Home | Arte e Cultura | Cinema - TV | Paolo Villaggio addio, l’Italia piange Fantozzi

Paolo Villaggio addio, l’Italia piange Fantozzi

Con lui se ne va l’ultima maschera italiana, dopo quella di Totò, che attinge le proprie radici nella commedia dell'arte

image

Foto ricavata da uno scatto di Elena Torre.

Paolo Villaggio era nato nel capoluogo ligure il 30 dicembre del 1932, fratello gemello di Piero Villaggio (morto nel 2014), futuro docente alla Scuola normale superiore di Pisa.
Il padre Ettore (1905 – 1992) era un ingegnere edile palermitano, mentre la madre Maria (1905 – 1998), di origini veneziane, era un'insegnante di lingua tedesca.
Ha frequentato le elementari nella scuola Diaz a Genova, assieme al fratello e al futuro dirigente FIAT, Paolo Fresco.
Dopo aver frequentato il liceo classico Andrea Doria, comincia all'università di Genova gli studi di Giurisprudenza che abbandona per dedicarsi a svariati impieghi. Sono questi gli anni in cui comincia a seguire la società calcistica della Sampdoria, squadra di cui è rimasto grande tifoso. Nel 1954, al Lido di Genova, incontra Maura Albites, che verso la fine degli anni cinquanta diverrà sua moglie e dalla quale avrà due figli: Elisabetta (1959) e Pierfrancesco (1965), comparso successivamente in alcune pellicole del padre.
Dopo gli studi ha diverse esperienze lavorative: da cameriere a speaker della BBC a Londra, fino a diventare cabarettista e intrattenitore sulle navi della Costa Crociere, insieme con l'amico Fabrizio De André.
Negli anni sessanta viene assunto, come impiegato, in una delle più importanti industrie impiantistiche italiane, la Cosider, dove era addetto all'organizzazione di eventi aziendali tra i quali lo scambio di doni natalizi tra dirigenti e la premiazione dei dipendenti meritevoli. Da questa esperienza lavorativa trarrà l'ispirazione per creare il personaggio del ragioner Ugo Fantozzi, che in seguito lo renderà molto popolare.
 
Villaggio conobbe Fabrizio De André, futuro cantautore, diventandone intimo amico e con il quale condivise gran parte delle sue scorribande giovanili.
L'amicizia, in seguito, si farà anche artistica e produrrà all'inizio degli anni sessanta i testi delle canzoni «Il fannullone» e «Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers», entrambi scritti da Villaggio, incisi e cantati da Fabrizio De André, autore delle musiche. Quest'ultimo brano (inserito nell'album del cantautore Volume I) conosce gli strali della censura a causa di parole ritenute troppo licenziose, provocando agli autori guai di natura giudiziaria.
Un'amicizia tra i due che Villaggio, nel giorno della morte di De André, ricorderà con queste parole: «Abbiamo vissuto insieme varie stagioni della vita, abbiamo vissuto la fame, la Genova ancora con l'odore dei pitosfori [...] era una persona molto sensibile e ovviamente quando si è molto amici, soprattutto d'infanzia, si parla della morte come di un fatto lontano, del tutto improbabile.
«Adesso che invece la cosa è accaduta e quando stava per succedere, non abbiamo mai avuto più il coraggio, negli ultimi due mesi, né di incontrarci, né di parlare della cosa, perché questa volta non era un gioco, non era letteratura, era la terribile realtà.»
 

