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Buoni e per tutte le tasche: il valore sociale dei salumi

Li mangiano 51,6 milioni di italiani: sono amati dai giovani e approvati dai genitori. Ma in quantità moderate: Italia al 16° posto in Europa per consumo pro-capite

Di seguito riportiamo i principali risultati della ricerca del Censis «Il valore economico e sociale del settore dei salumi», che è stata presentata oggi a Roma in occasione dell'Assemblea generale di Assica da Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis, con il Presidente di Assica Nicola Levoni, il Direttore Generale di Ismea Raffaele Borriello e il Presidente di Sace Beniamino Quintieri.

 Alimenti di tutti e per tutti 
Sono 51,6 milioni gli italiani che mangiano i salumi.
E nell'ultimo anno ha mangiato prodotti di carne suina (dai salami ai prosciutti, dalle salsicce all'arista) ben il 96% degli italiani maggiorenni, di cui il 59,7% regolarmente (una o più volte alla settimana) e il 36,3% di tanto in tanto (qualche volta al mese), mentre solo il 4% dichiara di non mangiarli mai.
Sono alimenti che hanno conquistato molto tempo fa, per non lasciarlo più, un posto fondamentale nei carrelli della spesa, nelle dispense e sulle tavole degli italiani.
Le elevate quote di consumatori di salumi e di carne suina indicano la capacità dei prodotti del settore di adattarsi alle esigenze specifiche di soggettività molto diverse tra loro.
E attestano che la grande articolazione di tipologie dei prodotti del settore soddisfa un insieme differenziato di gusti e di disponibilità economiche.
È quanto emerge da una ricerca del Censis presentata oggi in occasione dell'Assemblea generale di Assica.
 
 La spesa per salumi e carne suina cresce più dei consumi alimentari 
Nel periodo 2008-2015 la spesa delle famiglie per salumi e carni suine ha registrato una riduzione del 2,6%, molto meno dei consumi alimentari complessivi (-8,3%).
Nel biennio 2013-2015 la spesa per salumi e carni suine ha segnato un incremento del 6,9% a fronte del +0,5% di quella alimentare complessiva.
Nell'attuale fase della neo-sobrietà post-crisi i prodotti del settore sono tra quelli per cui gli italiani sono disposti a spendere qualche euro in più e non accettano di dovervi rinunciare.
 
 Niente eccessi, consumi maturi e responsabili 
Il consumo pro-capite annuo reale (al netto cioè delle parti di scarto) degli italiani di carne suina e salumi è nel 2016 pari a 19,9 kg (elaborazione Censis su dati Gira), 9 etti in più rispetto al 2008.
In termini di consumi apparenti (al lordo cioè delle parti di scarto), con una stima di 39,5 kg pro-capite annui di carne suina e salumi, l'Italia si colloca comunque al 16° posto nella graduatoria europea, con 25,6 kg pro-capite all'anno in meno dei ciprioti, 16,5 kg in meno dei danesi, 15,3 kg in meno degli olandesi, 15,2 kg in meno rispetto alla Spagna e 12,9 kg in meno della Germania.
Quello italiano è un modello di consumo responsabile, in quantità moderate, che beneficia anche della buona qualità dei prodotti.
 
 Li mangio perché mi piacciono: il valore del gusto 
Perché tanti italiani mangiano salumi e prodotti di carne suina?
L'86,7% dichiara di mangiarli perché piacciono e tale motivazione è prevalente in modo trasversale alle diverse aree geografiche (87,7% al Nord-Ovest, 88,3% al Nord-Est, 84,9% al Centro, 85,9% al Sud), alle classi di età (il 91,3% dei millennials, l'88,6% dei baby boomers, il 77,7% degli anziani), alle tipologie familiari (l'88,5% nelle famiglie con figli minori, il 91% tra i single).
Si tratta di una consacrazione della bontà di prodotti che consentono un'alimentazione sicura e sana, che non pretende il sacrificio di nutrirsi con cibi che non gratificano il palato.
 
