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I problemi internazionali che il 2017 non ha saputo risolvere

Dalla crisi degli Stati Europei allle problematiche di Trump, Kim Jong e San Suu Kyi

Nel corso del 2017 sono avvenuti molti fatti all’estero che faranno ricordare l’anno in maniera non sempre entusiasmante.
Cominciando dall’Europa, l’evento più eclatante è stato indubbiamente il tentativo di separazione della Catalogna dalla Spagna. Da una parte lo sconosciuto presidente catalano Carles Puigdemont e dall’altra l’inesperto presidente spagnolo Mariano Rajoy hanno dato dimostrazione di incapacità a gestire le proprie posizioni.
Puigdemont ha commesso l’errore di dichiarare l’indipendenza, pensando che Madrid rimanesse indifferente, per poi meravigliarsi che Rajoy abbia mandato la polizia a reprimere la rivolta. Puerile. Ovviamente ha perso l’autonomia di cui godeva la Catalogna e adesso c’è tutto da ricostruire. Non solo, ha perso anche la sede legale di alcune centinaia di società che si sono trasferite altrove per paura della secessione. E, con il loro trasferimento, la Catalogna ha perso i proventi dal gettito fiscale che generavano. E difficilmente torneranno a casa.
Da parte sua Rajoy poteva lasciar tranquillamente che si svolgesse il referendum per la separazione dalla Spagna, tanto non aveva nessun valore. Di fronte a un comportamento così avventato, doveva proporre a Puigdemont il percorso costituzionale.
Ora staremo a vedere se Rajoy ha imparato la lezione o se, da macaco, penserà di aver risolto il problema.
Le elezioni che si sono svolte di recente per la formazione di un nuovo governo catalano non ha portato ad alcuna parte. Al di là dei risultati, che vedono la vittoria numerica di un partito unionista e la superiorità parlamentare dei separatisti, quando la popolazione è divisa a metà, non si può certo pensare a soluzioni definitive.
 
Il 2017 è stato anche l’anno della Brexit. O meglio, l’anno in cui il Regno Unito ha capito di aver fatto un grosso errore. Anche per l’Oltremanica si è creata la situazione della fuga delle grandi aziende e delle istituzioni europee dalla Gran Bretagna, con i Britannici che si sono accorti dopo che il divorzio sarebbe costato cifre inimmaginabili.
I separatisti continuano a credere e a promettere benefici inenarrabili, quando invece avevano fatto i conti senza l’oste, ovvero pensavano di continuare ad avere i benefici dalla UE senza doverne sostenere i costi e gli impegni.
 
Forte dell’esperienza Brexit, l’Austria - il cui voto ha dato ragione al centro e alla destra del Paese – se ne guarda bene dall’ipotizzare separazioni di sorta e men che meno l’uscita dall’Euro.
A Vienna ha dato insegnamento anche la Grecia, che dopo aver votato un referendum separatista non è stata in grado di uscirne. Non poteva semplicemente permetterselo.
L’Austria è tutt’altra cosa, sia ben chiaro, ma dopo i decenni passati cercando di entrare a far parte della Comunità Europea cercherà di limitarsi di gestire al meglio i rapporti con l’Europa.
 
Un altro dilettante allo sbaraglio è stato Macron. Dichiaratosi assolutamente europeo e disponibile a ricostruire l’Unione Europea insieme a Germania e Italia, è caduto nella tentazione di impedire l’acquisizione dei cantieri navali di Stato da parte della Fincantieri. Insomma un’azione così protezionistica pare l’antitesi della sua volontà al rilancio della UE.
Forte di un sostegno senza precedenti (il 52%) ora si sta scontrando con i problemi reali del suo Paese.
 
La Germania sta conoscendo per la prima volta il problema dell’ingovernabilità, prerogativa che le società di rating e della stessa Commissione Europea riteneva essere propria dell’Italia.
E invece, a mesi di distanza dalle elezioni in cui la Merkel si è messa in gioco per la quarta volta, non c’è ancora una maggioranza di governo.
Ce la farà, ne siamo certi, ma pare che anche in Germania sia giunto il momento di voltare pagina. Con il pericolo che anche alla cancelleria di Berlino vada un dilettante.
 
Per fare una carrellata al resto del mondo non europeo, possiamo focalizzare in quattro posizioni la situazione del mondo.
Cominciamo da Trump, altro improvvisato al comando della nazione più potente della Terra, sembra aver fatto ragione della sua presidenza nell’abbattere tutto ciò che aveva fatto il suo predecessore.
Ma, al di là delle iniziative bocciate dal suo stesso parlamento e dal suo stesso sistema giudiziario, resta inspiegabile la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale dei Israele. Con tutti i problemi che c’erano, ci domandiamo chi gliel’abbia fatto fare di prendere una decisione che non cambia le sorti degli USA, quando il suo slogan era invece «America First».
E quando l’ONU ha bocciato la sua iniziativa, si è comportato come un ragazzino: ha reagito minacciando i paesi che hanno democraticamente votato contro e ha tagliato parte dei fondi destinati all’ONU.
 
L’altro «macaco» sulla scena internazionale è il dittatore della Nord Corea Kim Jong. Dopo aver completato - dice - il programma nucleare del suo paese, si è dichiarato pronto a distruggere gli Stati Uniti.
Già che c’era ha annunciato che «affonderà il Giappone». Ovviamente è un’iperbole retorica che si usa spesso nelle minacce tra bulli, ma i missili che sorvolano il Giappone stanno portando Tokio a rivedere la costituzione in modo che consenta la nascita e la formazione di un esercito definibile tale.
Certo è che tra Kim e Trump, non c’è modo di stare tranquilli. Due personaggi così sono capaci di mettere il mondo in pericolo.
Ci domandiamo per quale motivo la forza militare americana non abbia ancora abbattuto uno dei razzi sperimentali lanciati dalla Corea del Nord. Magari non sono in grado di farlo…
Ora ci sono due occasioni per affrontare il problema a tavolino anziché con i muscoli. Da una parte la Russia si è proposta di mediare tra Corea e Usa, anche se non sappiamo cosa sia la materia del contendere. Ovvero, non si riesce a capire dov’è che Kim Jong voglia arrivare. E senza questo, c’è ben poco da mediare.
Dall’altra parte ci sono le Olimpiadi invernali in Corea del Sud e sembra che il dittatore della Corea del Nord sia attirato particolarmente dalla partecipazione. O dal ricatto, dipende da come vanno le cose.
Potrebbe non portare a nulla, anche questo è chiaro, ma quale ruolo migliore potrebbero portare le Olimpiadi?
 
Il terzo fenomeno mondiale è rappresentato dalla ex Birmania, il Myanmar.
Dopo la grande dimostrazione di coraggio fatta a suo dall’eroina nazionale Aung San Suu Kyi, che da oppressa è diventata leader del paese, adesso la «donna giusta al posto giusto» non ha fatto niente per impedire che la storia si ripetesse: villaggi in fiamme, l’esercito birmano che spara contro chi tenta di salvarsi, lo stupro usato come «calcolato strumento di terrore».
Da molti anni attiva nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare, una volta al potere non è riuscita a far nulla perché la tragedia non si ripetesse nuovamente.
La spietata pulizia etnica contro i Rohingya - popolo senza Stato, di fede musulmana - ha provocato 6.700 vittime e 650mila profughi.
Il Papa chiede perdono a Dio, Cina e Russia votano contro una risoluzione in cui si chiede la fine delle violenze. Più il mondo cambia e più resta uguale…

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