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Belle Epoque. (Erotica storia d’amore di fine ottocento)

Sesta Puntata

Non conoscevo né la villa né il parco, ma mi orientai facilmente. Mi avviai verso una quercia secolare, al di là della quale c'era una grande siepe. Mi incamminai sotto l'enormità della chioma che mi faceva sentire piccolo piccolo e osservai il muschio che cresceva su un tronco con un diametro di almeno un metro e mezzo. Mi portai dietro la siepe e scoprii che questa era stata messa a protezione di una piscina la cui struttura risaliva ad almeno tre secoli prima, adornata di statue classiche di donne e uomini ignudi. I lati più stretti della grande vasca erano fatti a scalinate, costruite per facilitare l'accesso dei bagnanti all'acqua. L'acqua ora era stagnante e probabilmente da oltre cent'anni nessuno vi faceva più il bagno. A metà del lato più lungo c'era un tavolino di ferro colorato di rosso, come erano rosse le sedie con la struttura metallica ed il sedile di legno. Andai a sedermi. La brezza era leggera e rendeva sopportabile il caldo mattino d'agosto. Stavo ripensando alla lezione didattica e alla situazione alla quale mi andavo velocemente adattando con piacere. Non riuscii a stare da solo più di qualche minuto, perché mi raggiunse Novella con i suoi passi corti e veloci, per via dello stretto vestito che teneva leggermente sollevato per non strofinarlo sull'erba.
«Siór conte, - ormai preferiva parlarmi in veneto, quando eravamo soli. - Siór conte, sono qua dietro. Lei comanda e io obbedisco.»
Le avevano detto di non lasciarmi mai e lei cercava di farlo con tatto.
«Grazie Novella. Senti, me lo faresti un piacere?»
«Comandi!»
«Dovresti portarmi un sigaro e chiedere alla signora Marchesa se ha voglia di venire a sedersi qui con me.»
«Comandi, siór conte.»
Tornò presto con un sigaro e degli zolfanelli.
«La signora Marchesa vi raggiunge subito.»
Che forte… La servetta parlava in italiano quando si riferiva alla signora, che veneta non era. La buona abitudine di chi è bilingue.
Annusai il sigaro, lo schiacciai con le dita, poi lo leccai e me lo misi in bocca. Solo allora Novella mi si avvicinò con il taglierino e me lo spuntò. Era stata addestrata bene e forse avrei dovuto pensare di portarmela a casa. Non che la mia governante fosse da meno, anzi, ma Annamaria era come una zia per me e forse le avrebbe fatto bene avere in casa una giovane abile e fidata. Mi volle accendere il sigaro, ma le feci cenno di no che l'avrei solo tenuto in bocca spento. Poi, quando vide che stava arrivando Ortensia, si ritirò fuori portata della vista e dell'udito. Discreta.
«Buongiorno Ortensia.»
«Buongiorno Marco.»
Aveva un vestito azzurro, con un foulard arancione allora di moda nei migliori salotti d'Europa. Il vestito dietro era ripreso per mettere in risalto la femminilità del sedere senza volgarità, come si usava da quando era caduta la corte di Luigi Napoleone III, come mi aveva fatto notare Ortensia. Portava un cappellino in tinta ma senza veletta. Le vedevo solo la punta delle scarpe coperte dall'abito, mentre una leggera scollatura le dava un certoché di giovialità. Aveva uno sguardo aristocratico, anche se gli occhi erano particolarmente vivi. Li teneva socchiusi, probabilmente per la forte luce del giorno cui non era ancora abituata, ma questo le accentuava un senso di erotismo malcelato che il giorno prima nessuno avrebbe mai sospettato.
