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Marco Grigolli, una vita tra uva e vino – Di Astrid Panizza

La seconda intervista per la serie «Sogni (di) giovani in azione» è dedicata a un giovane che sta dedicando le sue energie nella cantina di famiglia

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Il protagonista di questa intervista è Marco Grigolli, classe ’94 di Mori, che ha deciso di dedicare la sua vita all’uva per trasformarla in vino.
Arrivo in una piccola via di «Mori vecchio», frazione più antica di Mori, dopo aver passato un intrico di stradine che per chi non è esperto può mandare in confusione.
Dal cielo cade una neve ghiacciata ma fitta, il paesaggio sembra quasi natalizio, e invece è ormai marzo.
Raggiunto il civico giusto, suono e rimango in attesa finché non mi accoglie Marco Grigolli, ventiquattrenne, che con il suo metro e novanta mi apre la porta e mi fa entrare nel luogo dove passa praticamente tutte le sue giornate.
La porta di casa sua infatti è la stessa della cantina, che si trova a piano terra mentre l’appartamento, che condivide con i suoi genitori, è al primo piano. Vive e lavora quindi a pochi metri di distanza.
«È comodo perché non devo usare la macchina», – afferma ridendo.»
 
L’entrata è molto curata, un grande tavolo in legno rende il posto accogliente. Marco, infatti, mi spiega che spesso viene usato per degustazioni con i clienti.
Ci accomodiamo in una saletta attigua, e cominciamo a parlare. Mi racconta che è nato e cresciuto in una famiglia contadina e quindi i valori della terra sono per lui basilari e la passione per la coltivazione e la lavorazione dell’uva è sempre stata presente nella sua vita, basti pensare che i suoi avi si dedicavano alla viticoltura già nell’800.
I suoi genitori tuttavia non gli hanno mai esercitato pressione affinché scegliesse un percorso di studi che lo tenesse legato alla tradizione, ma per sua volontà ha frequentato l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, provando anche esperienze di lavoro all’estero che gli hanno permesso di accrescere le sue competenze pratiche. È determinato, ha le idee chiare.
 

 
«Avere un’azienda a casa è stato un vantaggio rispetto a molti altri miei compagni», – ammette Marco, mentre ci racconta la storia della Cantina Grigolli, aperta nel 2006 da suo padre Bruno, che dopo gli sforzi di anni e anni a lavorare come dipendente è riuscito a realizzare il sogno della sua vita.
Per dare un’idea di come è organizzata l’azienda, sopra la casa di Marco ci sono le vigne, in una zona chiamata Noal. Da qui l’uva raccolta raggiunge la cantina sottostante e dopo un’accurata lavorazione ne esce il prodotto finito, il vino per l’appunto.
Quindi, nel giro di qualche centinaio di metri c’è l’inizio e la fine del ciclo. Quella che oggi viene chiamata produzione a chilometro zero.
 
La cura del dettaglio e la ricerca della massima qualità sono componenti essenziali per Marco. Del resto, si capisce l’amore che ci mette nel cercare di raggiungere il meglio.
«Lavorare con il vino significa avere a che fare con un prodotto che è vivo, che continua a cambiare, e ciò che cerco di fare è non creare un prodotto standardizzato ma cercare invece di seguire la natura del prodotto per esaltarne la qualità, lavorandolo però il meno possibile.
«Il segreto è rispettare le sue caratteristiche cercando di mantenerle, – aggiunge. – E quello che mi piace veramente di questo mio lavoro è il fatto di assecondare il prodotto, che ogni anno è diverso, proprio perché è vivo e dipende da qualcosa di vario e incontrollabile come il clima.
«Il mio è, quindi, un lavoro dinamico, ogni anno si presenta una sfida diversa.»
Il suo lavoro in cantina dev’essere certamente rigoroso, e non avendo altri dipendenti, se non stagionali, Marco lavora fianco a fianco con il padre, sia operativamente, sia nel prendere decisioni.
 

 
C’è mai stato qualche attrito, divergenza d’opinione tra te e tuo padre?
[Sorride] «Premetto che è bello lavorare con i propri famigliari e ammetto anche di esser stato privilegiato in famiglia perché le mie sorelle hanno scelto campi diversi, mentre io ho seguito la strada già tracciata.
«Avere un’azienda di famiglia è un privilegio sicuramente, però sì, c’è il lato negativo, lavorando con i propri genitori si va a creare un rapporto diverso rispetto a quello che ci può essere tra un capo e un dipendente. Attriti ce ne sono perché comunque lavorando con i propri genitori e con i nonni (perché capita a volte che anche mio nonno collabori), si vanno a unire tre generazioni con idee spesso completamente diverse.
«Le discussioni – continua - sono all’ordine del giorno, a volte mio papà lo strozzerei (ride) poi si cerca comunque di trovare sempre un compromesso In questo modo, però, vai un po’a ledere purtroppo il rapporto che hai con i tuoi genitori, perché se c’è un problema te lo porti “in casa”, non è come un lavoro normale che alle cinque chiudi e sei a posto. Ti ritrovi a parlarne a cena, e così non stacchi mai.»
 
