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Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

Per «Gli incontri del giovedì», Roberta Oberosler e Nicoletta Pisu giovedì 22 marzo parleranno della fattoria romana alla Calcara di Mezzolombardo – L’intervista

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato Gli incontri del giovedì, organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento fissato il prossimo giovedì 22 marzo 2018.
Il ritrovo è fissato alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, e avrà come protagoniste due funzionarie archeologhe della Soprintendenza per i beni culturali, Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento, Roberta Oberosler e Nicoletta Pisu, le quali parleranno della fattoria romana alla Calcara di Mezzolombardo.
 
Laureate in Lettere con indirizzo archeologico lavorano da sempre in quest’ambito scientifico, occupandosi di attività diverse dapprima come libere professioniste e in un secondo momento come funzionarie della soprintendenza: scavi e ricerche sul campo; attività divulgativa a mezzo di pubblicazioni, conferenze, visite guidate ai siti archeologici trentini, cura della rivista dell’Ufficio; tutela espressa in sopralluoghi e direzioni di cantieri di emergenza o sui reperti con la loro catalogazione e studio.
Roberta Oberosler si è occupata prevalentemente di valorizzazione e le sue competenze si riferiscono soprattutto ai materiali d’età romana, con specializzazione nella ceramica fine.
Le competenze di Nicoletta Pisu si esplicano in ambito medievale, con particolare riferimento all’archeologia nelle chiese e alla ceramica.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarle.
 

Buca della calce.
 
Partiamo dal tema della conferenza che si terrà a breve, la fattoria romana alla Calcara di Mezzolombardo. Come è nato questo progetto e chi vi ha partecipato?
«Si tratta di uno scavo di emergenza: in occasione della costruzione del Centro protezione civile, nel 1997, fu notata la presenza di molti laterizi romani e fu avvisato l’Ufficio beni archeologici della PAT.
«Una volta eseguito il sopralluogo, il direttore (dott. Gianni Ciurletti) decise di avviare le indagini archeologiche, condotte dal tecnico di scavo dell’Ufficio, Monica Bersani, affiancata dalla ditta Società di Ricerche Archeologiche di Bressanone.»
 
Potreste illustrarne brevemente le fasi principali?
«Non è ancora stato condotto uno studio approfondito dei dati raccolti nel corso dello scavo, studio tanto più necessario in quanto la stratigrafia è di difficile lettura. Essa, infatti, risulta compromessa dagli eventi che si sono succeduti nei secoli dopo l’abbandono delle strutture.
«Pertanto siamo in grado di dire che le vicende che hanno interessato il sito sono molte e gli edifici riconosciuti sono stati più volte ristrutturati, ma non siamo ancora in grado di descrivere tali vicende nel dettaglio.»
 

Pozzo.

 
In che contesto sono intervenuti gli archeologi e come hanno condotto il loro studio da un punto di vista metodologico?
«Il contesto, come detto sopra, è stato quello dell’emergenza: tuttavia, una volta verificata l’esistenza di un deposito archeologico in estensione, si è proceduto allo scavo seguendo il metodo stratigrafico internazionalmente conosciuto e consolidato – in Italia a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso - da chi esercita la professione dell’archeologo.
«Le indagini sono state condotte dapprima sul sedime destinato ad ospitare l’edificio della Protezione Civile, la cui costruzione è iniziata non appena gli archeologi hanno raggiunto il terreno sterile, cioè privo di tracce di presenza umana.
«Contestualmente è iniziato lo scavo della restante area di cantiere che tuttavia non ha esaurito ovunque il deposito archeologico: le strutture rimaste sono state interrate, vista l’impossibilità di una loro musealizzazione.»
 
Nell’incontro di giovedì 22 marzo su quali aspetti verrà focalizzata maggiormente l’attenzione?
«Si porteranno i risultati di questa prima fase consistita nel riordino dei dati.»
 
Come si potrebbe immaginare la composizione dell’intero complesso?
«Inutile descriverlo ora, sarebbe difficile da comprendere senza immagini: nella conferenza proponiamo alcune planimetrie e ricostruzioni.»
 

 
A quando risalgono i rinvenimenti e che arco temporale coprono?
«I rinvenimenti si collocano nell’età imperiale romana: al momento i reperti più antichi si datano al I secolo d.C. e i più recenti attorno al IV secolo d.C., ma non escludiamo di correggere, anche significativamente, queste datazioni dopo lo studio.»
 
Che cosa rappresentano in estrema sintesi?
«I reperti raccolti non solo aiutano a inquadrare l’epoca in cui funzionò il complesso indagato ma danno anche l’idea di come si svolgeva la vita quotidiana: ad esempio la presenza di fusarole e pesi da telaio suggerisce attività di filatura e tessitura.»
 
Progetti futuri?
«Al momento non ne abbiamo di definiti: speriamo tuttavia di poter trovare le risorse per studiare opportunamente la stratigrafia e i reperti così da poter pubblicare i risultati.»
 
Ricordiamo che tutti gli incontri in programma godono del patrocinio della Regione Trentino Alto-Adige, della Provincia Autonoma Trento, della Comunità Rotaliana-Koenisberg e del Comune di Mezzolombardo e della collaborazione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, del Museo degli Usi e Costumi della gente Trentina. Sono, inoltre, riconosciuti da IPRASE e validi ai fini dell’aggiornamento del personale docente della Provincia Autonoma di Trento.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it
 
Canaletta in cotto raccolta acque.

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