«Il sesso vi fa bene.» - dissi ammirato.
«Non mi davate del tu?»
«Già, ma evidentemente la tua avvenenza mi ha intimorito...»
«Siete galante.»
«Sono sincero. E sei elegantissima. Ma forse tutto quello che indossi diventa...»
«Mi avevano informato che portavate un vestito di lino color panna, e non ho voluto essere da meno.»
Sapevo che in due minuti non poteva essersi cambiata. La guardavo con attenzione, scoprendo momento per momento dei nuovi lati positivi. Anche se erano raccolti, vidi che i capelli erano scuri, con dei riflessi rossi. Ma dato che a letto glieli avevo visti sciolti, sapevo anche che erano lunghi, lucidi e ondulati. Anche il trucco accentuava la sua bellezza, e quando si inumidiva le labbra sfiorandole con la lingua, l'apprezzavo come donna di una bellezza leggiadra.
Decisi di distogliere i miei pensieri pericolosamente lusinghieri nei suoi confronti.
«Allora, come t'è sembrato stamattina?» - chiesi con uno stupido orgoglio virile.
«Beh, innanzitutto ditemi perché fumate il sigaro, quando mi avevate detto che avremmo dovuto abolire il fumo.»
«È spento... Oh, al diavolo.» - gettai il sigaro.
Si sedette di fronte a me.
«Per secondo, volevo dirvi che le mammelle non vanno munte come se la donna fosse una giovenca. Vi siete aggrappato a loro come se fosse stata la prima volta che le palpate in tutta la vostra vita.»
Sorrise per alleggerire la critica, ma io ne rimasi sorpreso lo stesso e reagii.
«Ortensia, Cristo, l'ho fatto perché mi piace. Non ti pare abbastanza?» - Ma sapevo che non era una buona scusa. Non avevo più l'orgogliosa sicurezza di poco prima…
«Ci sono donne che impazziscono se gliele strapazzate ed altre che invece non lo gradiscono affatto…»
«Ortensia, scusatemi.» - dissi alla fine. Ed ero tornato a darle del voi.
«Suvvia, Marco. Vi prego, continuate a darmi del tu e a trattarmi come se fossi una cosa di vostra proprietà. Così state andando bene. - Mi prese la mano appoggiata sul tavolo. Era un gesto di tenerezza. - Marco, io... Se vi dico una cosa, non vi montate la testa?»
«Ortensia…»
«Io, stamattina, ho avuto un orgasmo per la prima volta in vita mia.»
Mi tornò lo stupido orgoglio maschile, ma lo frenai subito sviando il discorso.
«Ma, le tette vi fanno male? Scusa, ti ho fatto male?»
«Vi giuro che se ieri mi aveste detto che mi avreste strizzato il seno in quella maniera, sarei svenuta dall'idea.»
«Te ne saresti andata?»
«No, dato che sono qui per farmi mettere incinta. Anzi, sono pronta a sopportare ben altro. Perdonate il mio ardire… - aggiunse poi sforzandosi a proseguire il discorso. - Ma certamente non pensavo che le mie mammelle potessero essere fonte di tanto piacere.»
Arrossì.
«Sei una donna straordinaria.» - le dissi ammirato. Era felice del mio godimento…
«Basta così, signor conte. Niente complimenti. Nulla al mondo potrà farci avvicinare di più di quello che ci offre il letto... E il destino. D'accordo?»
«D'accordo. Ma hai messo in conto che potrei innamorarmi di te?»
«Ci soffrireste per niente.»
«No, non per niente. Ci soffrirei e basta.»
«Non mi creerete problemi, vero?»
«Neanche tu, vero?»
Attese un attimo, poi si raddrizzò sul petto.
«Neanche io. Qualsiasi cosa succeda.»
Mi guardai intorno.
«È bello qua. Che ne dici se oggi facciamo una colazione fredda, qui?»
«Perché no?»

