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Giornata della memoria 2018, l’intervento del sindaco Andreatta

«L'impegno che ci assumiamo è quello di fare in modo che questa viltà non sia mai rimproverata né a noi personalmente né alla nostra epoca»

In questi anni, la Giornata della memoria è diventata una preziosa occasione per conoscere storie, dettagli, numeri dell'efficiente macchina persecutoria che il Terzo Reich orchestrò con l'obiettivo esplicito di colpire ebrei, disabili, rom, omosessuali, oppositori politici.
A Trento e in tantissimi altri comuni italiani, sulla stampa, in televisione, sul web, in occasione del 27 gennaio si raccontano vicende, talvolta inedite, spesso misconosciute, che ancora oggi ci inorridiscono per la loro efferatezza e suscitano commozione e pietà nei confronti delle vittime.
 
Eppure, nonostante questo costante e necessario lavoro sulla memoria, nel web e negli stadi di calcio dilagano teorie revisioniste e negazioniste di ogni risma, che mettono in dubbio l'esistenza dei lager o ridimensionano le cifre di quella che è stata una delle più grandi e più terribili tragedie europee.
La stessa Liliana Segre, neo senatrice a vita, ha dichiarato qualche giorno fa: «Noi testimoni della Shoah ormai siamo rimasti pochissimi e, quando saremo morti proprio tutti, il mare si chiuderà completamente sopra di noi nell'indifferenza e nella dimenticanza.
«Come si sta adesso facendo con quei corpi che annegano per cercare la libertà e nessuno più di tanto se ne occupa”.
 
Anche per contrastare l'indifferenza o, peggio, la montante ondata di menzogne antistoriche e irrazionali è importante ritrovarci qui, ostinatamente, ogni anno, sfidando quel rischio della retorica che è sempre in agguato in occasione delle celebrazioni ufficiali.
È necessario colmare le nostre lacune, ascoltare gli ultimi testimoni o gli esperti, come il professor Conca, che oggi ci parlerà in particolare dello sterminio dei disabili.
«Per riaffermare la verità dei fatti è più che mai urgente arrivare al cuore e alla mente dei giovani, in modo che siano loro a raccogliere il testimone della memoria, siano loro a custodire e a proclamare e a tramandare la promessa del «mai più» su cui è stata ricostruita l'Europa dopo la seconda guerra mondiale.
 
Mi sono convinto, in questi anni, che la Shoah sia l'evento cruciale del Novecento.
Non lo è stato lo sbarco sulla Luna né l'avvento di Internet, non lo è stato la Rivoluzione d'Ottobre né lo sono stati i due conflitti mondiali.
Il fenomeno che costituisce la cifra, la chiave per capire il secolo scorso, quello che non potremo né dovremo mai dimenticare consiste, a mio parere, nell'applicazione della tecnica e della scienza alla causa dello sterminio, all'obiettivo dell'uniformità e della presunta purezza, della pulizia razziale, politica, etnica e anche «sanitaria».
 
La Shoah ci ha mostrato quali siano le potenzialità distruttive dell'uomo e quale la forza manipolatrice della propaganda; rileggendo la storia dei lager, vediamo la fragilità insita nelle istituzioni politiche e nella società civile, l'abisso che si spalanca sotto di noi quando il rancore sociale cerca consolazione nella xenofobia e nel razzismo insediando al governo populisti e demagoghi senza scrupoli.
 
Un filosofo laico come Zygmunt Bauman ha scritto che «nell'idea dell'armonia e del consenso universale c'è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie».
Il teologo cattolico Bruno Forte è giunto alle stesse conclusioni: «Non sarà l'omologazione delle differenze il futuro dell'umanità, ma la loro convivialità, il loro reciproco riconoscersi e accettarsi, sul fondamento comune della dignità assoluta di ogni persona umana e del diritto di ciascuno all'uguaglianza, formale e sostanziale.»
Oggi sono questi i principi su cui poggia la nostra convivenza civile. Proprio sulla base di essi, riconosciamo nella disabilità una delle espressioni della nostra comune fragilità umana.
 
Tutti noi sappiamo bene che concedere cittadinanza all'imperfezione, allo scarto da una normalità che è necessariamente un concetto mutevole e relativo, significa non solo essere inclusivi e aperti all'imprevedibilità dell'esistenza ma anche riconciliarsi con le nostre personali debolezze.
Comprendere la disabilità nell'orizzonte dell'umano significa vaccinarsi contro i deliri di onnipotenza, immunizzarsi contro il superomismo, dare spazio alla nostra parte migliore, quella che sa com-patire, con-dividere, aiutare e supportare le persone più deboli e indifese che, come ha scritto in un bel libro Giuseppe Pontiggia, nascono due volte: la seconda volta dipende dagli altri, o meglio da noi.
Noi in qualità di genitori, parenti, insegnanti, compagni di classe, medici, noi in qualità di amministratori pubblici e politici, a cui spetta il compito di fare le leggi più opportune e di garantire assistenza, opportunità, pari diritti.
 
Io credo che il trattamento riservato ai disabili sia uno dei primi indicatori della qualità delle nostre società.
E le decine di migliaia di handicappati uccisi nelle camere a gas o con iniezioni letali ci dicono, anche se questo fosse il solo crimine commesso, che il regime nazista è stato il peggiore della storia, il baratro da cui dobbiamo tenerci lontani, l'orrore su cui non sono ammessi compromessi o cedimenti.
Ancora oggi occorre essere vigili e reattivi perché, come ha scritto Primo Levi, «Auschwitz (...) è intorno a noi, è nell'aria».
Eccone i segni: «Il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea».
L'impegno che, in questa giornata, ci assumiamo è quello di fare in modo che questa viltà non sia mai rimproverata né a noi personalmente né alla nostra epoca.

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