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Belle Epoque. (Erotica storia d’amore di fine ottocento)

Quarta Puntata

La governante Veneranda mi presentò alla servitù, formata da cinque donne vestite tutte uguali di nero, con un grembiulino bianco.
«Io mi occupo personalmente della signora, - disse. - La sua cameriera personale sarà Novella.»
Novella fece una leggera flessione sulle ginocchia per presentarsi.
«Venga che l'accompagno in camera. Tu, Novella, porta su i bagagli del signor conte.»
Capii che non c'erano altri maschi in casa per evidenti motivi di circostanza. Novella era molto giovane e carina e mi domandai se fosse stata scelta così per caso o per calcolo. Salimmo al piano superiore prendendo una delle due scale che fiancheggiavano le pareti del salone d'ingresso. La mia camera e quella della signora erano attigue e comunicanti con due porticine ben mimetizzate nella parete, apribili solo da ciascuna delle due parti. Entrambe avevano anche uno spogliatoio che doveva consentire ai signori di prepararsi per andare a letto, ed entrambe erano collegate anche ad una sala da bagno personale dotata di rubinetti modernissimi e di una stufa di rame per scaldare l'acqua.
Veneranda ci lasciò dopo avermi mostrato la camera, Novella aprì le valige senza chiedermi il permesso, cosa che a me nobile di campagna non stava affatto bene ma che era in uso presso tutti i nobili di città. Appese i vestiti e sistemò la biancheria nei cassetti con cura. Poi andò a prendere un certo numero di accappatoi e vestaglie, altre cose che così numerose si usano solo in città, poi portò gli asciugamani e le lenzuola. Quando si piegava per sistemare le cose, metteva in mostra a chi le stava davanti un seno procace e a chi le stava dietro un sederino davvero invitante.
«Sei molto graziosa, Novella.» - dissi in un momento in cui stava eretta.
«Grazie, signor conte.» - rispose girandosi verso di me e facendomi un accenno di riverenza.
«Sei sposata?»
«No signor conte.»
«Ce l'hai un ragazzo?»
«Sì, signor conte.»
«Gli sei fedele?»
«Ehm... Sì, signor conte.»
Fine della conversazione. In altre parole, all'occorrenza ci sarebbe stata.
«Ho finito signor conte. Se ha bisogno di me, qualsiasi cosa, questa corda è la campanella.»
Mi indicò un cordale di seta che scendeva dal soffitto a fianco del letto.
Quando scesi al piano terra, incontrai Veneranda e la chiamai.
«Scusatemi, signora, ma vorrei chiedervi una cosa su Novella.»
«Dite. Non vi piace?»
«No, anzi. Ma volevo chiedervi se...»
«E' stata pagata profumatamente. Potete farne quello che credete.»
«Come avete detto, prego?»
«È stato deciso che se voi aveste avuto bisogno di suscitare il vostro desiderio o, al contrario, sfogare i vostri istinti in maniera poco consona al rango e alla purezza della signora, - disse con una freddezza davvero singolare, - sarebbe stato meglio mettervi a disposizione una giovane fanciulla volgare che vi consentisse di realizzare la vostra irruenza maschile.»
«Volete dire che è una professionista?»
«Dio ce ne scampi! - rispose sull'offeso. - È una brava ragazza del posto, che diamine!»
«E la brava ragazza ha accettato?»
«Ci mancherebbe! E' una popolana...»
Quale avvocato delle donne riuscii frenare a stento la voglia di prenderla a calci.
«Non mi servirà. - brontolai, invece che incazzarmi. - La signora saprà soddisfarmi quanto basta.»
«Tanto meglio. Ma se volete un consiglio, signor conte, usate Novella per eccitarvi prima dell'amplesso, per rilassarvi dopo, per farvi un massaggio ristoratore lungo la giornata. È brava e robusta e qualsiasi cosa le facciate o le facciate fare, non subirà traumi.»
«Ma che cosa credete che sia?» - dissi seccato.
«Io so che cosa siete voi. E dato che siete stato chiamato qui solo per ingravidare la signora marchesa, desidero ricordarvi ancora una volta che se volete sfogarvi oralmente o analmente, con l'uso della frusta o in qualsiasi altro modo non utile alla riproduzione, dovrete farlo con Novella. La signora non si tocca.»
«La domanda era cosa credete che sia Novella!»
Non replicò ed io provai un senso di disgusto nei confronti della governante che evidentemente era a conoscenza anche della mia chiacchierata fatta con Ortensia. Ma avevo provato anche un senso di tenerezza nei confronti di Novella. Stavo invecchiando.