 
Durante la metà degli anni cinquanta si unisce alla Compagnia goliardica Mario Baistrocchi, antica compagnia teatrale di Genova, attiva fin dal 1913 e composta da attori e ballerini non professionisti, di solito ex studenti dell'Università degli studi di Genova.
A scoprire la vena artistica di Villaggio è il giornalista e conduttore Maurizio Costanzo, che nel 1967 gli consiglia di esibirsi al «Sette per otto», un noto cabaret di Roma.
 Sempre a quegli anni risale il suo esordio in un altro celebre locale, il Derby Club di Milano, dove ha modo di conoscere numerosi artisti, tra i quali Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni, che all'epoca, come lo stesso Villaggio, erano ancora pressoché sconosciuti.
Dopo anni di cabaret e, a seguito della scoperta di Maurizio Costanzo, Villaggio debutta nella trasmissione radiofonica «Il sabato del Villaggio», in cui racconta in prima persona le storie fantasiose e stralunate di un tragicomico impiegato: terreno su cui fioriranno, di lì a poco, le avventure del ragionier Ugo Fantozzi.
A seguire, il 4 febbraio 1968, esordisce sul piccolo schermo, conducendo il programma d'intrattenimento Quelli della domenica (scritto da Marcello Marchesi, Enrico Vaime, Italo Terzoli e dallo stesso Costanzo), dove ha modo di far conoscere, da una parte, un tipo di comicità strettamente fisica, come nel caso dell'aggressivo e sadico Professor Kranz, e dall'altra il suo primo personaggio umiliato e sottomesso, Giandomenico Fracchia, caratterizzato da una mimica gommosa e inedita. 
 
La prima figura a imporsi è Kranz, sorta di prestigiatore da strapazzo che ogni domenica, con ironico accento tedesco e toni fintamente autoritari, coinvolge la platea in giochi di prestigio spesso ingenui e infantili. La frase con cui apre ogni volta l'esibizione «Chi viene voi adesso?» diviene un tormentone.
Anche nelle vesti di conduttore dà vita a una comicità rabbiosa e cinica, sovente colorita da un lessico surreale e impietoso. Se le maschere di Fracchia e Kranz vengono interpretate dall'attore in prima persona, quella di Fantozzi è, dallo stesso, semplicemente «raccontata», attraverso monologhi tutti formulati in terza persona.
Le storie narrate hanno come argomento le varie disavventure del ragioniere, che si pongono fin dall'inizio come genesi stessa del personaggio. Questi racconti hanno l'intento di rimarcare i difetti e le contraddizioni della società italiana, usando appositamente un linguaggio iperbolico, senza essere tuttavia avulsi dalla realtà.
L'attore, infatti, nel preparare i vari sketch si ispira alle proprie esperienze lavorative, citando molte persone realmente conosciute. Tra questi vi è lo stesso Fantozzi, collega dell'artista ai tempi in cui era impiegato alla Cosider, e ispiratore della sua creazione più fortunata.
 
L'anno dopo, viene chiamato a condurre una nuova trasmissione: È domenica, ma senza impegno, con la partecipazione di Cochi e Renato, del Quartetto Cetra, di Ombretta Colli, Gianni Agus e Oreste Lionello.
Qui, Villaggio reinterpreta nuovamente Fracchia, modellandolo nella sua forma pressoché definitiva. Le varie trovate, preparate con Gianni Agus, hanno come leitmotiv costante la visita di Fracchia al proprio direttore, il quale, ogni volta, invita l'impiegato ad accomodarsi su di una strana poltrona, su cui non riesce mai a sedere, scivolando in continuazione.
La sedia in questione è la celebre «poltrona sacco», ideata verso la fine degli anni sessanta da un gruppo di designer torinesi.
Il pubblico accosta, subito e in maniera spontanea, l'invenzione allo sketch, creando una sorta di simbiosi tra l'oggetto e la gag rappresentata. Ancora oggi tale opera di corredo viene riconosciuta e ricordata come la «poltrona di Paolo Villaggio».
Il personaggio riscuote successo, e questo, anche in virtù dell'uso di una voce inedita e «sfiatata», con cui conia numerosi tormentoni verbali, tra i quali: «Com'è umano, lei!», «Mi si sono intrecciati i diti!», «Mi ripeta la domanda!» e altri ancora.
In seguito, partecipa ad altre trasmissioni televisive come Canzonissima, conducendo finanche lo speciale La luna nelle canzoni, storico evento che raccontava, attraverso brani eseguiti da famosi cantanti dell'epoca, il primo sbarco dell'uomo sulla luna.
 

