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Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

Per «Gli incontri del giovedì», Luciana Palla il 25 gennaio 2018 parlerà a Mezzolombardo di ladini tra tedeschi e italiani – L’intervista

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Arabba di Livinallongo agli inizi del Novecento.
 
Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato Gli incontri del giovedì, organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento fissato il prossimo giovedì 25 gennaio 2018.
Il ritrovo è fissato alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, e avrà come protagonista Luciana Palla, la quale parlerà di ladini tra tedeschi e italiani.
Ricordiamo che tutti gli incontri in programma godono del patrocinio della Regione Trentino Alto-Adige, della Provincia Autonoma Trento, della Comunità Rotaliana-Koenisberg e del Comune di Mezzolombardo e della collaborazione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, del Museo degli Usi e Costumi della gente Trentina.
Sono, inoltre, riconosciuti da IPRASE e validi ai fini dell’aggiornamento del personale docente della Provincia Autonoma di Trento.
 
Un tema molto attuale, quello delle minoranze linguistiche e in particolare dei ladini, uno dei simboli anche dell’identità europea, come ha sottolineato il presidente della Fek, la società di promozione della comunicazione europea, in occasione delle «Giornate europee» a Neudrossenfeld (Germania) lo scorso anno.
Luciana Palla, laureata in Filosofia a Bologna e in Storia a Venezia, ha svolto una continua attività di ricerca sulla storia del Novecento in territorio ladino-dolomitico, trentino, bellunese.
I suoi studi per molti anni hanno riguardato in particolare le vicende delle comunità ladine e la Grande guerra in ambito dolomitico e trentino.
Conta al suo attivo una sessantina di pubblicazioni scientifiche fra volumi suoi, saggi, interventi a convegni, contributi in volumi miscellanei, organizzazioni di mostre ecc.
 
Tra i volumi editi ricordiamo «I ladini fra tedeschi e italiani», Marsilio 1986 («Premio della cultura 1986» della Presidenza del Consiglio dei Ministri); «Fra realtà e mito. La grande guerra nelle valli ladine», Angeli 1991 (ristampato da Curcu&Genovese, Trento 2015), opera finalista al «Premio internazionale Acqui Storia 1992».
Nell’ambito degli studi sulla scrittura popolare ha curato, tra l’altro, «Opzioni guerra e resistenza. Il diario di Fortunato Favai. Livinallongo 1939-1945», Trento 2000; Maria Piaz de Pavarin, «Dal Pordoi a Katzenau. Il racconto di una vita in Val di Fassa nel primo Novecento», Vigo di Fassa 2007 (volume terzo classificato al Premio internazionale «Leggi montagna 2008» e segnalato al «Premio ITAS del Filmfestival di Trento»).
Oltre a vari studi sulla scrittura popolare, si è occupata dell’immaginario della montagna nell’area dolomitica, dei pionieri dell’alpinismo e dello sviluppo del turismo.
 
Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in ambito nazionale ed internazionale, ad iniziare dal «Premio della cultura 1986» della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il suo volume «I ladini fra tedeschi e italiani», Marsilio Editore, Venezia 1986.
Ultimi volumi editi: «Reduci trentini prigionieri ad Isernia (1918-1920)», DBS, Seren del Grappa (Belluno) 2015 e «Profughi tra storia e memoria 1915-1919. Livinallongo del Col di Lana/Fodom», Cierre-Istitut Cultural Ladin, Sommacampagna (Verona)-Colle S. Lucia 2016.
Recentemente ha ripreso gli studi sulla prima guerra. Ha curato nel 2015, insieme a Stefan Planker, l’allestimento della mostra «1914-1918 Al di là di ogni confine. I ladini raccontano la loro storia», nel Museum Ladin di S. Martino in Val Badia.
Si ricordano infine i recenti volumi: «Reduci trentini prigionieri ad Isernia (1918-1920)», Seren del Grappa 2015 e «Profughi tra storia e memoria 1915-1919. Livinallongo del Col di Lana/Fodom», Cierre-Istitut Cultural Ladin, Sommacampagna (Verona)-Colle S. Lucia 2016.

Abbiamo avuto il piacere di rivolgerle alcune domande.
 

