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La crisi della sinistra in america latina – Di Francesca Manenti

Oggi i partiti di sinistra stanno pagando le conseguenze di una politica espansiva non funzionale alla crescita strutturale dell’economia sudamericana

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La sinistra latina ha smesso di guidare il Sud America.
La vittoria di Chavez alle presidenziali venezuelane del 1998 inaugurò l’inizio di una fortunata stagione per la sinistra latina, dominatrice indiscussa della scena politica regionale fino al 2010.
I governi di Lula e Rouseff in Brasile, di Chavez in Venezuela, di Lagos e di Bachelet in Cile, dei coniugi Kirchner in Argentina, di Zelaya in Honduras, di Morales in Bolivia, di Correa in Ecuador, di Ortega in Nicaragua, di Lugo in Paraguay, di Funes nel Salvador e di Humala in Perù sono stati differenti espressioni della variegata sinistra sud americana.
Nonostante le loro numerose divergenze, in particolare in materia di politica economica, essi hanno rappresentato la risposta endogena dei popoli latini agli alti livelli di disuguaglianza interna e alla speranza di una maggiore giustizia sociale.
Eppure, oggi, il potere dei partiti di sinistra nella regione è andato lentamente sgretolandosi tra sconfitte elettorali, scandali e crisi economica.
 
Il golpe contro il governo di Zelaya nel 2009 è stato il primo segnale del declino della sinistra di governo in Sud America.
Una tendenza confermata dalla vittoria del neo-liberista Macri nelle elezioni presidenziali argentine del 2015, dalla manifestazioni contro il governo anti-democratico di Maduro e dalla sconfitta di Morales al referendum che gli avrebbe permesso di candidarsi per la quarta volta.
In aggiunta, la Presidente Rouseff è stata destituita con l’accusa di aver alterato i conti pubblici per aver sforato i limiti legislativi sul debito pubblico.
Il suo indiretto coinvolgimento nella scandalo Petrobas, in cui non è stata accusata di nessun reato, ha giovato al processo mediatico di scredito nei confronti suoi e del suo governo.
I partiti d’opposizione e alcuni ex suoi alleati hanno deciso di appoggiare un nuovo governo guidato da Temer.
 
Temer è un camaleonte di lungo corso della scena politica brasiliana, deputato del Partito del Movimento Democratico Brasiliano dal 1987.
Una figura di potere che ha sempre lavorato machiavellicamente per contare in ogni governo brasiliano, raggiungendo la carica di Vice Presidente del governo Rouseff nel 2011.
La Presidente Bachelet invece sta incontrando sulla strada del suo secondo mandato scandali e problemi che pesano come macigni, secondo alcuni sondaggi la sua popolarità sarebbe scesa all’infima percentuale del 14%.
La rovinosa caduta della sinistra latina può essere imputata o al fallimento della loro promessa di rinnovamento o al naturale corso della ciclica alternanza democratica.
Definire cosa sia una politica di «sinistra» è particolarmente complesso, se non un futile esercizio retorico.
 
Nella poliedrica esperienza della sinistra latina la radice comune può essere identificata nella promessa di combattere povertà e disuguaglianza attraverso una più equa distribuzione delle ricchezze prodotta dalla crescita economica.
La speranza che ha alimentato il consenso era che i governi di sinistra usassero lo stato come strumento politico per garantire un tetto, cibo, sanità, sicurezza, istruzione e opportunità ad ogni membro della società.
Tra speranze disilluse e reale cambiamento bisogna quindi interrogarsi su quale sia l’eredità che la stagione rossa ha lasciata al continente sud americano attraverso un duplice piano d’analisi.
Il primo è lo sviluppo di una cooperazione interregionale alternativa ai progetti incentivati dagli Stati Uniti, mentre il secondo è il successo o il fallimento delle politiche economiche attuate per diminuire la povertà e contrastare la disuguaglianza.
L’interventismo nord americano è stato una costante nella storia della regione latina.
 
La prossimità territoriale e i forti interessi economici hanno da sempre legato il destino del Sud America all’egemonia statunitense.
L’ingerenza politica contemporanea degli USA si è ramificata attraverso la promozione di trattati neo-liberisti che incoraggiavano l’istituzione del libero mercato tra gli stati latini.
Nel 1960fu creata l’ALALC (Latin-American Free TradeAssociation) e nel 1980 l’ALADI (Latin American Integration Association) che, combinate con ulteriori trattati di cooperazione sub-regionali come il CAN (Andean Community of Nations) e il Mercosur (Common Market of the South), rappresentano i tentativi di attuare una maggiore integrazione commerciale nell’area sud americana.
L’emersione di un modello di integrazione alternativo ha causato una dualità nei processi di cooperazione interregionale nei primi anni 2000.Attraverso la creazione dell’ALBA (BolivarianAlliance for the people of Our America) nel 2004 e dell’UNASUR (The Union of South American Nations) nel 2008, i governi di sinistra della regione sud americana hanno dato vita a delle proposte indipendenti dagli USA.
La natura olistica e politica delle alleanze delinea un nuovo percorso che coniuga l’obbiettivo della mera crescita economica alla cooperazione solidale tra le nazioni.
 