 
Nel frattempo, pubblica sulla rivista L'Europeo i racconti tratti dai monologhi delle sue trasmissioni, dove il personaggio Fantozzi acquisirà un'importanza sempre maggiore.
Ne esce fuori il ritratto di un piccolo «uomo senza qualità», mediocre «travet», sempre oppresso dai suoi superiori e assolutamente incapace di vivere in armonia con sé e con gli altri.
Nel 1971 questi racconti confluiscono nell'opera prima Fantozzi, edita dal gruppo Rizzoli, che diventa ben presto un bestseller (più di un milione di copie vendute), venendo tradotta in molte lingue, soprattutto in Unione Sovietica.
Nel 1972 esce «Come farsi una cultura mostruosa», edito da Bompiani.
All'inizio degli anni settanta Villaggio intensifica la sua produzione cinematografica, grazie al sodalizio con Vittorio Gassman, all'epoca mattatore della commedia all'italiana.
L'occasione si presenta allorché Mario Monicelli, anche su pressione dei produttori, decide di girare il seguito del fortunato film L'armata Brancaleone. Tra i protagonisti vi sono, oltre a Gassman e Villaggio, anche Stefania Sandrelli, Lino Toffolo, Gigi Proietti e Shel Shapiro.
Al comico genovese viene affidato il ruolo del soldato alemanno Torz. Cosicché Villaggio, in Brancaleone alle crociate, in un certo modo, sostituisce la parte che fu nel primo episodio di Gian Maria Volonté.
Nello stesso periodo recita nel film di Salvatore Samperi, Beati i ricchi, oltre a condurre la trasmissione Senza rete (programma televisivo), per la regia di Enzo Trapani.
Sempre nel 1972 partecipa, nelle vesti di guastatore, al Festival di Sanremo, condotto da Mike Bongiorno e Sylva Koscina.
 
Conclusasi l'esperienza con Gassman, Villaggio recita in varie commedie. Dapprima, viene diretto, nel 1973, da Nanni Loy nel film di satira politica Sistemo l'America e torno, dove interpreta il ruolo di un ingegnere inviato in America per reclutare un giocatore di pallacanestro, salvo poi scoprire essere un militante dei Black Power.
Nel 1975 Pupi Avati lo vuole come interprete principale nella commedia «La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone», ruolo che successivamente andrà all'amico Ugo Tognazzi. Villaggio parteciperà ugualmente al film, interpretando la parte di un magnaccia strambo e irriverente.
Nel cast sono presenti, tra gli altri, Gianni Cavina, Delia Boccardo e il cantautore Lucio Dalla.
Nel 1974 Villaggio, di concerto con la Rizzoli film, decide di trasportare sul grande schermo la maschera di Fantozzi, affidandone la direzione al regista Luciano Salce.
Così facendo, l'artista decide di interpretare per la prima volta (e in prima persona) il personaggio di Fantozzi. Per la stesura dello script viene affiancato dalla coppia di sceneggiatori Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che suggeriscono all'attore l'inserimento nel film di una voce fuori campo, allo scopo di narrare le singole sequenze.
Nonostante una netta predilezione per la comicità visiva su quella verbale, i «commenti off» (recitati dallo stesso Villaggio), diventano subito un «marchio di fabbrica», ponendosi in stretta continuità con i precedenti monologhi televisivi.
 