Fotografia del maestro Adriano Frisanco

Per cena indossai un tight grigio estivo con una cravatta verde bottiglia regalata da Clementi ed entrai in sala da pranzo. Sapevo di offrire una bella presenza, raramente riscontrabile presso un aristocratico. Avevano preparato due posti alle due estremità di un tavolo lungo. Osservai la sala, che era stata arricchita di fiori freschi. Mentre notavo la presenza di ortensie nei vasi, Ortensia entrò.
«Buona sera.» - Disse abbastanza gioviale, per quanto affettata.
«Buona sera Ortensia. - risposi cortese. Rimase sorpresa del nome che le avevo dato e che non ricordava più. Mi avvicinai a lei per parlarle sottovoce. - I fiori sono stati scelti così, a caso?»
«Ortensia è un bel nome. E voi, vi chiamate sempre Marco?»
«Marco. - confermai. - Sentite, possiamo avvicinare i posti a sedere?»
«Beh sì, perché no? Veneranda!»
«E vorrei che le donne in questa casa non vestissero più di nero.»
Arrivò la governante e questa dispose affinché il mio posto venisse messo vicino al suo.
«No. - intervenni. - Metteteci l'uno di fronte all'altra nel lato più stretto del tavolo.»
«Ma…»
«Voglio che stiamo alla pari.»
«Ma voi non siete…»
«Lo so. - la interruppi. - Io sono io. Ma non sono discriminante.»
«I signori desiderano bere qualcosa?» - chiese la cuoca.
«Buona idea. - disse Ortensia rivolgendosi a me. - Dello champagne va bene?»
«No. - risposi. - È un po' troppo alcolico e non sappiamo come andrà a finire la serata. Avete del vino bianco fermo?»
Lei si irrigidì impercettibilmente, ma evitò gli alcolici prima, durante e dopo la cena. Ci servirono pateticamente dei crostacei e altre pietanze conosciute come afrodisiache. Ottimo pasto, comunque, non c'era che dire.

Dopo cena andammo nel salotto e quando le donne di casa, non più vestite di nero, si portarono al pianoforte, io e la mia nobile compagna riuscimmo a rilassarci. Ci sedemmo in poltrona davanti al caminetto spento per gustarci il sottofondo musicale. Parlammo del più e del meno. Provai anche a parlare di politica, spiegando perché secondo me le donne del Regno d'Italia avrebbero dovuto poter dire la loro in politica. Ma evidentemente non voleva palesare argomenti di discussione che mi facessero intuire la posizione del marito. Riuscii a capire solo che era contenta che il Regno d'Italia avesse vinto la Terza Guerra d'Indipendenza. Ammirava la Prussia che, dopo aver battuto anche la Francia nel 1870, aveva riunito tutti gli stati tedeschi fondando il Reich di Germania.
«La nazione tedesca - azzardai a dire - è molto diversa dall'Italia. Da noi i Savoia hanno conquistato stato per stato. In Germania gli Stati hanno rinunciato a parte della loro sovranità per costituire l'Impero.»
«Da noi non era percorribile la stessa strada. - disse sorprendendomi. - Lombardia e Veneto, se mi consentite, non erano degli stati proprio sovrani. E quando Venezia venne ceduta all'Austria da Napoleone, la repubblica non era più sovrano di un consiglio comunale...»
«Una acuta osservazione…» - Dissi con una certa ammirazione.
Arrossì e abbassò lievemente la testa. Non era male come donna e sembrava avvezza a parlare di politica. Piuttosto singolare, pensai.
«Che ne pensi della caduta di Napoleone Terzo?» - le chiesi.
«Beh, l'imperatore era il più potente sovrano d'Europa, eppure è uscito malamente dalla scena… Ma ha consentito l'intervento militare italiano che, approfittando ancora una volta di una vittoria della Prussia, è riuscito a conquistare Roma. Il Paese ha finalmente Roma per Capitale.»
Suo marito era vicino al Re? Al Capo del Governo?
«Vi vedo perplesso, Conte Marco… - Disse con una riacquistata sicurezza. - Pensavate che mi limitassi a dire che dopo Napoleone III le donne hanno smesso di portare i vestiti a gonna larga?»
Non ci avevo fatto caso, ma aveva ragione anche in questo; la moda femminile era cambiata proprio dal 1870...
«Con Napoleone III il motto dei Francesi era divertirsi il più possibile. Adesso che c'è nuovamente la repubblica, il motto è arricchirsi. Come sta andando il mio esame, signor conte?»
Fantastico… osservai mentalmente

