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Ricerca, da Trento a Minneapolis – Di Nadia Clementi

La carriera della dottoressa Tania Incitti dalla CIBIO all’Università del Minnesota

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La dott.ssa Tania Incitti sul «Lake of the Isles» (Lago delle Isole) ghiacciato nel primo giorno a Minneapolis, con i grattacieli di Downtown sullo sfondo.

Ci fa sempre piacere parlare di giovani professionisti che hanno lavorato in Trentino, ma da ancora più soddisfazione quando queste menti brillanti fanno strada e dopo qualche anno le ritroviamo a lavorare in aziende prestigiose oppure emigrate all’estero per lanciare la propria carriera.
Non è nostra consuetudine lodare il lavoro che facciamo raccontando le storie di questi giovani, questa volta però vogliamo credere di aver avuto una piccola parte nel decollo della carriera della dottoressa Tania Incitti, di cui già vi avevamo parlato quattro anni fa quando ancora lavorava al Centro Interdipartimentale per la Biologia Integrata (CIBIO) di Trento.
Allora la dottoressa si occupava della ricerca sulle cellule staminali e sulle nuove scoperte riguardo il loro utilizzo in malattia oggi considerate incurabili. A distanza di qualche anno abbiamo ritrovato la dottoressa Incitti in Minnesota dove ora lavora per l’Università locale insieme alla Professoressa Rita Perlingeiro.
 
La carriera scientifica della dottoressa Incitti inizia con il conseguimento di due Lauree e del Dottorato di Ricerca presso il laboratorio della professoressa Irene Bozzoni all’Università della Sapienza di Roma.
L’obiettivo principale degli studi iniziali della dottoressa Incitti era quello di mettere a punto un sistema basato sull’RNA per la terapia genica della Distrofia Muscolare di Duchenne; grazie a questa ricerca Incitti ottiene anche il brevetto per la terapia messa a punto.
Ottenuto il titolo di Dottoressa di Ricerca, Tania decide di ampliare le proprie conoscenze unendosi al gruppo della Professoressa Simona Casarosa proprio a Trento presso il CIBIO una delle eccellenze di ricerca del nostro territorio.
In questo contesto, la dottoressa Incitti si è interessata principalmente alla generazione di cellule staminali pluripotenti indotte ed al loro differenziamento in cellule neurali per studiarne i meccanismi di sviluppo.
Fu proprio in questo frangente che noi de L’Adigetto andammo ad intervistarla (l’intervista a questo link).


Il «Cancer and Cardiovascular Research Building» dove è situato il laboratorio Perlingeiro, nel campus dell’Università del Minnesota, Minneapolis.

In quell’occasione la dottoressa Incitti ci parlò in modo molto approfondito del suo lavoro di ricercatrice, toccando il particolar modo il delicato tema morale legato alle cellule staminali. E fu proprio il fascino legato alle potenzialità terapeutiche delle cellule staminali, che diedero il la alla decisione di Tania di contattare la Professoressa Rita Perlingeiro dell’Università del Minnesota, che da diversi anni studia la messa a punto di terapie per le distrofie muscolari tramite l’uso di cellule staminali.
Per la giovane dottoressa un vero e proprio salto nel buio: l’America è un luogo certamente dalle mille risorse, soprattutto per i giovani professionisti in medicina, la prospettiva di lasciare il proprio Paese è sempre amara ma le possibilità in Italia, ahimè, sono poche.
Con grande sorpresa di Tania la Professoressa Perlingeiro la ricontatta per invitarla ad unirsi al suo gruppo e dove ancora oggi lavora come ricercatrice post-dottorato. 

La dottoressa Incitti ha dunque colto al volo un’opportunità di lavoro che le ha permesso di completare la sua formazione arricchendo il proprio bagaglio di esperienze e ora può proseguire la carriera accademica a lungo sognata.
In questo modo Tania Incitti si è aggiunta alla già lunga lista dei cosiddetti «cervelli in fuga» ovvero giovani laureati dalle forti capacità personali e professionali che decidono di andare all’estero per proseguire il proprio lavoro.
Le motivazioni legate a questa decisione possono essere diverse: migliore retribuzione e ambiente di lavoro più stimolante; maggiori opportunità di carriera, sicurezza sul posto di lavoro e così via. Il dibattito su questa incapacità da parte dell’Italia di trattenere i propri talenti, ma anche di attrarne dall’estero, è sempre molto acceso e noi abbiamo sempre cercato di far parlare i protagonisti di questa vicenda.
Abbiamo ricontattato Tania Incitti e le abbiamo fatto alcune domande sul suo lavoro e sul suo futuro.
 

Tania in laboratorio.
 
