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È morto l’attore Gastone Moschin, aveva 88 anni

È stato uno dei grandi attori teatrali e cinematografici italiani, che ricorderemo soprattutto per la serie di film Amici Miei

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Gastone Moschin era nato a San Giovanni Lupatoto l’8 giugno 1929.
Intraprese la carriera come attore teatrale negli anni Cinquanta, facendo parte prima della Compagnia del Teatro Stabile di Genova e del Piccolo Teatro di Milano, poi collaborando con il Teatro Stabile di Torino (Zio Vanja, di Čechov, 1977; I giganti della montagna, di Pirandello, 1979). Sempre di Čechov, nel 1968 ha interpretato il ruolo di Lopachin ne Il giardino dei ciliegi, sotto la regia di Mario Ferrero.
Dal 1983 ha formato una propria compagnia, presentando tra l'altro «Sior Todero brontolon» di Goldoni (1983), «Uno sguardo dal ponte» (1984), «Erano tutti miei figli» (1989) di Miller e «Il gabbiano», ancora di Čechov (1990).
Attore poliedrico e capace, incomincia la sua attività cinematografica nel 1955 con «La rivale», di Anton Giulio Majano. A partire da quello stesso periodo è stato attivo, seppur in maniera saltuaria, anche come doppiatore: per il cinema ha prestato la propria voce a Livio Lorenzon in «Il vedovo» di Dino Risi e a Morando Morandini in «Prima della rivoluzione» di Bernardo Bertolucci.
 
Nel 1959 aveva esordito nella commedia all'italiana con «Audace colpo dei soliti ignoti» di Nanni Loy, ma il ruolo che lo farà emergere sarà quello del fascista codardo Carmine Passante nel film «Gli anni ruggenti» (1962) di Luigi Zampa.
Di lì in avanti Moschin si dimostrerà una presenza assidua nelle commedie dell'Italia alternando ruoli da protagonista a ruoli da spalla di lusso.
Nel 1963 è un quarantenne deluso in «La rimpatriata» di Damiano Damiani e un camionista innamorato in «La visita» di Antonio Pietrangeli, nel 1965 centra un grande successo commerciale e personale con il ruolo di Adolf nella commedia d'azione di Marco Vicario «Sette uomini d'oro», film di culto che generò un sequel diretto dallo stesso regista («Il grande colpo dei sette uomini d'oro») e un paio di imitazioni/variazioni (Sette volte sette, Stanza 17-17 palazzo delle tasse, ufficio imposte) sotto la regia di Michele Lupo, e sempre con Moschin protagonista.
 

 
Il 1966 è l'anno di due importanti interpretazioni nell'autobiografico Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini e nel memorabile «Signore & signori» di Pietro Germi, che gli regala un Nastro d'argento come miglior attore non protagonista.
Vengono poi nel 1968 l'avvocato guascone di «Italian Secret Service» di Luigi Comencini e quello onnipotente e cinico del grottesco «Sissignore» di Ugo Tognazzi, così come del resto l'anno successivo il banchiere di «Dove vai tutta nuda?» di Pasquale Festa Campanile.
La poliedricità di Moschin si esprime anche nella capacità di passare da un genere all'altro senza mai fossilizzarsi in una sola tipologia di ruoli o di film.
Nel 1969 Moschin esordisce nello spaghetti western con il commercialmente sfortunato «Gli specialisti dello specialista» del genere Sergio Corbucci.
Nel 1970 - stesso anno della sua partecipazione a Il conformista di Bertolucci - interpreta un raro esempio di film fantasy italiano, «L'inafferrabile invincibile Mr. Invisibile» di Antonio Margheriti.
Nel 1971 è un laido monsignore in «Roma bene» di Carlo Lizzani.
 