 
«I ladini tra tedeschi e italiani» è il titolo dell’incontro di giovedì 25 gennaio: su quali aspetti verrà focalizzata l’attenzione?
«Il titolo della conferenza I ladini tra tedeschi e italiani richiama il mio primo volume sulla storia dei ladini dolomitici, in particolare del Comune di Livinallongo (Belluno), nel corso del novecento, edito nel lontano 1986. I ladini sono infatti una popolazione di confine tra mondo tedesco e mondo italiano; sino a circa metà dell'ottocento essi convivevano tranquillamente sia con le popolazioni a nord che a sud, senza particolari problemi d'identità.
«Fu il nascere del concetto di nazione e con esso anche dei nazionalismi italiano e tedesco nella zona dolomitica degli ultimi decenni dell'ottocento a spingere i ladini a definire una propria specificità etno-linguistica e a confrontarsi con le due culture confinanti. La scelta prevalente fu la preferenza per il mondo tedesco-tirolese con il quale si era condivisa la storia e l'amministrazione per secoli.
«In tutti gli eventi della prima metà del novecento i ladini vennero contesi politicamente e anche culturalmente da tedeschi e italiani, mentre un loro ruolo autonomo come minoranza linguistica veniva negato da parte italiana e strumentalizzato da parte tedesca.
«Sotto il fascismo ad esempio non c'era assolutamente posto per un riconoscimento dell'esistenza di una popolazione ladina, mentre sotto la Germania di Hitler l'accordo delle opzioni del 1939 inglobò le valli ladine come facenti parte del mondo germanofono, allo stesso modo dei sudtirolesi di lingua tedesca.
«In questa conferenza farò quindi un breve excursus della storia dei ladini dolomitici nel corso del novecento mettendo in rilievo la loro posizione di gente di confine e i loro problemi di definizione e di riconoscimento della propria specificità linguistica e culturale.»
 
Innanzitutto, quando si parla di «ladini dolomitici» ci si riferisce agli abitanti di quali valli?
«Con il termine di ladini dolomitici si intendono gli abitanti delle valli di Badia, Gardena, Fassa, Cortina d'Ampezzo, Livinallongo e Colle Santa Lucia, attualmente divisi in tre province (Trento, Bolzano, Belluno) ma fino al 1915 facenti parte dell'amministrazione tirolese e dello Stato asburgico. Fu soprattutto da metà ottocento che si cominciò a fare studi specifici sulla lingua, a coniare una grammatica ladina e a scrivere in ladino con l'intenzione di dimostrare che si trattava di una vera e propria lingua che poteva essere adibita a tutti gli usi.
«Si costruiva così pian piano una coscienza linguistica ladina tra le valli del Sella che diventerà di massa dopo la prima guerra mondiale con l’annessione allo stato italiano, percepito come molto diverso da sé, un pericolo per la preservazione della propria comunità, e ciò accelerò il processo di presa di coscienza della propria ladinità, come si dirà in seguito.»
 

Famiglia di Livinallongo profuga in Boemia durante la Prima guerra.
 
Che cosa ha rappresentato per i ladini la costruzione della strada delle Dolomiti, avvenuta nel primo decennio del Novecento?
«A cavallo tra ottocento e novecento si ha anche un’importante svolta di tipo economico nelle valli ladine, e cioè l'avvento del turismo dolomitico. Il simbolo dell'apertura delle comunità ladine al mondo esterno è la costruzione della strada delle Dolomiti che pone fine al loro isolamento geografico: si viene così a contatto con persone, idee e modi di vita nuovi, con la diversità, mentre le caratteristiche delle valli del Sella vengono conosciute in tutto il mondo.
«C'è insomma uno scambio reciproco di esperienze e di conoscenze fra interno ed esterno. Comincia il turismo vero e proprio, cambia la struttura dei paesi con le nuove costruzioni per alloggiare i forestieri; cambia il paesaggio con le nuove strade di collegamento; le montagne sono segnate da nuove vie, eccetera.
«La modernità è entrata in queste valli fino a quel momento chiuse. Questo processo di sviluppo e di apertura venne però bloccato dalla prima guerra mondiale, dopo di che bisognerà ricominciare a ricostruire dalle rovine materiali ed anche spirituali.»
 
In che modo la Prima guerra mondiale ha stravolto il destino dei ladini di queste valli? Cosa è cambiato per loro e che cosa ha significato l’annessione all’Italia?
«Con la fine della prima guerra mondiale combattuta già dall'agosto 1914 dalla parte austriaca, i ladini insieme ai sudtirolesi di lingua tedesca, oltre ai trentini, vennero annessi all'Italia.
«Questa fu una vera propria cesura storica, perché portò alla fine dei rapporti politici e amministrativi con il mondo tirolese-austriaco che duravano da secoli e che erano sostanzialmente ben accetti nelle valli ladine, che con l'Italia sentivano di avere ben pochi legami nonostante la vicinanza linguistica.»
 

Sul Passo Pordoi 13.11.1904 inaugurazione del primo tratto della strada delle Dolomiti.
 
