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Cento anni fa cominciava la Decima battaglia dell’Isonzo

Combattuta dal 12 maggio al 5 giugno 1918, costò la vita a 53.000 soldati: morirono più di 2.000 ragazzi al giorno

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L'ossario di Castagnevizza del Carso accoglie le spoglie dei caduti della battaglia.
 
Nel mese di aprile 1917, sul fronte francese si era venuta a creare una situazione critica che destinata ad avere ripercussioni su quella che sarebbe stata la Decima Battaglia dell’Isonzo.
Il generale Nivelle aveva progettato un attacco mastodontico contro i tedeschi. I Francesi da Ovest e da Sud, gli Inglesi da Nord, per un totale di 174 divisioni, avrebbero dovuto sferrare un attacco «decisivo» contro il nemico.
Ma Ludendorff e Hindenburg non erano dei novellini e subodorarono la mossa strategica alleata. Decisero quindi di ritirarsi in anticipo per una trentina di chilometri, in modo da ridurre il fronte e prepararsi al meglio per respingere l’assalto.
Quando gli alleai ne furono informati, anziché fermarsi e rivedere tutta l’operazione, decisero di andare avanti comunque. Come ampiamente prevedibile, fu un disastro talmente sanguinoso che interi corpi d’armata si ammutinarono di fronte all’inutile strage.
Nivelle reagì decimando le truppe ribelli, ma poi fu sostituito con Pétain e i comandi alleati decisero prudentemente di non attivare altre operazioni militari prima che gli Stati Uniti non avessero mandato il loro esercito in Francia.
Gli USA avevano dichiarato guerra agli Imperi Centrali il precedente 6 aprile.

Le ripercussioni che il disastro occidentale ebbe ai danni dell’Italia sono presto dette. Nel momento cruciale della battaglia, la Francia aveva preteso che Cadorna sferrasse una grandiosa azione militare contro l’Austria per alleggerire il suo fronte.
Cadorna ovviamente rispose che aveva già predisposto tutto per attivare la Decima battaglia dell’Isonzo il 12 maggio e che non poteva anticipare nulla solo per aiutare indirettamente gli alleati in difficoltà.
Ne seguì una lite vera e propria tra alleati, che i giornali ripresero e pubblicarono in lungo e in largo. Con il risultato che gli Austro Ungarici poterono leggere sulla stampa internazionale i piani operativi di Cadorna.
Il generalissimo andò in bestia, perché si trattava dell’ennesima battaglia annunciata al nemico, ma proseguì lo stesso come pianificato.
Muovere 200mila uomini presuppone pianificazioni logistiche studiate nei minimi particolari e rifare tutto significava perdere mesi. Già il maltempo aveva fatto rinviare le operazioni militari per tutto l’inverno e metà primavera.
L’avvio della Decima Battaglia dell’Isonzo era stato pianificato per il 12 maggio. E in quella data cominciò.
 

 
Il piano di Cadorna era per certi versi innovativo.
Aveva previsto tre fasi distinte ma concatenate. Dapprincipio avrebbe sferrato un attacco sul Carso per convincere il nemico che le operazioni si sarebbero svolte lì.
Dopo tre-quattro giorni di attacchi, avrebbe scatenato la Seconda Armata, con l’obbiettivo di impadronirsi delle alture a nord ovest di Gorizia, dopodiché avrebbe dato il via alla Terza Armata del Duca D’Aosta con l’obbiettivo di conquistare l’Hermada e procedere verso Trieste.
Cadorna aveva schierato 220mila uomini, 4.000 mitragliatrici e 2.000 cannoni.
Le forze austro ungariche lo fronteggiavano con 147mila uomini, 1.660 mitragliatrici e 1.252 cannoni.
 
Mentre la prima fase era puramente dimostrativa, la seconda e la terza dovevano essere perfettamente collegate. Nel passaggio dalla seconda alla terza fase era infatti necessario lo spostamento logistico di buona parte delle artiglierie da una parte all’altra.
Come sempre però i piani Cadoriani erano destinati a essere cambiati dallo stesso comandante supremo, per cui i sincronismi furono ampiamente compromessi. Gli austriaci che erano informati sul piano di battaglia rimasero disorientati.
Al via delle operazioni, tuttavia, la prima fase saltò completamente. Cadorna aveva preferito sostituire il finto attacco sul Carso con un cannoneggiamento generalizzato su tutta la linea. Poi le date delle operazioni vennero rese più flessibili, nel senso che le divisioni sarebbero scattate all’attacco quando il comando sul campo lo avesse ritenuto opportuno. Unica cosa rimasta invariata era che la seconda fase (l’attacco della Terza Armata) scattasse a 5 giorni dall’inizio della Seconda.

Cadorna.