Si superano le tradizionali forme di organizzazione interregionali che incentivavano il semplice libero scambio tra i paesi membri e si persegue l’idea che la produzione della ricchezza debba essere sostenibile e ridistribuita.
La cooperazione solidale tra i paesi latini serve per aiutare lo sviluppo individuale dei proprio membri attraverso lo sfruttamento dei vantaggi comparativi dei singoli stati senza sfociare nel nazionalismo egoistico o nel mero interesse commerciale.
L’ALBA e l’UNASUR hanno degli evidenti limiti operativi.
La prima istituzione è condizionata dalle scarse dimensione dei suoi componenti e dalla sua forte dipendenza dal protagonismo e dalla dinamicità dell’economia venezuelana.
La seconda alleanza invece non è riuscita ad elevare la qualità del suo intervento sul piano economico, politico e militare a causa dei contrasti ideologici tra il Venezuela e il Brasile.
 
Le differenze aspirazioni geopolitiche dei due paesi si riflettono nella volontà brasiliana di non creare un blocco latino in funzione anti-americana ma di consolidare la propria influenza nella regione.
L’economica dell’area caraibica e sud americana ha giovato enormemente della crescita esponenziale del prezzo del petrolio e delle altre risorse naturali.
Il PIL della regione ha registrato tra il 1998 e il 2014 un balzo del 36.38% con una crescita media annuale del 2.93%.
Mentre tra il 1981 e 1997 la crescita media annuale del PIL si era fermata al 2.37%.
Ma, nonostante entrambi i periodi abbiano giovato di un costante progresso economico, nel primo arco temporale la popolazione delle slum è scesa dal 35% al 26% mentre nel secondo intervallo la percentuale è crollata dal 26% al 11,3%.
 
La differente velocità in cui l’indicatore si è evoluto rivela la capacità del potere pubblico di aiutare le fasce più povere della popolazione a migliorare la loro condizione socio-economica.
La straordinaria crescita economica della regione sud americana ha permesso ai governi di poter usufruire di una maggiore spesa pubblica per finanziare politiche pubbliche di sostentamento alle fasce più povere della cittadinanza.
Difatti, un elevato strato della popolazione sud americana ha giovato di tali politiche uscendo dalla povertà assoluta e relativa.
I dati mostrano che la popolazione dell’area latina e caraibica che viveva con 3.10$ al giorno è scesa dell’6.6% tra il 1980 e il 1999, mentre nel periodo dei governi di sinistra la percentuale è crollata del 14.8%.
Il medesimo trend si registra considerando coloro che vivevano con meno di 1.90$ al giorno.
 
Se i governi della regione riuscirono a diminuire la percentuale solo del 2.29% tra il 1980 e il 1999, durante il periodo 1999-2014 la proporzione si è ridotta del 8.5%.
Anche il trend del coefficiente di Gini segue una traiettoria simile, mostrando un chiaro miglioramento nel periodo della stagione rossa.
In Brasile il suo valore si attestava al 57.9 nel 1981 e, nonostante la crescita economica del paese, aumentò a 59 nel 1999.
Solamente a partire dal 2000 il paese conosce un costante calo della sua disuguaglianza interna raggiungendo nel 2014 il valore di 51.5.
Il Cile invece ha visto il suo coefficiente di Gini diminuire da 55.6 nel 1999 a 50.5 nel 2014 così come l’Ecuador (dal 58.6 al 45.4) e la Bolivia (dal 58.1 al 48.4).
 
Ugualmente in Argentina (dal 49.8 nel 1999 al 42.7 nel 2014), in Perù (dal 56.3 al 44.1) o in Uruguay (dal 43.8 nel 1998 al 41.6 nel 2014).
Negli ultimi anni il calo della domanda cinese e il crollo del prezzo delle materie prime hanno danneggiato i settori più redditizi delle economie latine, minando direttamente le risorse usate per sovvenzionare la generosa spesa pubblica a favore della povertà.
Oggi, i partiti di sinistra stanno quindi pagando le conseguenze di una politica espansiva non funzionale alla crescita strutturale dell’economia.
L’elargizione non produttiva della spesa pubblica ha aiutato milioni di persone ad uscire dalla povertà ma ha generato una grave distorsione nei conti pubblici senza creare le condizioni macroeconomiche per avere una crescita stabile.
Le aspettative insoddisfatte delle classi povere e medie, che si sono viste tagliare drammaticamente i sussidi statali, hanno reciso il consenso base dei partiti di sinistra.
 
Il ritiro della marea rossa lascia una ingombrante eredità al Sud America.
Innanzitutto una nuova consapevolezza politica negli affari internazionali.
La creazione di un modello alternativo di integrazione in Sud America ha iniziato un percorso indipendente dagli USA per competere nelle sfide globali.
In secondo luogo, l’approvazione di una politica economica volta a sostenere le fasce più povere della popolazione ha permesso a milioni di persone di migliorare la propria condizione socio-economica.
Le aspettative dei popoli latini rimango alte, sarà un’ardua sfida trasmettere all’opinione pubblica l’idea che la spesa statale non sia una fonte diretta da cui attingere per finanziare redistribuzione non strutturale.

Francesca Manenti
(Se.S.I.)

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