Buongiorno Tania, ci ritroviamo a distanza da 4 anni dalla tua prima intervista con noi. Ci racconti cosa è successo dal 2013 ad oggi?
«Carissima Nadia, innanzitutto ti ringrazio di avermi ricontattata, mi fa piacere poter condividere il mio percorso con te ed i tuoi lettori. Quattro anni fa non avevo ancora idea che la mia strada mi avrebbe portata negli Stati Uniti ma avevo già cominciato a considerare la possibilità di un’esperienza lavorativa lontana dall’Italia.
«Come ti dissi durante la prima intervista, l’utilizzo di cellule staminali in ambito terapeutico mi entusiasmava e mi stavo impegnando a portare a termine i progetti iniziati nel laboratorio della Professoressa Casarosa, che in quel momento erano soprattutto focalizzati a capire i meccanismi molecolari che portano le cellule staminali embrionali a diventare cellule del sistema nervoso (comprese quelle della retina).
«Dopo la pubblicazione di parte dei nostri dati su riviste scientifiche internazionali, iniziai a rendermi conto che quei progetti ed il mio entusiasmo per la Scienza, seppur condizioni imprescindibili, non sarebbero bastati a rendermi competitiva.
«Come ricercatrice post-dottorato infatti, la mia posizione lavorativa era temporanea e per poter proseguire con la carriera accademica, avrei dovuto concorrere e vincere un concorso nazionale, cosa per cui sentivo di non essere abbastanza preparata.
«Per questo motivo decisi di rafforzare la mia formazione con un’esperienza lavorativa al di fuori dell’Italia ed iniziai senza sosta a contattare i laboratori la cui ricerca mi sembrasse in linea con i miei interessi, quindi soprattutto l’uso delle cellule staminali.
«Arrivai a spedire il curriculum a quasi 50 laboratori diversi in giro per la Comunità Europea, ottenendo colloqui nel Regno Unito, in Francia, Olanda, Germania e Spagna. Mentre valutavo alcune delle offerte ricevute, cominciai ad estendere la mia ricerca agli Stati Uniti e mi imbattei nelle pubblicazioni della Professoressa Rita Perlingeiro dell’Università del Minnesota.
«I suoi lavori descrivevano l’utilizzo di cellule staminali per la terapia delle Distrofie Muscolari, un ambito di ricerca che avrebbe fuso perfettamente la mia formazione acquisita durante il dottorato con le mie nuove competenze nell’ambito delle cellule staminali.
«Decisi subito di contattarla per spiegarle che i suoi progetti mi affascinavano e per convincerla che la mia esperienza sarebbe stata perfetta per il suo laboratorio. Con grande piacere Rita mi rispose quasi immediatamente fissando un colloquio telefonico e, dopo nemmeno un mese da quella chiacchierata, ero già pronta ad iniziare la trafila burocratica per l’ottenimento del visto di lavoro negli Stati Uniti.
«Guardandomi indietro adesso, direi che quel giorno di novembre del 2014, in cui mi comunicò di avermi scelta per unirmi al suo laboratorio, rappresenta per me un momento quasi epico!
«Dei mesi successivi ricordo solamente il vorticoso incedere del trasloco e della burocrazia nonché del terrore di ritrovarmi sommersa dalla neve del Minnesota.
«Da Gennaio 2015 finalmente mi trasferii insieme a mio marito e da quel momento non ci siamo mai davvero pentiti di questa scelta. Nonostante la lontananza, entrambi abbiamo un lavoro che ci piace e ci stiamo godendo questa esperienza.»


Il «Perlingeiro Lab», il laboratorio al completo (con la Prof. Rita Perlingeiro, seconda da sinistra in seconda fila) durante i festeggiamenti per la recente pubblicazione scientifica. 

In cosa consiste il tuo lavoro presso l’Università del Minnesota? Ci parli della tua importante ultima ricerca?
«Nel mio attuale laboratorio siamo interessati a mettere a punto una terapia per le distrofie muscolari - e potenzialmente per ogni malattia che provoca la compromissione dei muscoli scheletrici - basata sul trapianto di cellule muscolari generate a partire da cellule staminali pluripotenti indotte (a loro volta generate dalle cellule adulte dei pazienti o di donatori, con la stessa procedura che spiegavo durante la mia prima intervista).
«Già da diversi anni, il mio gruppo ha messo a punto un sistema che induce le cellule staminali ad intraprendere il differenziamento muscolare generando dei progenitori miogenici, ovvero delle cellule muscolari non ancora completamente differenziate ma in grado di formare muscolo sano una volta trapiantate nei muscoli malati dei topi distrofici.
«Pur essendo molto efficiente, questa procedura di generazione dei progenitori muscolari non esclude la possibilità che alcune delle cellule staminali non rispondano al trattamento in coltura e quindi persistano come cellule non differenziate, cosa che le renderebbe molto pericolose a livello clinico in quanto potenzialmente cancerogene.
«Per questo motivo abbiamo iniziato a studiare in dettaglio le caratteristiche di queste cellule muscolari da noi generate ed abbiamo osservato che i nostri progenitori muscolari esprimono un mix unico di tre proteine sulla loro superficie: utilizzando queste proteine per separare i progenitori miogenici buoni dalle potenziali cellule non ottimali, riusciamo ad ottenere delle cellule che potrebbero essere utilizzate come un vero e proprio farmaco iniettabile nei muscoli dei pazienti.
«Questo studio è stato appena pubblicato sulla rivista scientifica Cell Reports e ci ha permesso di intraprendere la procedura burocratica per far riconoscere le nostre cellule come nuovo farmaco da parte della Food and Drug Administration (FDA), ovvero l’equivalente della nostra Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
«Grazie a questa procedura, speriamo di poter presto iniziare a reclutare i primi pazienti per testare la sicurezza delle nostre cellule terapeutiche. Infine, sempre grazie alla presentazione di questo progetto ad uno dei simposi annuali dell’Università del Minnesota, chiamato Maurice Visscher Symposium, ho avuto l’onore di vincere il primo premio nella competizione dei giovani ricercatori.»