Alle 22 decidemmo di andare a dormire, sicché salimmo al piano di sopra, accompagnati rispettivamente da Veneranda e da Novella che reggevano le lampade a olio. Ci salutammo sull'uscio ed entrammo nelle nostre camere accompagnati dalle nostre servitrici.
«Vi ho preparato un bagno caldo. - disse Novella. - Se volete, vi aiuto ad insaponarvi, a risciacquarvi e ad asciugarvi.»
«Grazie» - risposi, rimettendomi così un po' a mio agio. Erano anni e anni che una donna non mi faceva il bagno… Forse l'unica era stata Annamaria, quand'ero piccolo. Mi spogliai. Non accennai di coprirmi ed entrai nella vasca da bagno. Lei iniziò ad insaponarmi e a sfregarmi dolcemente.
«Siete molto bello.» - commentò ad un certo punto in lingua italiana. La mia abbronzatura, conquistata ai bordi del mio laghetto, nel mio parco e per i miei campi di grano, faceva sempre il suo effetto. Eppure era poco aristocratica…
«Anche tu lo sei.» - le dissi.
Arrossì. - «Grazie signor conte.»
Restammo in silenzio finché non giunse il momento di alzarmi e lei mi coprì con un grande asciugamano. Mi sdraiai sul letto rilassandomi nelle sue mani.
«Va bene così, signor conte?»
«Sì, va benone. - Poi volli sondare le affermazioni di Veneranda. - Senti, te la sentiresti di aiutarmi a preparare la serata?»
Lei finì di asciugarmi, dandosi da fare con femminilità. Il pene mostrò vitalità.
«Va bene così, signor Conte?»
«Già.»
Quindi sapeva tutto. Mi alzai. Lei prese l'accappatoio e mi aiutò a metterlo. Me lo allacciai.
«Puoi riscaldare l'acqua per un altro bagno per quando torno?»
Allora bussai alla porta di Ortensia. Mi aprì l'uscio Veneranda.
«Se ne vada! - le ordinai bruscamente. Lei provò ad opporre un atteggiamento di resistenza. - Fuori di qui!»
Guardò Ortensia, che era seduta in poltrona avvolta in una vestaglia stile femme fatal. Capì ed uscì malvolentieri di scena. Ma intanto il pene era tornato in posizione di riposo. Selvaggia!