 
Da qui in avanti, l'attività dell'attore sarà sempre dedicata al cinema comico, formando, con la propria fisicità, l'identikit del protagonista: «fisicamente tozzo e sgraziato, con la pelle color topo e i capelli giallo sabbia, il Villaggio-Fantozzi si presenta sullo schermo sempre in maniera improbabile, con giacca da ragioniere, pantaloni ascellari e sulla testa il simbolico e caratteristico basco.
«Nasce così una nuova maschera, l'ultima, dopo quella di Totò, ad attingere le proprie radici nella commedia dell'arte.»
Accanto a Paolo Villaggio vengono poi scelti una serie di attori che contribuiranno in maniera fondamentale al successo del film, così come in quelli successivi: Gigi Reder nella parte dell'occhialuto ragionier Filini, Anna Mazzamauro nei panni della riccioluta signorina Silvani, Liù Bosisio e successivamente Milena Vukotic nella parte della signora Pina Fantozzi.
Da non dimenticare gli attori Giuseppe Anatrelli, nelle vesti del subdolo geometra Calboni, e Plinio Fernando in quelle della sgraziata figlia Mariangela, non a caso fatta interpretare da un uomo.
È il regista Luciano Salce ad avere questa intuizione, scegliendo per la parte di Mariangela proprio il giovane Fernando.
Un anno dopo (sempre per la regia di Salce), esce nelle sale «Il secondo tragico Fantozzi», che bissa il consenso della pellicola precedente.
Anche in questo episodio viene confermato lo stesso cast e girato il tutto nelle medesime location. 

Nel secondo capitolo della saga, tra le altre cose, viene inserita quella che sarebbe diventata una delle frasi più celebri di tutta la carriera di Fantozzi («per me la Corazzata Potiomkin è una cagata pazzesca!»), disperato grido di ribellione di un impiegato costretto a vedere per l'ennesima volta il film di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn al cineforum aziendale e subito diventata la frase simbolo di chi si ribellava ai valori sclerotizzati imposti da una cultura ferma al passato.
La celebre sequenza in cui gli impiegati della Megaditta sono costretti a vedere La corazzata Potiomkin, nel film Il secondo tragico Fantozzi (1976).
Per ovviare all'impossibilità di utilizzare le scene originali de La corazzata Potëmkin di Ėjzenštejn[44] (uno dei capolavori del cinema russo d'avanguardia), in fase di sceneggiatura viene deciso di ricrearlo ex novo, facendone una parodia. Di conseguenza, il nome del regista è opportunamente modificato: Sergej M. Ėjzenštejn diviene Serghei M. Einstein e le scene della gradinata di Odessa (visibili nel film) vengono girate dal regista Luciano Salce a Roma, sulla Scalea Bruno Zevi, di fronte alla Galleria di arte moderna. La pellicola è appositamente maltrattata, per ottenere un precoce effetto di invecchiamento[44].
  

 
La riuscita dei due film porta Salce e Villaggio a stringere un vero sodalizio che durerà per tutti gli anni settanta e frutterà altre cinque pellicole.
Nell'autunno del 1975, torna in televisione quello che Paolo Villaggio definisce «la proiezione nevrotica di Fantozzi», ossia il timido e complessato Giandomenico Fracchia.
Per l'occasione, Fracchia è un ragioniere alle dipendenze di una grande azienda (gli esterni e alcuni interni vengono girati negli uffici del Ministero delle Finanze all'EUR, successivamente smantellati).
La particolarità del protagonista è chiara fin dal primo episodio: mentre con i colleghi si dimostra sempre determinato e sicuro di sé, in presenza della Signorina Ruini, suo grande amore inconfessato, diventa timido e insicuro, ancor di più quando si trova in presenza del suo capoufficio, il Cav. Dott. Ulisse Acetti.
Tale stato di soggezione provoca in Fracchia una specie di blocco mentale, generando una balbuzie tale da modificare la sua stessa voce, rendendola roca e sfiatata.
Inoltre, ogni qual volta viene convocato nell'ufficio di Acetti, Fracchia deve fare i conti con la terribile «poltrona sacco», sulla quale non riesce mai a trovare un punto di equilibrio statico.
 