L'immagine che segue è una natura morta con tenda di Paul Cezanne

A mezzogiorno ci portarono del pane ancora caldo, del paté, del salmone affumicato norvegese con dei ricami di burro, delle piccole granseole veneziane aperte e preparate, del prosciutto cotto, dell'insalata russa e un melone. Quest'ultimo era così fresco che probabilmente l'avevano tenuto nel pozzo tutta la notte. Era freddo anche il vino bianco che Ortensia volle assaggiare. Poi lei bevve solo acqua, anche se mi disse che non avrebbe disdegnato per niente dello champagne. Ne avrebbe bevuto a volontà dopo il parto, per festeggiare. Se tutto fosse andato bene.
Quando arrivammo al caffè, Ortensia mi rivolse la parola piegandosi in avanti in tono confidenziale.
«Voi, vi siete… ehm, avete... Insomma, siete stato con molte donne?»
«Via Ortensia, non imbarazzarti quando parli di certe cose. Sai perfettamente che sono stato scelto anche per questo. Sì, mi sono accoppiato con qualche donna. Perché me lo chiedi?»
«Volevo farvi delle domande.
«Prego.»
«Sono per lo più timide?»
«Chi, le donne? Come te, vuoi dire? Dipende. Non siete uguali, anzi, ognuna è fatta a modo suo. Qualcuna è timida solo le prime volte, alcune non lo sono neanche la prima notte, altre lo rimangono per tutta la vita.»
«Le prendete sempre come avete fatto ieri e oggi con me?»
«Erano solo due delle mie varie posizioni di base...»
«Ah? - chiese con una mano sul cuore, tra l'incerto e il curioso. - E quali sarebbero le altre? Ammesso che non si tratti di cose troppo indecenti per una gentildonna.»
«Te le farò provare tutte, Ortensia, quindi vedi tu, se vuoi te ne parlo ma se preferisci ti faccio una sorpresa di volta in volta....»
Mi guardò diffidente. - «Parlatemene.»
«Bene, - sospirai. - Le prime due figure le abbiamo realizzate ieri sera e stamattina, e continueremo a impostarle anche se poi ti prenderò negli altri modi, magari solo per un po', per scaldarci. Dipende da come rispondi.»
«Parlatemene.» - ripeté senza abbassare gli occhi.
«La prima, con me sopra e te sotto vis-à-vis, l'abbiamo fatta ieri sera ed è la più classica. Con me sopra e te sotto pancia in giù come abbiamo fatto stamattina, è la più completa perché l'uomo si trova in posizione totalmente dominante, tiene le proprie gambe ai lati esterni delle cosce della donna e la penetra profondamente sollecitando la parte più sensibile di lei, la parete anteriore avanzata della vagina. Evoca all'uomo la penetrazione anale e alla donna la sottomissione per cui è costretta a godere. Se invece io sto sotto e tu mi stai sopra, sono altre due classiche...»
«Due? - domandò con crescente malizia.
«Te le mostrerò, così sono più facili da capire. Io le chiamo a smorzacandela se mi guardi in faccia e a poltrona se mi giri la schiena. Poi ti prenderò stando entrambi sdraiati sul fianco: se stai girata verso di me si fa la forbice, se mi offri la schiena ti prendo da dietro e si fa quella che si chiama cucchiaio. Se ci capiterà, lo faremo in braccio, in piedi o in ginocchio, stando di fronte: si dicono appunto in piedi o in ginocchio. La variante di una... sveltina fatta per mancanza di tempo o di spazio è la presa a squadra, o ad angolo retto. La donna sta eretta fino alla vita, ma col busto piegato in avanti ed appoggiandosi con le mani al tavolo o al pomolo del letto. Io a volte in ufficio... Scusa...»
Non finii la frase, imbarazzato. Passai alla successiva.
«Ma la più sconcia per definizione la si fa stando a quattro zampe come animali. In alternativa la donna può stare appoggiata sui gomiti, come se stesse pregando alla musulmana. Ma ti prenderò anche vis-à-vis con le tue gambe sulle mie spalle. Ti prenderò tenendoti di fianco facendoti raccogliere una gamba. E ancora stando seduto sul bordo del letto con te seduta a cavalcioni con il pene alloggiato... Scusami, ti eccita o ti disturba?»