 Amati dai giovani, approvati dai genitori 
Si mangiano salumi e prodotti di carne suina nel 96,7% delle famiglie con figli (nel 63,4% regolarmente) e nel 97% delle famiglie con figli minori (nel 70,9% regolarmente).
La presenza di figli, più ancora se minori, è uno straordinario moltiplicatore del consumo di prodotti di carne suina.
Ed è un dato molto indicativo, perché la dieta dei ragazzi è notoriamente l'esito di un severo scrutinio sull'impatto sulla salute da parte dei genitori, in particolare delle mamme.
Per i genitori italiani i salumi e i prodotti della carne suina sono salutari e sicuri, tanto da metterli con regolarità nei piatti o nei panini dei figli. Il concreto salutismo delle mamme italiane, che genera un consumo regolare di salumi, sgretola il salutismo isterico basato su miti infondati.
 
 Il successo tra i millennials 
Se sono alte le quote dei consumatori di salumi e carni suine in tutte le classi di età, tra i millennials (18-34 anni) si registra il picco dei consumatori abituali: il 67,6%.
Questo successo tra le giovani generazioni è essenziale, perché saranno i protagonisti dei mercati nei prossimi anni e perché sono già oggi i più coinvolti dalle culture della sostenibilità, della sicurezza alimentare e del salutismo.
 
 Alimenti per un consumo interclassista da democrazia alimentare 
Consumano salumi e prodotti di carne suina il 96,4% degli impiegati e insegnanti, il 95,5% degli operai, il 94,3% degli imprenditori, il 97,4% dei disoccupati.
E ne sono consumatori regolari (una o più volte alla settimana) il 71,6% degli imprenditori, il 61,8% degli operai, il 61,4% degli impiegati e insegnanti.
Sono consumatori di questi alimenti il 94,2% delle persone con basso reddito (il 52,9% regolarmente) e il 96,1% di quelle ad alto reddito (il 67,4% regolarmente).
Le alte quote trasversali alle condizioni professionali e reddituali degli italiani disegnano un consumo democratico, interclassista, in netta antitesi con il ritorno di una differenziazione per ceti a tavola.
È l'esito virtuoso dell'articolazione dei prodotti del settore per tipologie e fasce di prezzo.
Né cibo solo per nuovi poveri, né cibo solo per hipster, ma cibo per tutte le tasche, interprete della democrazia alimentare del ceto medio e del benessere di massa.
 
 L'italianità dei prodotti filo comune del pluralismo della gastronomia locale 
Mangiano salumi e carni suine il 93,8% dei residenti al Nord-Ovest, il 98,1% al Nord-Est, il 95,9% al Centro, il 96,5% al Sud.
Di questi, lo fanno con regolarità il 61,2% al Nord-Ovest, il 61% al Nord-Est, il 60,1% al Centro, il 57,5% al Sud.
La trasversalità territoriale si mantiene anche al variare dell'ampiezza dei comuni di residenza: dal 96,9% nei piccoli comuni (fino a 10.000 abitanti) a quote non inferiori al 96% nei centri urbani di medie dimensioni (tra 10.000 e 250.000 residenti), fino al 93,4% nelle grandi città (oltre 250.000 abitanti).
La presenza di questi alimenti nelle diverse diete e tradizioni culinarie evidenzia la capacità specifica dei prodotti del settore di modularsi sulla differenziazione gastronomica locale.
 
 Il valore sociale del settore 
È questo il messaggio semplice che emerge dalla ricerca, che riporta in primo piano i meccanismi virtuosi delle scelte alimentari degli italiani, improntate a un sano pragmatismo e a una capacità minuta di abbinare alcuni prerequisiti di sicurezza e salubrità degli alimenti con l'ineliminabile funzione sociale del cibo, che è quella di rispondere a una esigenza di benessere, di qualità della vita, di star ben con se stessi, cioè di mangiare le cose che le persone soggettivamente reputano buone.
Il vero valore sociale delle imprese del settore è espresso da questa felice capacità di rispondere alle aspettative del consumatore italiano, dando la necessaria garanzia sui fondamentali di sicurezza e buon impatto sulla salute e al contempo riuscendo a rispondere a quel bisogno di mangiare quel che piace, che resta un connotato primario dello star bene anche nella contemporaneità.
Se a lungo ha prevalso l'idea che il benessere corporeo, dalla buona salute alla propria estetica, dovesse passare per sacrifici, rinunce e per un sistematico diniego del piacere, ebbene il rapporto consolidato e intenso degli italiani con il buon cibo mostra che l'Italian way of life disegna traiettorie in grado di far coesistere piacere, tutela della salute e rispetto di altri parametri di benessere soggettivo che le persone reputano importanti.

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