Dopo quattro anni di assenza dalle sale, nel 1980 avviene il rilancio cinematografico di Fantozzi con il film Fantozzi contro tutti (anticipato dall'omonimo libro uscito per la Rizzoli nel 1979), che vede alla regia, per la prima e unica volta, lo stesso attore, coadiuvato dal semi-esordiente Neri Parenti, che a partire dal film Fracchia la belva umana diverrà il suo regista di riferimento.
Nello stesso anno, c'è spazio per le riprese di altri due film: La locandiera, dall'omonimo testo di Goldoni, con Adriano Celentano e Claudia Mori e Rag. Arturo De Fanti, bancario precario, film che sancirà (come già detto) la fine del rapporto professionale con Salce.
L'anno seguente, fa esordire sul grande schermo il personaggio di Fracchia, nel film Fracchia la belva umana: una specie di parodia del Fordiano Tutta la città ne parla, che riscuote successo.
Verso la metà degli anni ottanta Villaggio, assieme a Neri Parenti e altri registi, inanella una serie di pellicole comiche di facile consumo, destinate al grande pubblico. In questo l'attore genovese sarà coadiuvato da molti attori, come Lino Banfi, Massimo Boldi, Christian De Sica e Teo Teocoli.
In quest'ottica, nascono i film: I pompieri, e il dittico Scuola di ladri e Scuola di ladri - Parte seconda (che vedono entrambi la partecipazione di Enrico Maria Salerno).
Seguono i coevi: Grandi magazzini di Castellano e Pipolo, Missione eroica - I pompieri 2 di Giorgio Capitani e Rimini Rimini (dove Villaggio e Serena Grandi effettuano la parodia dell'allora celebre 9 settimane e ½). Infine, Roba da ricchi diretto come Rimini Rimini da Sergio Corbucci. Da ricordare, assieme a Lino Banfi, Com'è dura l'avventura, di Flavio Mogherini, con la partecipazione di Gastone Moschin.
Anche la saga fantozziana sembra risentire di questo disimpegno: infatti, nel dicembre del 1986, esce Superfantozzi, che viene visto da molti critici come una sorta di riciclaggio commerciale dello spirito fantozziano. D'altronde, lo stesso Neri Parenti dichiara di voler ridurre i personaggi di Fracchia e Fantozzi a vere e proprie maschere, contro la stessa volontà del loro autore[52].
Paolo Villaggio nel film Ho vinto la lotteria di capodanno, diretto da Neri Parenti (1989)
 

La corazzata Potemkin.

Nel febbraio del 1989 cominciano le riprese dell'ultima fatica di Fellini, La voce della Luna, tratta dal libro Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, e tutta l'attenzione della stampa è rivolta alla curiosa scelta dei due protagonisti: Roberto Benigni e Paolo Villaggio.
La critica inizialmente stupita delle relative scritturazioni, interrogherà più volte il regista sul perché di tale scelta, accogliendo il film in maniera piuttosto tiepida. La risposta di Fellini non si fa attendere: «Benigni e Villaggio sono due ricchezze ignorate e trascurate. Ignorarne il potenziale mi sembra una delle tante colpe che si possono imputare ai nostri produttori».
La pellicola dà l'occasione a Villaggio di ricevere il primo David di Donatello, come migliore attore, ex aequo con Gian Maria Volonté, protagonista del film Porte aperte, di Gianni Amelio.
La partecipazione al film di Fellini segna per il comico genovese l'inizio di una parallela attività nel cinema d'autore, lavorando con altri importanti registi, non prima di collaborare ancora con il cineasta romagnolo. Infatti, nel 1992, è protagonista di tre spot diretti da Fellini per la Banca di Roma, dove partecipano l'attore feticcio di Luis Buñuel, Fernando Rey e l'esordiente Anna Falchi.
 