Cellule muscolari in coltura derivate da cellule staminali pluripotenti indotte. In rosso la proteina miosina, che marca solo le cellule muscolari differenziate, e in blu un colorante dei nuclei cellulari (immagine tratta da Magli, Incitti et al., Cell Reports 2017).

Quali sono le scoperte e le prospettive future per la tua ricerca sulle cellule staminali?
«La lotta alle distrofie muscolari è attiva ormai da decenni nei laboratori di tutto il Mondo, inzialmente focalizzata sulla cosiddetta terapia genica, ovvero sulla sostituzione del gene malato con quello sano. Sebbene questa strategia abbia dato risultati incoraggianti (io stessa vi lavorai durante il mio dottorato), la terapia genica ha bisogno che ci sia ancora parte del tessuto sano, in questo caso il muscolo, da poter essere riparato.
«In molti casi purtroppo, i pazienti iniziano a perdere il tessuto muscolare nella prima infanzia e questo riduce enormemente la finestra di tempo in cui è possibile agire per curare il muscolo rimasto.
«Per questo motivo, rimpiazzare il tessuto muscolare degenerato con quello creato in coltura a partire dalle cellule staminali è un’alternativa molto promettente perché non necessita del tessuto originario per funzionare.
«La ricerca in questo senso ha ovviamente ancora ostacoli da superare, come per esempio trovare il modo somministrare le cellule muscolari nei muscoli difficili da raggiungere quali il cuore ed il diaframma.»


Sezione di muscolo di topo trapiantato con le cellule muscolari umane derivate da staminali. In rosso la proteina umana distrofina, in verde i nuclei delle cellule umane, in blu i nuclei delle cellule di tutto il muscolo (immagine tratta da Magli, Incitti et al., Cell Reports 2017).

Come mai le cellule staminali generano tanto dibattito? In America sono un argomento discusso quanto in Italia?
«La possibilità di avere a disposizione una riserva di cellule con cui sostituire e riparare i danni al nostro corpo è un concetto affascinante ma allo stesso tempo rischioso, perché ci sono ancora molti studi da compiere prima di poter immettere sul mercato dei farmaci basati su cellule per ognuna delle malattie attualmente incurabili.
«Nonostante siano ancora poche le terapie basate sulle cellule staminali attualmente in sperimentazione clinica, molte cliniche di dubbia fama già da anni pubblicizzano iniezioni di non meglio precisate cellule staminali per curare qualsiasi malattia.
«Ne avevamo già parlato 4 anni fa e purtroppo la situazione non è migliorata: proprio lo scorso maggio in una clinica privata di Sunrise, in Florida, tre pazienti hanno perso la vista dopo aver ricevuto iniezioni nella retina di cellule staminali prelevate dal proprio grasso dopo una liposuzione.
«Inutile sottolineare che non vi fosse nessun protocollo già testato e che la terapia rasenti la fantascienza. Se non altro, il caso ha portato di nuovo alla ribalta la difficoltà per gli enti governativi di porre un freno ai metodi poco ortodossi e ha sottolineato ancora una volta come i venditori di fumo che si appellano alla disperazione dei pazienti siano difficili da individuare.
«Quindi, in Italia come negli Stati Uniti sento che ci sia bisogno di una maggiore divulgazione scientifica che possa far conoscere le reali possibilità della Ricerca all’opinione pubblica e possa anche fornire un’arma per difendersi dai ciarlatani.»
 