«Volevo chiedervi... - disse, come se le descrizioni non l'avessero interessata molto, - «È vero che... che alcune donne prendono... in bocca il pene dell'uomo?»
«Ma, scusa, mi sei stata ad ascoltare fin qui?»
«Oh, certo. Ne avete descritte quattordici. Se vi andrà le faremo. - tagliò corto abbassando la testa pudicamente. Poi però l'alzò nuovamente. - Ma ora vi ho fatto un'altra domanda.»
«Perché, non vi bastano le posizioni che vi ho descritto?» - chiesi finto distratto.
«Ma sì, certo! Che dite? - ribatté con determinazione. Poi si ammorbidì. - Ma, visto che me le farete provare tutte, perché non rispondete alla domanda, o non ve la sentite?»
«Ebbene sì, Ortensia. Ci sono donne che prendono in bocca il pene.»
«Dio mio, che schifo! Ma come osano?»
«Beh, gli uomini le lasciano fare...»
«Non mi direte che ve lo lasciate fare anche voi... E che magari vi piace, eh?»
«Ortensia, piace soprattutto alle donne. Scusami, so che non è sempre così, ma quasi sempre. Devi sapere che all'università noi studenti sostenevamo goliardicamente che Eva avesse inventato il pompino per farsi perdonare del peccato originale...»
«Il... cosa?»
«Il peccato originale.»
«L'altra parola… Non prendetemi in giro!»
«Ha ha! Si dice pompino perché è… Beh, lo capisci da sola perché… In giurisprudenza viene chiamato col termine latino Phoellatio, che in italiano sarebbe Fellazio, ma era un termine volgare anche per i Romani, quindi è meglio chiamarlo pompino tout-court.»
Sembrava sconvolta da quello che le avevo detto, ma l'avevo anche incuriosita.
«Scusate la mia impertinenza, ma perché se ne occupa la giurisprudenza?»
«Del pompino? Semplice. Perché, secondo una legge mai scritta ma comunemente accettata dall'attuale giurisprudenza, una donna che sporge denuncia per violenza carnale precisando di averlo dovuto prendere anche in bocca, non farà mai condannare il presunto violentatore.»
«E perché?» - chiese inorridita.
«Perché secondo i giudici nessun uomo di buon senso si azzarderebbe mai ad inserirlo nelle fauci di una donna, inferocita perché le si sta usando violenza.»
«Ditemi che state scherzando…»
Non stavo scherzando e cambiai discorso.
«Quando invece è l'uomo che fa sesso alla donna con la bocca, allora si dice cunnilingus, del quale però non conosco il termine volgare.»
Era tuttora a bocca aperta e mi godevo di averla per così dire impressionata con la semplice cruda verità. E invece, fu lei a stupirmi.
«A voi piace?» - Si era sorpresa lei stessa della domanda che mi aveva posto.
«La fellazio o il cunnilictus?»
«La f… Il p… Voglio dire la prima delle due. - Voleva sapere, conoscere tutto a tutti i costi, ma il pudore era più forte di lei. - Basta così, non rispondetemi. Ho capito che vi piace.»
«Mi piacciono entrambi. Sono un maiale, vero?» - Sorrisi.
«Venite?»
«Quando?»
«Voi venite quando ve lo prendono in...?»
«Sì, ed è una cosa proprio deliziosa. Sai, si sta sdraiati in pace, in tutto relax, e una donna ti adora al punto da mettersi in ginocchio per sollazzartelo dolcemente fino a farti venire senza che tu faccia il minimo sforzo. È l'unico modo che ha la donna per essere parte attiva. Beh, non proprio l'unico…»
«E... l'avvisate?»
«Di cosa? Ah, sì naturalmente. In modo che possa decidere da sola se prendermi lo sperma in bocca oppure no.»
Piccola pausa con smorfia.
«E cosa fanno di solito?» - chiese infine.
«Di solito accettano, altrimenti non avrebbe senso. Un giorno ho voluto assaggiare anch'io il mio e devo dirle che è accettabile... se io fossi una donna, voglio dire. Il sapore è del liquido seminale, ritengo. Non credo che gli spermatozoi abbiano...»
«Basta. Che schifo!»
Si alzò di scatto.
«Non preoccuparti. Tanto non verrò mai nella tua bocca, Ortensia. Se verso il seme lì, non resteresti incinta di certo.»
Se ne andò offesa. Le donne!