Nell'ottobre del 1992 esce nelle sale cinematografiche «Io speriamo che me la cavo», pellicola diretta dalla cineasta romana Lina Wertmüller. Il film è un affresco sul disagio economico del Sud ed è tratto dall'omonimo bestseller di Marcello D'Orta che raccoglie temi scolastici di una terza elementare di Arzano (Napoli).
La figura del maestro, assente nel libro, diviene, sullo schermo, il filtro attraverso il quale i piccoli esprimono la loro visione del mondo, e la realtà di degrado in cui vivono.
«Nel film – dirà la regista - Paolo Villaggio è il maestro, un personaggio che deve esprimere un po' la funzione del lettore. Un lettore lontano da questa realtà, non a caso, è un insegnante del Nord, assai distante dalle situazioni in cui viene a calarsi [...] Ho voluto rappresentare la realtà di Napoli senza pianto, ma in modo affettuoso e divertente».
Nello stesso periodo rifiuta la scritturazione per il protagonista del film Il portaborse, di Daniele Luchetti,
Nonostante le varie prove d'autore, Villaggio è ben lungi dall'abbandonare il cinema comico; infatti, con l'amico Renato Pozzetto, dà vita a una nuova collaborazione nei rispettivi film: «Le comiche» (1990), «Le comiche 2» (1991) e da ultimo, «Le nuove comiche», uscito nell'autunno del 1994.
Tutte e tre le pellicole, sempre dirette da Parenti, hanno molta fortuna presso il pubblico, soprattutto la prima che diviene campione d'incassi nel 1990. Il film narra la storia di due stralunati comici che uscendo all'improvviso da uno schermo cinematografico si ritrovano immischiati in avventure di vario genere.
 

 
Dopo aver mandato in pensione il suo personaggio, con l'ultimo film degli anni ottanta Fantozzi va in pensione, il comico presenta sulla schermo un nuovo capitolo dal titolo «Fantozzi alla riscossa», dove viene confermato, ancora una volta, il medesimo cast, il tutto sempre sotto l'egida di Parenti.
La saga arriva alla sua conclusione nel dicembre del 1999, con il trascurabile e quasi ignorato «Fantozzi 2000 - La clonazione», dove alla regia troviamo Domenico Saverni. La pellicola è l'unica della serie dove non compare il compagno d'avventure ragionier Filini (alias Gigi Reder, nella foto qui sopra), a cui il film è dedicato, scomparso nell'ottobre dell'anno precedente per un collasso cardiaco.
Con l'avvento del nuovo millennio, Villaggio depone la maschera di Fantozzi, allontanandosi, in maniera definitiva, dal cinema comico. Tuttavia, l'artista tornerà a rivestire i panni del ragioniere, anche svariate volte, ma solo e unicamente all'interno di programmi televisivi, come nel contenitore pomeridiano Domenica in, che conduce con Mara Venier negli anni 2002 e 2003.
 
Dopo aver portato in scena il monologo autobiografico Delirio di un povero vecchio, nell'autunno del 2002, Villaggio pubblica, per la prima volta, la sua autobiografia intitolata «Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda» dove rivela al pubblico molti retroscena della sua giovinezza, sul fratello gemello Piero (affermato docente universitario di Scienza delle costruzioni) e sul figlio Pierfrancesco.
Tra il 2002 e il 2009, si riduce progressivamente la sua attività cinematografica, intensificandosi, al contrario, quella di scrittore. Pubblica, infatti, numerosi libri per la Mondadori, tra cui: «7 grammi in 70 anni» (2003), «Sono incazzato come una belva» (2004), «Gli fantasmi» (2006) e con la Feltrinelli Storia della libertà di pensiero del 2008, opera in cui traccia, in maniera irriverente, le figure di molti personaggi storici, dall'antica Grecia fino ai giorni nostri. Il libro darà l'opportunità all'attore di ricevere il premio nazionale Flaiano per la satira, consegnatoli nel maggio dello stesso anno.
Da ultimo, di nuovo per la Mondadori, si ricorda Storie di donne straordinarie, uscito nella primavera del 2009.
Nel 2012 esce nelle librerie «Tragica vita del ragionier Fantozzi», dove l'autore torna a ritrarre il suo personaggio più popolare, descrivendone gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza.
Infine, nel 2013, esce «Siamo nella merda - Pillole di saggezza di una vecchia carogna». Parallelamente si intensifica la sua attività teatrale che lo vede nuovamente sulle scene con vari spettacoli tra cui «La Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!»
 
Villaggio si dichiara «ateo da sempre». In un'intervista a Repubblica, del 1994, ha affermato: «Lo penso davvero, il Papa è una persona troppo intelligente per credere in Dio».
Ha cessato di vivere a Roma nella mattinata del 3 luglio 2017.
 
Si ringrazia Wikipedia per le note e le fotografie che ci ha lasciato attingere.

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande