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Storie di donne, letteratura di genere/ 179 – Di Luciana Grillo

«La domenica della rivoluzione» di Wendy Guerra: «Come raccontare tutto questo senza insozzare le mie pagine?»

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Titolo: La domenica della rivoluzione
Autrice: Wendy Guerra
 
Traduttrice: P. Marchetti
Editore: Elliot 2017
 
Pagine: 191, Brossura
Prezzo di copertina: € 16,50
 
La prima cosa che colpisce quando si apre questo libro è una frase che campeggia da sola in una pagina: «Come raccontare tutto questo senza insozzare le mie pagine?».
Wendy Guerra è una giovane scrittrice cubana che dedica «A Cuba» il suo romanzo; è una donna di successo, ha pubblicato romanzi e poesie, ha scritto per il cinema e per la televisione… ma nella sua isola i suoi libri non possono essere diffusi per i contenuti di denuncia politica.
Wendy scrive: «Senza Cuba io non esisto. Io sono la mia isola» e così conclude «La domenica della rivoluzione», il romanzo in cui racconta la sua giovinezza con genitori scienziati, vicini al regime, in una casa aperta anche agli occidentali: «…Sting e sua moglie facevano l’alba sul pavimento di casa mia… A Cuba qualsiasi cosa può succedere, non bisogna meravigliarsi di niente».
 
Eppure, dopo la morte tragica e improvvisa dei genitori, «nessuno vuole venire a farmi compagnia…Ho finito per essere un’orfana appestata…».
Scomoda a Cuba, malvista dagli esuli che vivono in Messico, controllata dagli uomini del regime perché le sue poesie apprezzate e premiate all’estero vengono utilizzate e trasformate in canzoni proprio da Sting («È incredibile la facoltà di volare che ha la letteratura, viaggiare da sola, navigare libera… si rifiuta di essere uno tra i molti miei ergastoli…»), si ritrova accanto soltanto la vecchia domestica di famiglia, Margara, che la protegge anche modificando le sue poesie, cambiandone le parole per renderle meno ostili a chi entra in casa e va a rovistare in ogni cassetto.
 
In Messico la protagonista va per incontrare amici in esilio e per rivedere un ex fidanzato, Enzo, con cui aveva condiviso lunghe giornate sulla spiaggia di Varadero: «…restavo ancorata sulla riva della nostra adolescenza…».
Fra gli esuli, si parla della fine imminente del regime e tutti sperano (o si illudono) di poter tornare sull’isola.
Al ritorno, la scrittrice di successo amaramente si rende conto che «non serve a nulla essere letta, premiata, tradotta in diverse lingue, se non puoi essere riconosciuta nel tuo paese, incontrare i tuoi lettori originali, condividere la tua opera con la tua gente», capisce che ogni suo movimento è controllato, «guardi la tua sala, controlli la stanza da letto, cammini per la cucina, analizzi la geografia della tua intimità. Anche qui avranno applicato la tecnologia. Dove hanno messo i microfoni?», accoglie nella sua casa un attore famoso e gli spiega che «la privacy in quest’isola è come l’inverno o la neve, soltanto un’illusione», ritira dolorosamente due raccolte di poesie non accettate dall’Istituto del libro.
 
«Perché?... puniscono te o i tuoi libri? Censurano le tue idee o il tuo atteggiamento? Sei tu la perseguitata o in realtà ti stanno perseguitando per le tue idee?... Davvero la poesia è un pericolo per questo paese?».
Subisce perquisizioni, visite invasive, asportazione di carte e computer: quando vuole scrivere, si accorge improvvisamente che la vecchia Margara ha ritrovato il piccolo computer che era stato di sua madre, lo ha posato sul letto insieme alla penna stilografica del nonno, ad un quaderno nuovo e ad una chiavetta USB di Geronimo (l’attore). E Margara ha scritto «Scrivere e tacere».
Solo Margara sa starle vicino, «mai nessuno, per quanto amore professi, ha potuto mantenere la promessa di stare lì eternamente, vicino all’altro. Né padri, né figli, né fratelli, né amanti», perciò «con la morte dei miei genitori ho compreso l’inutilità delle dipendenze emotive. Siamo profondamente soli e io non sono un’eccezione».
 
Il tempo passa, la poetessa di successo viaggia, conosce luoghi, persone e fatti che in qualche modo scompigliano i suoi ricordi e i suoi sentimenti, chiude il romanzo con i suoi versi, forti e terribili: «Qui non è rimasto nessuno. / Né figli Né uomini Né idee».
E chi legge gli scritti di Wendy Guerra, non può non considerarla – come ha scritto «El Pais» – una nipote scomoda della rivoluzione.
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Precedenti recensioni)

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