’altro, in realtà, quando fu prodotto la Tunisia era già caduta e ha prestato così servizio solo in Italia, di fatto. Era un derivato di un autocarro, l’autocarro sahariano mod. 37, un normalissimo camion da trasporto truppa o trasporto materiali che era nato nel 1937 per essere utilizzato nel deserto, era dotato per esempio di speciali gomme adatte per la sabbia e aveva altre caratteristiche specifiche.»
 

Camionetta con equipaggio formato di volontari arabi a Roma nel settembre 1943.
Da «Le camionette del Regio Esercito», Gruppo Modellistico Trentino, 2014.

 
In quali luoghi vennero impiegate principalmente?
«È difficile rispondere, in quanto queste camionette, nate specificatamente per la guerra del deserto, non si sa nemmeno esattamente quante ne siano state prodotte.
«Purtroppo, fra la loro progettazione e la messa in produzione è passato molto tempo e la guerra nel deserto al momento del loro effettivo utilizzo era ormai quasi finita.
«Una piccola parte, meno di una ventina, è stata destinata alla guerra del Sahara, circa una dozzina è finita in Tunisia quando si combattevano gli ultimi mesi di guerra, le altre sono state utilizzate parte in Sicilia e poi è difficoltoso stabilirlo.
«Dopo il 1943 alcune sono finite addirittura in Russia, ma in definitiva non si hanno dati certi.»
 
Chi volesse acquistare le sue pubblicazioni a chi si può rivolgere?
«La pubblicazione intitolata Alpini - 1915-1918 Storia Militare Dossier è in edicola fino alla fine di aprile 2017 e poi potrà essere richiesta direttamente all’editore Storia Militare, sul sito www.edizionistoriamilitare.it.
«La pubblicazione intitolata Le camionette del Regio Esercito può essere richiesta direttamente rivolgendosi al sito del Gruppo Modellistico Trentino di studio e ricerca storica, www.gmtmodellismo.it.»
 
Progetti futuri?
«Sto lavorando a vari progetti. Un progetto sempre per il G.M.T. verrà pubblicato nel 2018 e riguarda la storia dell’Artiglieria "in" montagna. Da non confondere con l’artiglieria "da" montagna.
«L’artiglieria da montagna è tipicamente l’artiglieria degli Alpini. L’artiglieria in montagna è tutta l’artiglieria che è stata utilizzata in montagna. Sull’Adamello, per esempio, è sono state utilizzate sia l’una che l’altra.
«Parto da uno dei primi esempi di artiglieria someggiabile, cioè trasportabile a dorso di animale, ossia un cannone scomponibile del 1745, ideato e fabbricato in Piemonte e da lì ho proseguito spiegando la nascita dell’artiglieria da montagna nel Regio Esercito, passando per il primo impiego del Regio Esercito di artiglieria da montagna nella guerra del 1866 con Garibaldi, e poi la guerra in Eritrea, l’artiglieria someggiabile in Libia, da cui nasce anche la specialità dell’artiglieria cammellata, e Prima Guerra Mondiale, prendendo in considerazione in particolare alcuni esempi come la presa del Passo della Sentinella dal punto di vista dell’artiglieria, la battaglia dell’Adamello sempre dal punto di vista dell’artiglieria, la resistenza italiana sul monte Zugna opposta all’offensiva austriaca, la Strafexpedition, tanto per citare alcuni eventi bellici presi in considerazione nel mio studio.»
 

Light trucks of the Italian Army in WWII, Mushroom Model Publications, 2016.
Le camionette del Regio Esercito (con Luigi Carretta), Gruppo Modellistico Trentino, 2014.
 
Un’ultima domanda restando in tema di guerra, suggerita anche dal fatto che lei ha lavorato per qualche tempo presso la Commissione europea.
La Comunità Economica Europea del 1957 e la sua evoluzione Unione Europea nata nel 1992 con il Trattato di Maastricht, garantisce la libera circolazione di persone, merci, servizi e dei capitali all'interno del suo territorio, promuovendo la coesione sociale e la pace in senso kantiano.
Forse ora l’Europa, dilaniata dalle guerre per secoli, può finalmente sperare in una pace duratura, fondata non sulla forza ma sulla legge, sui regolamenti e sulle direttive che hanno la capacità effettiva di regolare la società e l’economia europea.
Lei è in sintonia con questo pensiero? Cosa pensa a riguardo?
«Questa era sicuramente l’idea dei grandi precursori, da Altiero Spinelli, coautore, assieme ad altri, del celebre Manifesto di Ventotene, a Jean Monnet e Robert Schumann, e non si può negare che essa abbia assicurato all’Europa uno dei periodi di pace più lunghi della sua storia.
«Oggi, di fronte alle innegabili difficoltà politiche ed economiche dei nostri tempi, vedo che si risponde riscoprendo l’interesse nazionale e alcuni stati più forti tendono a fare prevalere la loro visione, per non dire i loro interessi, su quello di altri.
«Dal mio punto di vista, la risposta più indicata darebbe un rafforzamento dei poteri dell’Unione ridando impulso alla sua struttura sovranazionale.
«È però anche vero che secoli di storia non si cancellano in 60 anni.»
 
Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it
 
Camionetta AS43 pronta per la consegna al reparto.
Da «Le camionette del Regio Esercito», Gruppo Modellistico Trentino, 2014.


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