L'immagine qui sopra è il ritratto Justine Dieuhl fatto da Toulouse Lautrec

La sera pareva avesse dimenticato tutto e cenammo in armonia parlando di cultura. Giuseppe Verdi stava spopolando in tutto il mondo. Sarebbe piaciuto a entrambi andare al teatro La Fenice di Venezia dove da oltre un mese andava in scena La Traviata di Verdi, ma sapevamo che per noi sarebbe stato impossibile. Canticchiammo un po' insieme Libiamo nei lieti calici. Senza bere, ben s'intende.
Parlammo anche di Alessandro Manzoni, e io lo criticai piuttosto superficialmente perché lo scrittore aveva lavato i panni in Arno, come diceva lui stesso, nel senso che aveva affinato lo stile linguistico italiano del suo romanzo I promessi Sposi orientandosi alla lingua italiana parlata a Firenze.
«Secondo me, - ironizzai, - avrebbe dovuto lavarli nel Brenta che è in Veneto.»
«Il Veneto non apparteneva ancora al Regno d'Italia.»
«Giusto, non ci avevo pensato… Ma, detto tra noi, il Manzoni ti piace?» - le chiesi.
«Ho trovato I Promessi Sposi piuttosto deprimente. - disse. - Va tutto male dall'inizio alla fine.»
«No, anzi! Cosa dici? - risposi in fretta. - Finisce addirittura che vissero tutti felici e contenti ed ebbero tanti figli...»
«C'è un pessimismo diffuso per tutto il racconto. - Continuò dopo una certa riflessione. - E la superstizione regna sovrana. Troviamo un odioso sopruso per motivi futili, vediamo all'azione un branco di incapaci, un prete che ha paura della propria ombra, una protagonista che non esprime la minima femminilità, una maledizione che viene lanciata da un religioso e che puntualmente si avvera; un personaggio che l'autore chiama Innominato perché sa che pronunciarne il nome porta male...»
Non ci avevo pensato… Forse a leggere il nome la gente si toccava le palle? Mi ripromisi di parlarne al conte Enrico…
«Ma il personaggio principale è la Provvidenza!» - protestai poi.
«Già, ma l'autore ne fa uscire male persino quella.»
«Non è vero! - Affermai con forza. - La finale è il riscatto della Provvidenza...»
«No. - Scosse la testa sorridendomi amaramente. - È viceversa. È la finale che riscatta la Provvidenza. Una conclusione del tutto in contrasto con l'intero svolgersi della vicenda, e che secondo me ha una sua spiegazione molto prosaica.»
«Sentiamola.» - dissi. Era più preparata di me.
«L'ha voluta l'editore.»
«Che cosa? - Chiesi con una smorfia.
«La finale l'ha voluta così l'editore.»
«E perché l'avrebbe voluta così?»
«Secondo me l'editore temeva che con una fine tragica non avrebbe venduto abbastanza copie, e...»
«Sei dissacrante.» - sussurrai.
«E l'editore un cinico.»

Nell'immagine qui sopra, il ritratto di Alessandro Manzoni, di Francesco Hayez

Quella sera la presi di nuovo. La montai con dolcezza e determinazione, da dietro e da davanti con colpi plastici e scorrevoli. La sua collaborazione si era fatta più audace, tanto che riuscimmo addirittura venire insieme, cosa che non accadeva facilmente neanche nelle mie avventure più intriganti. Dopo l'orgasmo, i suoi occhi socchiusi e il suo sorriso soddisfatto mi fecero pensare solo di essere stato bravo, niente di più.
Ma che cosa volevo allora?
Rimasi a coccolarla finché non si assopì.

(Continua)

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