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Il 17 agosto di cent’anni fa iniziò l’11ª Battaglia dell’Isonzo

In 14 giorni perdemmo 160mila italiani e 120mila austriaci: 20.000 uomini al giorno – Fu il peggiore spargimento di sangue italo austriaco dall’inizio della guerra

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Il Sacrario di Redipuglia: raccoglie i resti di 100.000 soldati.
 
L’11ª Battaglia dell’Isonzo fu combattuta dalla sera del 17 fino alla giornata del 31 agosto 2017.
Nelle more del generale Cadorna – pragmaticamente indifferente all’enormità delle perdite subite nella 10ª Battaglia e all’Ortigara – c’era la volontà di dare un’«ultima spallata» alla difesa austro ungarica, sfondando la parte centrale del dispositivo nemico in modo che le riserve non potessero essere manovrate a sostegno di auspicati cedimenti.
In tutti i casi aveva bisogno di un successo paragonabile alla conquista di Gorizia e forse questo era il vero propulsore della volontà del Comandante supremo.
A tale scopo predispose un piano di battaglia che impegnava tre quarti delle truppe italiane: 600 battaglioni degli 887 disponibili.
Anche l’artiglieria venne disposta con una concentrazione mai vista prima: 5.200 bocche da fuoco.
 
Il piano prevedeva un attacco generalizzato su tutta la linea, mentre l’incarico dello sfondamento centrale veniva affidato alla Seconda Armata del generale Capello, al quale vennero assegnati ben 8 corpi d’armata.
Alla Terza armata del Duca D’Aosta fu affidato il compito di sostenere Capello da Gorizia al mare procedendo all’attacco vero e proprio non appena ottenuti da quest’ultimo i primi risultati.
In pratica, la via per Trieste passava dalla conquista dell’altopiano di Ternova e, poco più a sud, quello della Bainsizza.
 
A fronteggiare questa enorme massa di manovra, gli austro ungarici potevano disporre della sola Quinta Armata, da poco rinominata «Isonzo Armée».
Disponeva di soli 250 battaglioni, distribuiti in tre corpi d’armata a nord e due a sud, oltre a un certo numero di divisioni di riserva.
Anche l’artiglieria era notevolmente inferiore a quella italiana: solo 2.200 bocche da fuoco.
L’esercito austro ungarico, per quanto si trovasse in posizione di difesa, le proporzioni non potevano essere considerate equilibrate. Gli Italiani inoltre avevano attivato da poco un nuovo corpo di attacco, quello degli arditi, il che poteva valere la differenza.
Come abbiamo visto nella battaglia dell’Ortigara, le «Sturmtruppen» del colonnello Sloninka, ben addestrate, molto determinate e armate come si deve, erano riuscite a riconquistare la vetta dell’Ortigara nel giro di una trentina di minuti.
Era la naturale evoluzione militare per uscire dai pantani delle trincee. La capacità di manovra della forza armata non era ancora sorretta dai mezzi di trasporto che avrebbero caratterizzato la Seconda guerra mondiale, ma il principio era giusto. I risultati di queste truppe speciali erano garantiti e pertanto andava spinta questa nuova tattica di combattimento.
 

 
Gli Arditi (foto qui sopra) furono una specialità dell'arma di fanteria del Regio Esercito italiano propria della Prima guerra mondiale. Nel 1917, a seguito di proposte e studi da parte di giovani ufficiali, stanchi della stasi, dell'inutile massacro e della vita di trincea, si era arrivati alla sperimentazione di un'unità appositamente costituita presso la 48ª Divisione dell'VIII Corpo d'armata, comandata dal capitano Giuseppe Bassi e il suo sergente Giuseppe Longoni.
A seguito di valutazione positiva si decise di istituzionalizzare la nascita della nuova specialità. I neonati reparti d'assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria uniforme e un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione.
I risultati non mancarono già nell’11ª battaglia dell’Isonzo - quella di cui si parla oggi - basti pensare che il Monte San Gabriele, che fino ad allora era stato considerato inespugnabile, fu conquistato da tre compagnie di Arditi in soli 40 minuti, portando anche alla cattura di 3.000 prigionieri.
La specialità, sciolta dopo il conflitto, fu brevemente ricostituita durante la seconda guerra mondiale con l'attivazione del 10º Reggimento arditi (15 settembre 1942 - settembre 1943).
Ma le sue tradizioni furono ereditate a partire dal 1975 dal 9º Battaglione d'Assalto Paracadutisti denominato «Col Moschin» (poi Reggimento dal 1995).
 
