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Storie di donne, letteratura di genere/ 203 – Di Luciana Grillo

«Ultimo domicilio conosciuto», a cura di Andrea Tarabbia – Tredici racconti, molti dei quali scritti da donne

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Titolo: Ultimo domicilio conosciuto
A cura di: Andrea Tarabbia
 
Editore: Morellini 2018
Collana: I minolli
 
Pagine: Copertina flessibile
Prezzo di copertina: € 14,90
 
Questo piccolo libro, appena pubblicato e curato da Andrea Tarabbia, viene recensito nella rubrica Storie di donne/Letteratura di genere perché alcuni racconti sono scritti da donne.
Si è scelta per la pubblicazione di questa recensione la data del 25 gennaio perché il 27 sarà, anche quest’anno, il giorno dedicato al ricordo delle vittime dell’Olocausto.
Di queste povere vittime parlano le autrici, che raccontano storie vere e tristi di chi, solo perché ebreo, non aveva il diritto di vivere.
 
Tarabbia spiega che «le Pietre d’inciampo sono dei sampietrini d’ottone che dalla metà degli anni Novanta l’artista tedesco Gunter Demnig impianta nel selciato delle città dell’Europa… questo piccolo monumento porta inciso un nome e un cognome, un luogo e una data di nascita, un luogo e una data di morte (se sono noti): sono i dati nudi in cui è racchiusa la vita di qualcuno che è stato deportato in un campo di concentramento nazista».
Dunque, i racconti compresi in questo volumetto nascono dal desiderio di dare un volto e un’identità a chi sulla Pietra è ricordato.
Il luogo scelto è Reggio Emilia, ai nomi sono stati abbinati documenti, carteggi, libri; si sono cercati testimoni e discendenti con lo scopo di dare, «attraverso la letteratura, una nuova vita a chi l’ha perduta».
 
Silvia Cadonici, una giovane donna che non ha ancora trent’anni, si è cimentata nella ricostruzione della storia di Ida, «un’anziana e cagionevole signora ebrea» che la governante Zelinda voleva salvare.
Ma non poté nasconderle la verità, «Dicono tante cose signora. Niente di sicuro però…». Poi la fuga, la morte di Ida, il dolore di Zelinda.
Silvia Pelati, invece, nel racconto «Sulla sponda opposta del lago Eire», lascia parlare Terry, «the Italian wife» che anni prima – era il 1937 – nella Reggio Emilia «afosa e umida, calda d’estate e fredda d’inverno» aveva sostato per uno spettacolo, insieme alla compagnia teatrale di cui faceva parte.
La pensione era nel piccolo ghetto ebraico, gestita da Beatrice, «una donna bassa e in carne… la maggior parte del tempo se ne sta chiusa nel suo appartamento con la figlia Jole».
 
L’altra figlia, più giovane, si chiama Ilma: «Hai il viso e gli occhi tondi, un caschetto castano e una bocca da bambina… indossi un cappotto largo e scuro… dal quale spunta un golfino» e con lei l’attrice comincia a parlare, la invita a teatro, le consegna l’ultimo romanzo di Liala da leggere, l’attende su una panchina del parco non lontano dal teatro.
Beatrice e le figlie sono ebree, celebrano il Shabbat, accendono le candele. Teresa e Ilma, così diverse, si sentono legate da un affetto buono e sincero.
Ma le rappresentazioni teatrali finiscono, Teresa riparte e solo dopo anni una lettera dell’amico Enrico le racconta «del vostro arresto, tu, tua sorella e la signora Beatrice, portate via insieme nel 1943 e di come, scrive Enrico, Auschwitz ha cancellato ogni cosa di voi, l’anno dopo».
 
Agnese Gorgolini in «Tramonto d’inverno» racconta, con straordinaria delicatezza, l’arresto dei ricchi signori ebrei Corinaldi attraverso gli occhi di Franco, un ragazzo che «quel giorno non aveva molta voglia di fare i compiti… una sottile inquietudine gli solleticava lo stomaco… i tedeschi erano entrati nella villa dei Corinaldi… ma l’arrivo di altre persone lo indusse a rimanere vicino alla finestra».
Le «altre persone» sono i concittadini che fanno a gara per spogliare la casa e impadronirsi di ogni cosa.
Eugenia Ragnoli, nel racconto «Gratta e vinci» ricostruisce la storia di Mario Sguazzini, morto in campo di concentramento, e di suo figlio Carlo che scopre una verità accuratamente nascostagli dalla madre.
 
Due autrici, Antonella Gullotta e Laura Ballestrazzi, scrivono della stessa famiglia da diversi punti di vista: ne «La custode di storie» della Ballestrazzi la protagonista è Ada, una bambina ingenua e generosa, che viveva non lontano dal campo di concentramento di Fossoli. Un giorno, richiamata da una voce che la supplicava di avvicinarsi, conobbe un prigioniero nei cui «occhi non c’era traccia che di paura».
L’uomo mandava messaggi a suo figlio, studente universitario in Svizzera, lo rassicurava sulle condizioni di salute sue e della moglie, lo pregava di non tornare in Italia.
Ada conservò quei minuti pezzi di carta lanciati oltre la rete avvolti intorno a un sasso, ma non riuscì mai a farli arrivare a Giorgio, il figlio amato, di cui ci parla la Gullotta in «Melli, Georges, 1919» ripercorrendone la vita, fatta di dolore, complesso di colpa per essersi salvato e, infine, follia.
Questa non è una semplice antologia di racconti, ma un mosaico dolente di vite spezzate, di crudeltà e di morte.

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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