Nel 1972 è l'ambiguo Ugo Piazza del celebre noir «Milano calibro 9», di Fernando Di Leo, con al fianco Barbara Bouchet e Mario Adorf, uno dei film capostipiti del genere poliziottesco.
Lo stesso anno sostituisce Fernandel in «Don Camillo e i giovani d'oggi» di Mario Camerini.
Nel 1973 è un convincente Filippo Turati ne «Il delitto Matteotti», ancora di Vancini.
Nel 1974 viene chiamato da Francis Ford Coppola per il ruolo del bieco Don Fanucci ne «Il padrino - Parte II» e interpreta il crudele bandito detto Il Marsigliese nel poliziesco «Squadra volante» di Stelvio Massi, con Tomas Milian e Mario Carotenuto.
Il personaggio del Marsigliese avrà successo tanto da essere citato in varie forme in numerosi poliziotteschi successivi.
 

 
È a ogni modo un ruolo brillante quello a cui Moschin deve la popolarità maggiore - vale a dire il ruolo dell'architetto inguaribilmente romantico Rambaldo Melandri, protagonista, al fianco di Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Duilio Del Prete, della trilogia di «Amici miei».
Il primo film, diretto da Mario Monicelli, esce nel 1975 e si classifica al primo posto negli incassi della stagione.
Il seguito, sempre diretto da Monicelli e con Renzo Montagnani che sostituisce Duilio Del Prete, esce nel 1982 e si rivela il terzo incasso stagionale e il film italiano più visto dell'anno.
Il terzo film, diretto da Nanni Loy, esce nel Natale del 1985 e, pur avendo un successo inferiore, regala a Moschin un secondo Nastro d'Argento.
Proprio gli anni ottanta sono quantitativamente meno intensi nella carriera di Moschin, pur regalando - sempre agli inizi del decennio - altre interpretazioni degne di nota, come il deputato comunista di «Si salvi chi vuole» di Roberto Faenza e il potente ministro di «Scherzo del destino» in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada di Lina Wertmüller.
Chiusa la trilogia di Amici miei, le apparizioni si diradano ancora di più, ma merita di essere ricordata la partecipazione al poetico «I magi randagi di Sergio Citti».
L'ultima interpretazione di Moschin per il grande schermo è del 1997 nel discusso Porzus di Renzo Martinelli.
 
Intensa l'attività televisiva dell'attore - che ha inizio nel 1955 con «Istantanea sotto l'orologio» di Gastone Tanzi, ma che viene lanciata nel decennio successivo con alcuni popolari sceneggiati di Sandro Bolchi, fra cui «Il mulino del Po» (1963) e «I miserabili» (1964), nella parte del protagonista Jean Valjean.
Nel 1981 doppia Roboleon e altri personaggi del cartone animato «Daikengo, il guardiano dello spazio».
Nel 1991 recita nel telefilm francese «Macaronì», ispirato al romanzo autobiografico di François Cavanna, figlio di un muratore italiano immigrato a Nogent-sur-Marne in Francia: Moschin interpreta il ruolo del padre di Cavanna.
Nel 2000 e nel 2001 partecipa alle prime due stagioni delle serie televisive «Don Matteo» e «Sei forte maestro», che rappresentano le ultime apparizioni del popolare attore, ad eccezione delle partecipazioni nei panni di se stesso ai documentari «Adolfo Celi, un uomo per due culture» (2006) e «L'ultima zingarata» (2010), ricordando in entrambi la realizzazione della trilogia di Amici miei.
 

 
Dal 1990 visse a Capitone, vicino a Narni, dove aveva installato anche un maneggio di cavalli, divenuto il primo centro di ippoterapia dell'Umbria.
Era stato tra gli insegnanti della scuola di recitazione «MUMOS» a Terni organizzata dallo stesso Moschin, dalla ex moglie Marzia Ubaldi e dalla figlia Emanuela: con loro, nel 1993, aveva già portato in scena «Tredici a tavola» di Marc-Gilbert Sauvajon.
Nel 2006 curò la messa in scena dell'opera teatrale «Piccola Città» di Thornton Wilder per la compagnia teatrale Orion Theatre: tale opera venne poi inserita dal Teatro Stabile dell'Umbria nella stagione di prosa 2006-2007 nei teatri di Narni (TR) e Todi (PG).
Si è spento nel pomeriggio del 4 settembre 2017 nell’Ospedale Santa Maria di Terni, dove era ricoverato da qualche giorno.
 
Si ringrazia Wikipedia per le note e le foto.

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