Partire per gli Stati Uniti era nei suoi progetti fin dall’inizio o è stata una sorpresa anche per te?
«Se devo essere sincera, ogni volta che ho immaginato di lasciare l’Italia non ho mai davvero considerato gli Stati Uniti come prima meta, sia per la distanza che per la difficoltà di ottenere dei visti lavorativi.
«Quando ho capito che la possibilità di lavorare nel mio attuale gruppo si sarebbe concretizzata, il fatto che il laboratorio fosse negli Stati Uniti e, ancor di più in Minnesota, è stato inizialmente un motivo di grandi riflessioni.
«Col senno di poi, posso dire di essere molto felice di aver deciso di non farmi frenare dai timori e dai pregiudizi, perché l’esperienza si sta rivelando migliore di quanto avessi immaginato, e sono grata dell’occasione che mi è stata data.»
 
Ti piacerebbe un giorno ritornare a lavorare in Italia?
«Anche se non posso lamentarmi della qualità della mia vita attuale, non nego che la mancanza del mio Paese si faccia sentire, e non parlo solamente della famiglia e degli amici: anche se non ho mai avuto problemi seri per il fatto di essere un’espatriata, non credo che questo sia il luogo in cui vorrei mettere definitivamente radici, soprattutto perché non sono convinta di condividerne i valori totalmente.
«Quindi sì, vorrei riuscire a tornare in Italia nel prossimo futuro o almeno tornare in Europa. Inoltre penso che sia importante sottolineare come grazie al mio Paese io goda di una formazione ottima (così come tutti i nostri connazionali apprezzati in giro per il Mondo) e mi piacerebbe un giorno avere la possibilità di mettere a disposizione le mie competenze per contribuire al panorama scientifico italiano.»
 
Che cosa auspichi per la ricerca nel nostro Paese?
«Come dicevo, sono convinta di avere un’ottima preparazione anche grazie all’Università Italiana, che ha investito sul mio percorso permettendomi di studiare ad un costo accessibile, per nulla paragonabile ai costi esorbitanti dell’educazione universitaria negli Stati Uniti (parliamo di almeno cinquantamila dollari annui per frequentare un corso di laurea).
«Allo stesso tempo, sono convinta che trascorrere un periodo di formazione e/o lavorativo in un altro Paese sia fondamentale per riuscire ad ampliare i propri orizzonti e mettersi alla prova. Detto questo, mi sembra ormai chiaro che decidere di fare un’esperienza all’estero stia diventando un percorso a senso unico, in quanto molto difficilmente si riesce o si vuole tornare in Italia in seguito.
«Ammettendo di aver mantenuto dei buoni contatti con un gruppo italiano (spesso l’unico modo di trovare ancora delle porte aperte, a meno di non essere ad un passo dal Nobel), quando e se si riesce a trovare uno spazio in Università ci si inizia ad imbattere nella carenza cronica di fondi governativi, nella burocrazia tortuosa e nelle infrastrutture a volte obsolete. Risultato: ci si barcamena per riuscire a portare avanti il lavoro e, nei casi estremi si decide di andare via di nuovo.
«Cosa auspico per la ricerca in Italia? Che chi ha il potere di riformare il mondo dell’università lo faccia prima che sia troppo tardi, tenendo conto che: 1) con le attuali norme solo una piccolissima percentuale di chi ha intrapreso una carriera accademica ha la possibilità e lo spazio per proseguirla in Italia; 2) l’investimento sui giovani che poi vengono ceduti a costo zero ad altri Paesi per contribuire al loro progresso scientifico equivale ad un suicidio; 3) rassegnarsi a questa situazione pensando che tanto se non ci piace possiamo sempre andarcene mi fa intravedere un futuro poco roseo per la nostra intera economia.»
 
Consiglieresti a un neolaureato di perseverare per lavorare in Italia? L’esperienza all’estero può essere solo temporanea o è l’unica strada per fare carriera?
«Il mio sogno è sempre stato quello di rimanere in Università e per questo motivo ho intrapreso l’unica strada che penso mi possa dare qualche chance in un mondo molto competitivo, ovvero arricchire il mio curriculum con un’esperienza estera (fermo restando che sto producendo dati scientifici, il solo viaggio ovviamente non basta!).
«Tuttavia, se chi si laurea oggi ha già ben chiaro in mente di non voler seguire una carriera accademica e non volersi mai spostare, innanzitutto consiglierei di cercare contatti con le aziende, anche per effettuare tirocini prima di laurearsi, in modo da farsi conoscere.
«Detto questo, se capitassero le occasioni di svolgere degli stage o dei periodi lavorativi temporanei in un altro Paese, io consiglierei sempre e comunque di coglierli al volo: oltre al chiaro beneficio in termini di cv, mettersi alla prova in un luogo con lingua, cultura, usi e costumi totalmente diversi è un’esperienza di vita impagabile.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
 
Dott.ssa Tania Incitti - tania.incitti@gmail.com
 
Premiazione per la competizione dei giovani ricercatori nel «Maurice Visscher Symposium».

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