Misi le mani nelle tasche dell'accappatoio e mi avvicinai a Ortensia. Non era imbarazzata, ma certamente non si trovava nella situazione emotiva migliore. La cacciata di Veneranda tuttavia le aveva fatto bene. Mi fermai davanti a lei ostentando una certa autorevolezza virile. Alzò gli occhi, confermando la bellezza che le avevo già notato. Il resto era coperto e non tradiva alcuna caratteristica. Le accarezzai una guancia e chiuse gli occhi.
«Sei molto bella.»
«Grazie. - disse dopo una breve pausa. - Non siete obbligato a dirlo… - Poi ci ripensò. - Lo pensate davvero?»
«Il tuo viso è bellissimo. - Sorrisi malizioso. - Posso vedere il resto?»
Lentamente si alzò stringendo la vestaglia.
«Spogliati, - suggerii slacciandogliela. - Lasciala cadere.»
Attese un bel po', ma alla fine si lasciò slacciare la complicata vestaglia. Quando cadde, vidi che aveva addosso la camicia da notte. Allora mi allontanai per vederla meglio. Aveva una piccola apertura verticale all'altezza del sesso.
«Cos'è quella roba? - Esclamai senza riuscire a trattenere una risata. - Fatti vedere un po'... Girati... - Si girò. C'era un'apertura anche dietro. - Fantastico! Chi l'ha fatta, intuiva che magari avrei voluto prenderti anche da dietro… Ha ha!»
Cercò di rimettersi rapidamente la vestaglia, ma corsi a fermarla.
«Scusami, Ortensia. Non volevo offenderti, vieni qui.»
L'abbracciai e le tolsi nuovamente la vestaglia.
«Ora però vorrei che facessi la brava. Promesso?»
Annuì.
«Ecco, bene. Ora io vado a sedermi in poltrona e tu rimani in piedi qui girandomi la schiena. Quando te lo chiederò, ti solleverai piano la camicia da notte, fino a scoprire il sedere. Solo il sedere. Ti va?»
Stavolta aspettò un po' di più, ma poi annuì nuovamente. L'assenso mi riscaldò il sesso. La baciai sulla fronte e andai a sedermi.
«Solleva, per favore.»
Lei attese un attimo, poi iniziò a sollevare piano la camicia da notte. Scoprì prima un polpaccio, poi l'altro. Le sfuggì la camicia dalle dita, ma la risollevò nuovamente. Scoprì una piccola parte di sedere, poi la base delle natiche, e infine me lo lasciò guardare completamente scoperto. Sapevo che la cosa eccitava lei quanto me.
Il suo didietro offriva uno splendido erotismo naturale. Le due natiche perfettamente ovali, ambrate e lisce, le piegoline alla base costituivano una specie di invito. Le due fossette superiori, vicine alle sue mani che trattenevano in alto la camicia da notte, costruivano uno scenario davvero importante. Mi avvicinai palesando il mio approccio. Era tesa come la corda di un violino. Toccai prima una poi l'altra natica con l'esterno delle dita, e lei non si mosse. L'accarezzai così, poi la toccai con il palmo della mano. Si mosse, ma non lasciò cadere il camicione. La palpai con dolcezza gustando la pienezza dei glutei, quindi le presi la camicia e gliela sfilai del tutto dall'alto.
«Non avere paura. - Sussurrai. - non sono un mostro.»
La girai e mi allontanai. Lei si lasciò guardare, proteggendosi però sesso e seno con le mani. Le chiesi di abbassare la guardia e lei preferì scoprire timidamente il sesso, piuttosto che togliere il braccio dal seno. Non insistei, c'era tempo. Però notai che teneva il braccio sopra alle tette: se fossero state cascanti l'avrebbe messo sotto.
«Sei bellissima. Hai un seno che è un delitto non mostrare. Dovresti farti ritrarre da un pittore, o modellare da uno scultore, o riprendere da un fotografo. E la tua vita è così sottile che sembra l'allegoria della femminilità.»
Mi tolsi la vestaglia e la gettai sulla poltrona. Ero nudo e lei ovviamente non riuscì impedirsi di guardarmi il pene.
Non commentò.
«Senti. - dissi allora. - Ti spiego cosa voglio fare stasera. Ti voglio amare nella maniera più tradizionale, per sentire le tue reazioni, il tuo calore e la tua umidità. Voglio vedere cosa dice il tuo corpo mentre vi insinuo il mio. Da questo primo contatto, saprò cosa fare meglio nei prossimi giorni. Va bene?»
Annuì.
La presi in braccio e lei si accovacciò al mio petto, poi la sdraiai sulle lenzuola. Mi misi al suo fianco e riposi le mie attenzioni alle tette, che continuava a proteggere con il braccio. Piene e sode, le avrei frustate volentieri per sentire il rumore della pelle e per leggere le sue reazioni alla sferza. Mi vergognai subito di averlo pensato.
Appoggiai il pene alla coscia e lei ebbe una impercettibile reazione. Mi avvicinai alle sue labbra e provai a baciarla, ma si negò. Rinunciai al bacio. Provai ad inserire una mano tra le cosce, ma lei le stringeva con determinazione. L'accarezzai un po', ma la sua tensione rimaneva alta. In linea teorica potevo proseguire contro la sua volontà, ma non ho mai violentato una donna e men che meno lo avrei fatto con lei, per cui decisi di seguire un'altra strada.
«Mettiti comoda pancia sotto.» - le sussurrai all'orecchio.