Ad oggi ti senti realizzato o vorresti migliorare qualcosa?
«Di sicuro da migliorare ce n’è su tutti i campi. A livello personale al momento sono aiutato molto dai miei genitori, ma tra qualche anno sarò da solo, quindi devo mettermi nell’ordine delle idee che sarà certamente più difficile di quanto è ora e dovrò rimboccarmi le maniche per far funzionare tutto al meglio.
«Sai, un sentimento che non avrei mai avuto in nessun altro lavoro è quello di sperare di non deludere i miei genitori, che hanno dato il via a questa azienda e me la lasceranno con i migliori propositi. Un po’questa cosa mi spaventa, ma speriamo vada tutto per il meglio.
«A livello aziendale l’idea è quella di espandersi quindi anche da quel punto di vista lì c’è da migliorare. Pensiamo infatti di arrivare a poter ingrandire l’azienda in modo da poterci far vivere tranquillamente due famiglie e poterla gestire autonomamente per seguire tutti i passaggi in prima persona. L’idea è quella che possa diventare grande ma non troppo grande.»
 
Hai progetti futuri tuoi e per l’azienda?
«Un progetto in ballo c’è. Di solito produciamo vino fermo, ma quest’anno ho fatto alcune prove per fare dello spumante, bisogna aspettare però, il risultato si vedrà fra tre quattro anni, è tutta una prova per ora, vediamo come va.»
 
   
 
Marco mi fa vedere qualche bottiglia di vino, dietro ad ogni nome c’è un significato ben preciso, sono molto particolari anche le etichette, nulla è lasciato al caso.
Come il TRILOGIA, che è il prodotto di punta della cantina Grigolli. Racchiude in sé tre vini: Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, e tre generazioni: Marco, suo padre e suo nonno. Inizialmente l’etichetta sulla bottiglia era una foto di acqua, terra e sole, tre elementi fondamentali affinché l’uva maturi al meglio, e le mani dell’uomo che amalgamano il tutto. Da poco, invece, la foto è stata cambiata con la trilogia generazionale della famiglia Grigolli.
Marco è molto competente in materia, non gli sfugge niente e usa un linguaggio tecnico accurato, è un ragazzo tutto d’un pezzo, con le idee chiare e determinato nel raggiungerle. Però voglio chiedergli qualcosa che va al di là del suo lavoro.
 
Nel tempo libero, a cosa ti dedichi? Quali sono le tue passioni? Hai anche hobby oltre ad essere un imprenditore? Perché da quello che mi hai detto, sembra che lavori sempre.
«No no, non lavoro sempre – mi risponde sorridendo. – L’azienda in proprio ti dà l’opportunità di gestirti i tempi, non è che hai tantissimo tempo libero ma ti puoi ritagliare i tuoi spazi.
«Ho una passione per il corpo dei Vigili del fuoco, al quale appartengo, e quello mi occupa tanto perché tra una cosa e l’altra son più là che a casa mia, – dice ridendo. – L’anno scorso giocavo anche a pallavolo ma quest’anno ho lasciato perché non riuscivo a gestire tutto.
«I Vigili del fuoco invece li frequento da tanti anni e da quando ho deciso di intraprendere quella strada l’ho sempre mantenuta. Il resto è tutto in più e se ce la faccio, bene, altrimenti per il mio tempo libero do la priorità ai Vigili del fuoco.
«In questo periodo sto anche studiando per fare la patente nautica, sono andato spesso a fare pratica sul lago quest’inverno e lunedì ho l’esame [oggi per chi legge – NdR]. Ho sempre avuto dentro di me la passione delle barche, soprattutto a vela. Mi rilassa proprio, ti libera la mente.
«Ecco, se dovesse andare male con il vino mollo tutto e me ne vado a fare il pescatore.»
 
Comunque, personalmente, mi pare di vederlo meglio tra le botti di rovere, piuttosto che nel ruolo di pescatore, mentre mi guida sicuro nei vari locali della cantina, che è piccola ma molto organizzata e ordinata.
Capisco che per il lavoro del vignaiolo ci vuole molto rigore e disciplina, la natura detta le leggi e l’uomo è costretto a piegarsi al suo volere per realizzare un prodotto che sia – come dice Marco – «di qualità e che soddisfi clienti di una fascia medio-alta.»
Sempre alla ricerca del meglio, quindi, guardando al cielo e alla terra per far sì che gli elementi della natura assieme alla lavorazione dell’uomo creino un connubio perfetto.
 
Astrid Panizza


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