Nel dopoguerra i ladini chiesero di esercitare il diritto all’autodeterminazione, essendo loro un gruppo etnico distinto: cosa avvenne precisamente?
«L'impatto con il mondo amministrativo, politico ed economico italiano percepito come molto diverso da quello tradizionalmente vissuto, fece accelerare la presa di coscienza linguistica dei ladini, che sottolineando la loro specificità di minoranza intendevano difendersi dall'assimilazione e mantenere integra la loro comunità che essi sentivano minacciata dalla diversità italiana.
«Di conseguenza ci furono nell'immediato primo dopoguerra ripetute richieste di autodeterminazione e di autonomia dei ladini dolomitici: essi chiedevano, prima della firma del trattato di pace, di essere ricongiunti all'Austria, e dopo, il riconoscimento delle proprie specificità linguistiche e culturali all'interno dello Stato italiano, con una propria autonomia amministrativa.»
 
Come si comportò lo Stato italiano nei loro confronti?
«Le loro richieste non vennero prese in considerazione, anzi, da gennaio 1923 i tre comuni di Livinallongo, Cortina e Colle Santa Lucia vennero inseriti nella provincia di Belluno, rompendo una continuità storica che da quel momento verrà sempre rimpianta. Sotto il fascismo naturalmente non poteva esserci nessuna considerazione per le minoranze, ma solo l'imposizione dell'italianità.
«Le stesse richieste di riunificazione della Ladinia, di autonomia amministrativa, di inserimento nella provincia di Bolzano per affinità di tipo storico, economico e culturale con le valli di Badia Gardena si ripeteranno dopo la seconda guerra per la Val di Fassa e per i tre comuni ladini inseriti in provincia di Belluno.»
 

Costumi tradizionale della Val di Fassa.
 
Quale fu la loro evoluzione storico-politica dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri?
«Il movimento più incisivo a livello politico e con maggior partecipazione nell'immediato secondo dopoguerra fu Zent ladina dolomites, il quale organizzò il raduno al passo Sella il 16 luglio 1946 di oltre 3.000 ladini provenienti da tutte le valli, che manifestarono in gran parte nei loro costumi tradizionali e sventolando la bandiera ladina bianca, verde e azzurra. Le loro speranze però non si realizzarono.
«L'accordo de Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946 non nominava nemmeno la popolazione ladina e anche le conclusioni del primo statuto di autonomia del gennaio 1948 furono deludenti in quanto prendevano in considerazione solo i ladini di Badia e Gardena, per i quali venivano poste le basi per la prima introduzione dell'insegnamento del ladino nella scuola dell'obbligo. Le altre valli erano ignorate.
«Nemmeno lo statuto del 1972 poneva rimedio a tale situazione di disparità, contro la quale i tre comuni bellunesi chiesero ripetutamente con le loro delibere il distacco dalla Regione Veneto per ragioni storiche, economiche e linguistiche.
«Agli inizi degli anni 80 la Regione Veneto muoveva i suoi primi passi per valorizzare le culture minoritarie esistenti sul suo territorio, con provvedimenti di tipo culturale; fu invece sempre osteggiata la richiesta dei tre comuni ladini bellunesi di ricongiungimento con il resto della Ladinia.
«Nella Val di Fassa nella seconda metà del novecento ci furono movimenti ladini molto combattivi per ottenere concessioni da parte della provincia di Trento.
«Dalla metà degli anni 70 in poi la valle riuscì a conseguire passi importanti a favore della propria specificità ladina; nel 2000 al territorio di insediamento gruppo linguistico ladino di Fassa venne assegnato anche un seggio nel consiglio provinciale di Trento: la battaglia contro la discriminazione tra i diversi gruppi linguistici ladini aveva ottenuto importanti successi in ambito politico - amministrativo e scolastico per i fassani.
«A queste iniziative unitarie delle valli ladine dolomitiche che attualmente si esplicano soprattutto in campo culturale si contrappongono però molte tendenze centrifughe: la Ladinia è a tutt'oggi un mondo complesso, sostanzialmente diviso per la diversa politica economica attuata nelle tre province nei loro confronti. Se fino circa al 1950 c'erano molti elementi di affinità tra le valli ladine, da quella data la divisione amministrativa ha inciso molto sulle scelte che hanno riguardato lo sviluppo delle singole valli.
«Ad ogni modo esistono a tutt'oggi associazioni ladine con lo scopo di mantenere almeno l'unione ideale culturale delle cinque vallate del Sella al di sopra dei confini provinciali e regionali, tra le quali si distingue per la sua incisività e partecipazione l’Union Generela dei Ladins dla Dolomites, che non ha affatto abbandonato l'idea di poter giungere in futuro a una riunificazione politica della Ladinia.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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