Le operazioni preparatorie furono una gigantesca operazione organizzativa. Le truppe erano state addestrate a marce forzate perché dopo mesi di inattività erano praticamente da riabilitare nel corpo e nello spirito, insieme ai ragazzi del 1898 appena arrivati. E perfino gli alti comandi vennero aggiustati, tanto vero che Capello sostituì il generale Garioni con Badoglio, astro nascente che si andava ormai consolidando: un anno prima era il colonnello che aveva conquistato il Sabotino, adesso aveva tre stellette e il comando di un corpo d’armata.
Le nostre artiglierie aprirono il fuoco per le intere giornate del 12 e del 13 maggio 1917.
Il 14 maggio i nostri ragazzi uscirono dalle trincee, per la prima volta dopo mesi di inatività. Capello aveva diramato una circolare per cui in testa e in coda ci fossero gli ufficiali di reparto: i primi dovevano dare l’esempio, gli ultimi dovevano rincuorare i paurosi e, all’occorrenza, «sparare ai vili».
Inoltre, il generale aveva ordinato che i soldati avanzassero «risolutamene, sotto le volte dei proiettili della nostra artiglieria» con la baionetta inastata e senza sparare un colpo in modo da «piombare come falchi» sui nemici in trincea e sorprenderli con il loro impeto.
Capello evidentemente non aveva mai seguito un assalto da vicino, perché dopo il bombardamento preliminare dell’artiglieria il terreno era del tutto impraticabile. Tra buche, fossi, rocce, fili spinati torti, avanzare non era una questione di coraggio ma di possibilità di farlo.

Capello.

Tuttavia gli uomini di Capello riuscirono a portare risultati, anche clamorosi.
La cresta del Kuk era stata conquistata e, più a sud, la brigata Campobasso aveva raggiunto la vetta del mitico Monte Santo, obiettivo che era costato invano la morte di migliaia di alpini.
Le due conquiste avrebbero potuto avere risultati di importanza strategica se i comandi sul campo avessero saputo apprezzare i risultati. Invece, nessun rinforzo e nessuna disposizione fu inviata agli eroi che avevano ottenuto quei risultati.
Fatto sta che improvvisi contrattacchi austriaci riuscirono a vanificare i risultati. Il comandante della Brigata Campobasso che ne aveva il comando, generale Lo Curcio, ovviamente fu rimosso. Era come se i nostri comandi fossero impreparati ai successi…
Il 16 maggio Capello riconquista definitivamente la cresta del Kuk e, forte di questo risultato, chiede a Cadorna di continuare gli assalti, anche se la sua azione era stata progettata per raggiungere obiettivi tattici e non strategici.
Cadorna lo lasciò fare ed evitò così di far trasferire l’artiglieria da campagna più a sud, dove la Terza Armata del Duca D’Aosta stava per balzare contro il nemico per sferrare il vero attacco della battaglia.
Ovviamente il cambio di programma costò l’esito positivo dell’intero piano strategico.

Il Duca D'Aosta.

Come abbiamo detto, la Terza Armata avrebbe dovuto muoversi all’attacco cinque giorni dopo l’inizio delle operazioni della Seconda. Ma il 18, ahimè, il tempo era così inclemente da obbligare i comandi di rinviare l’assalto. Il quale venne ordinato solo cinque giorni dopo, il 23 maggio.
Un ritardo davvero disastroso, perché consentì a Boroevich di riportare le riserve a sostegno del fronte meridionale. Se prima c’era una sola divisione a difesa del fronte austriaco, adesso ne furono schierate un numero adeguato.
Così, quando le nostre generose fanterie uscirono dalle trincee si scontrarono con la disperata e robusta resistenza austriaca. Per la Terza Armata sarebbe stato un bagno di sangue.
Eppure i risultati non mancarono. Furono sfondate ben tre linee austriache, furono occupati salienti importanti sotto tutti i punti di vista.
Ma le perdite erano diventate insostenibili e in pochi giorni tutte le riserve erano state gettate nella fornace.
Anche in questo caso, Boroevich affermerà che un’altra giornata di assalti come quelli fin lì subiti, il suo fronte sarebbe crollato.
Il 28 maggio Cadorna dà l’ordine di cessare il fuoco. Come le altre volte, concederà ai singoli comandi di procedere fino a stabilizzare il fronte secondo logiche militari convenienti. In altre parole, piccoli assalti localizzati verranno ordinati senza una logica precisa, tanto vero che la fine della battaglia viene ascritta al 5 giugno.

Badoglio.

Il Regio Esercito aveva avuto 36.000 morti, 96.000 feriti (il 15% moriva successivamente in seguito alle ferite riportate) e 25.000 dispersi, parte dei quali caduti prigionieri. In totale, altri 150,000 giovani italiani fuori combattimento: ben 41 reggimenti persero più del 50 percento degli effettivi.
Gli austriaci avevano perso complessivamente 125.000 uomini, di cui 17.000 erano morti. Anche molti di loro caddero prigionieri degli Italiani.
Come ebbe modo di annotare lo stesso Cadorna, in quella battaglia l’artiglieria italiana sparò qualcosa come 1.300.000 proiettili.
 
Ma la battaglia ebbe anche altri sviluppi negativi.
Un reggimento di bersaglieri che, poco prima della battaglia, aveva gridato «Viva la pace» venne sottoposto a processi che portarono alla condanna a morte di un sottufficiale (decorato con medaglia al valore) e un caporale (decorato con due medaglie al valore). Entrambi affrontarono l’assurdo plotone di esecuzione coraggiosamente. Altro che viltà…!
L’altro fatto avvenne il 4 giugno, quando gli austriaci scatenarono un improvviso contrattacco, togliendoci gran parte delle trincee che avevamo conquistato col sangue. La reazione dei nostri comandi consentì di recuperare parte del terreno perduto, ma i risultati – già magri se paragonati alle perdite – si assottigliarono ancora.
Inoltre, nel contrattacco subito, ben 10.000 soldati italiani furono fatti prigionieri. E Cadorna, irato e certamente ingeneroso, scrisse alla figlia che avrebbe volentieri chiesto a Boroevich di fucilarli...
 
G. de Mozzi

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