Lei obbedì volentieri, il sedere si può mostrare... Però in quella maniera mi aveva esposto una delle parti più belle di lei. Ora si sentiva meno esposta e sapeva di piacere. Le misi una mano sulle natiche e lei gradì il calore del contatto, iniziando a rilassarsi. Il sedere femminile è la migliore via di socializzazione all'intimità, l'ho sempre sostenuto. Caldo, pieno, morbido, vivo, invitante, eccitante, ma assolutamente mai inverecondo.
Quando sentii una maggiore disponibilità, scesi ad accarezzare le cosce, quindi il loro interno e piano piano mi portai al sesso. Ancora con grande prudenza, cercai di metterla a suo agio pur sollecitando il suo desiderio. D'un tratto mi accorsi che una goccia di rugiada stava tradendo il suo desiderio. Proseguii così, finché non la sentii del tutto sciolta e rilassata. Allora alzai la mano e le diedi una sonora sculacciata.
Sciaaack!
«Ahiaaa! - Era saltata su, scossa dal rude passaggio dalla dolcezza alla forza. - Cosa fai?!»
«Mi hai dato del tu, eh?» - Dissi sfacciato. Ma così avevo potuto approfittare del suo movimento per abbracciarla e stringerla a me, anche se cercava di impedirsi di soccombere. Ma ogni suo movimento non faceva altro che facilitare il mio compito.
D'un tratto ero sopra di lei, con le sue gambe raccolte ma dischiuse attorno a me.
«Andatevene! - Gridò, ma ormai era pronta. - Restate...»
Adesso non c'erano più imbarazzi di sorta e si rese conto della presenza del mio sesso non lontano dal suo. Era un momento del quale doveva approfittare anche lei. Sollevò un po' le ginocchia mentre mi sistemavo in mezzo. Le presi la mano e la portai al pene.
«Guidalo tu. Voglio che sia tu a farmi strada.»
Lo prese pudicamente con due dita e lo avvicinò al sesso. Me lo appoggiò all'accesso e io diedi una prima spinta a vedere se era nel giusto alloggiamento. Lei sfilò la mano e chiuse gli occhi, lasciandomi fare. Spinsi ancora e lei automaticamente si ritrasse. Allora le presi una mano e gliela portai alla mia natica.
«Tienti qui, - sussurrai. - Guidami ancora tu.»
Capì. Con la mano poteva controllare la mia penetrazione secondo la sua sensibilità. Ero abbastanza abile da seguire i suoi movimenti docilmente e in breve fu lei a dirigere il gioco. Forse era la prima volta che Ortensia conduceva l'amplesso. Si rilassò, si dischiuse lentamente, si bagnò e mi accolse del tutto. Giocai un po' con il viso nel suo seno, ma preferii concentrarmi sulle sue reazioni.
Quando la sentii affannata iniziai a muovermi schiacciandole il torace e sfregando l'esterno delle mie cosce all'interno liscio delle sue. Tenendola con le braccia, ebbi la sensazione di possederla interamente. Decisi allora di mollare i freni ritardanti e mi concessi di venire così liberamente, in fretta e senza troppe complicazioni. In qualsiasi altro caso avrei fatto durare l'amplesso molto più a lungo, ma per quella serata doveva finire così. Il pene ebbe presto forti pulsazioni e iniziò ad emettere liquido seminale. Ero lì per quello.
«Vengo.» - l'avvertii d'abitudine, e lei si lasciò andare in gemiti più forti e liberatori. Eiaculai a lungo scorrendole avanti e indietro con piacere. Quando il liquido sembrava volersi esaurire, Ortensia scese con la mano ai sessi, raggiunse i testicoli e provò a strizzarli, come per far uscire del tutto il contenuto. Le presi la mano, la fermai e gliela portai dietro il mio collo.
Era la prima volta che scopavo in quella situazione e in più senza le preoccupazioni di non mettere incinta la compagna. Il tutto era durato non più di tre o quattro minuti. Un record. Un record negativo per la donna, alla quale sicuramente non era bastato neanche per rendersi conto di ciò che accadeva, ma forse era quello che preferiva.
Alla fine, spinto un po' dal freddo del poi, decisi di staccarmi da lei. Le diedi ancora un morso affettuoso al seno, quindi mi sfilai e mi alzai. Lei piegò una gamba sull'altra per pudore e io la coprii con la sua vestaglia. Poi indossai l'accappatoio, la baciai sulla guancia e tornai nella mia camera.
Chiamai Novella.
Misi i piedi nella vasca da bagno e mi sedetti sul bordo. Le chiesi di lavarmi con acqua calda, dopodiché mi asciugò e mi accompagnò sul letto. Mi feci fare un massaggio rilassante. Fu molto piacevole, anche se non era molto esperta al punto che dovetti dirle io come fare. Alla fine le chiesi di chiamare Veneranda.
Dopo dieci minuti la governante si presentò a me. Rimase ad ascoltarmi.
«È andato tutto bene. Prendetene nota. Non dovrà farsi un'irrigazione prima di domattina, però nel frattempo desidero che venga depilata.»
Veneranda si irrigidì in attimo.
«Le raderete le ascelle. - Precisai. - Dopodiché desidero che il pettignone venga curato con arte. Deve scomparire ciò che sborda all'interno delle cosce e quello sul perineo. Poi massaggiatela ed avvisatela che domattina busserò alla sua porta prima di colazione.»
Non rispose e se ne uscì. Mi domandai se avesse capito che cosa fossero pettignone e perineo…

(Continua)

Il quadro riprodotto sopra la fotografia bianco e nero, come si può immaginare, è di Toulouse Lautrec

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