L’inizio dell’11ª battaglia fu programmato da Cadorna per la sera del 17 agosto 1917, con in tradizionale fuoco d’artiglieria preparatorio. Dopo una notte di bombardamento a tappeto, l’attacco delle truppe scattò la mattina del 18 agosto.
Fu una cosa mai vista. Un milione e duecentomila soldati si mossero all’assalto delle linee austriache, con Boroevich che non riusciva a comprendere il disegno del nemico. E, dati i soliti cambiamenti delle ultime ore, neanche Cadorna aveva più il quadro esatto della situazione, anche perché proprio allo scoccare della battaglia si era incredibilmente trasferito in Cadore per un’ispezione, per poi andare a un vertice alleato a Parigi e infine tornare nuovamente in Cadore.
Ovviamente era sempre in contatto con i suoi comandanti d’Armata e sul terminare della battaglia sarebbe tornato nel teatro operativo.
 

 
L’Isonzo venne varcato all’altezza della Bainsizza ma gli italiani non vi riuscirono nella parte settentrionale, necessaria per far cadere la testa di ponte austriaca di Tolmino.
Capello, che aveva incentrato la sua manovra proprio sulla conquista di Tolmino, si trovò in difficoltà. Ma dato che il generale Caviglia, al centro, stava ottenendo risultati, l’avvio della battaglia non risultò compromesso e anzi vennero adeguate le operazioni.
Il 23 agosto, incalzati ancora da Caviglia, gli austro ungarici disponevano la ritirata sulla linea marginale della Bainsizza. Le truppe italiane, mosse subito all'inseguimento, raccolsero un bottino di ben 135 cannoni, 29 bombarde, 200 mitragliatrici e catturarono qualcosa come 19 000 prigionieri, dei quali 540 ufficiali.
 
Si trattò di una importante vittoria tattica, ma purtroppo senza risvolti strategici. Le pietraie della Bainsizza rappresentavano una naturale forte difesa passiva per gli austriaci: la ripresa degli attacchi del 25 agosto fu sostanzialmente ostacolata dall’impossibilità di portarsi al seguito i cannoni.
Le informazioni che giungevano sul tavolo di Capello indicavano che Boroevich era allo stremo. Come ipotizzato da Cadorna nel suo disegno, il maresciallo non aveva più riserve per tamponare gli attacchi.
Ma la stessa situazione valse purtroppo anche per i soldati italiani. I rifornimenti impossibili misero in seria difficoltà gli attaccanti. Mancavano il cibo e soprattutto l’acqua, ma anche il fieno per gli animali che dovevano portare i rifornimenti.
L’ultimo sforzo italiano portò alla conquista del Kuk (quota 711).
 

 
Boroevich si sentiva allo stremo, ma si accorse che era finito anche lo slancio italiano per mancanza di rifornimenti.
A nulla servirono gli incitamenti di Capello. Gli austriaci ripiegarono ma senza rompere, si assestarono in una nuova linea difensiva.
La situazione si stabilizzò ed era diventato necessario predisporre un nuovo piano di battaglia.
Cadorna, che era tornato nel teatro delle operazioni, sospese le operazioni il 31 agosto 1917.
Quello che fa rabbia oggi - ma anche allora non passò inosservato – fu il commento ingeneroso di Cadorna che ancora una volta attribuì ingiustamente l’insuccesso alla scarsa combattività dei suoi soldati.
La battaglia ebbe un seguito di scontri. Il più importante il 4 settembre, quando gli Austriaci riconquistarono il San Gabriele. Gli Italiani contrattaccarono ancora, ma il 10 settembre furono fermate tutte le attività.
 
L’Austria aveva avuto 20.000 morti, 30.000 dispersi e 50.000 feriti. Persero anche 20.000 prigionieri.
I morti italiani accertati furono 18.974, ai quali però dovevano essere aggiunti altri 35.187 «dispersi», per un totale di 54.161 perdite. I feriti furono 89.173, il 10% dei quali sarebbero morti successivamente.
tutti i tragici precedenti record erano stati battuti. L’Italia aveva subito il più spaventoso salasso dall’inizio della guerra, a fronte di risultati tutto sommato irrisori. Di certo non era stata la spallata finale.
Non solo. Il rischio corso dall’Isonzo Armée, a due passi dal collasso, spinse il comando austriaco a chiedere aiuto ai tedeschi.
La disfatta di Caporetto nacque dunque da quest’ultima spallata non andata a buon fine.

G. de Mozzi


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