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A Riva del Garda serata finale del Premio Mario Rigoni Stern

Gremita la sala allestita per i premi consegnati a Marco Paolini e Gianfranco Bettin e a Ulysse Borgeat

Si è svolta in una sala gremita, ieri sera al Palazzo dei Congressi di Riva del Garda, la cerimonia di consegna del Premio Mario Rigoni Stern per la letteratura multilingue delle Alpi a Marco Paolini e Gianfranco Bettin e del Premio «Guardiano dell'Arca - Osvaldo Dongilli» a Ulysse Borgeat.
La serata conclusiva dell’ottava edizione del Premio Mario Rigoni Stern, che ricorre nel decennale della morte dell’autore, è stata anche l’occasione per riflettere sui temi della guerra e della pace, della montagna e del confine, del paesaggio e della bellezza, di tecnologia e natura e di natura e ibridazione.
Per l’organizzazione, la cerimonia ha offerto inoltre l’opportunità di rinnovare l’orientamento all’internazionalizzazione proprio dello spirito dell’autore e della Fondazione e già rimarcato dalle menzioni e dai premi annunciati.
 
Ad aprire l’appuntamento sono stati i saluti delle autorità e del Comitato organizzatore. Renza Bollettin, assessore alla Cultura del Comune di Riva del Garda, Chiara Stefani, assessore alla Cultura del Comune di Asiago e Bruno Pigozzo, Vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto, hanno espresso gratitudine e soddisfazione per il lavoro della Fondazione e del Comitato Organizzatore.
Sergio Frigo, che lo presiede, ha richiamato la qualità letteraria, l’umanità e il rigore etico dell’autore, e insieme il senso del premio, «megafono per le voci che arrivano da una montagna intesa non come barriera ma come koiné di valori».
 
La celebrazione ha dato dunque spazio a due interventi sul tema «1918-2018: fu vera pace?» scelto in ragione della concomitanza con il centenario della fine della Grande guerra.
Francesco Jori, giornalista e scrittore, già vice-direttore del Gazzettino e ora editorialista dei quotidiani Finegil, si è interrogato sul senso della pace e sui mezzi per ottenerla.
«La nostra società – ha detto – è basata sulla costruzione del nemico: quel che è diverso da noi e quello che è diverso in noi. La narrazione corrente punta sul negativo, sul conflitto, sull’idea di costruire muri anziché ponti.»
Citando, insieme a Rigoni Stern, anche il poeta di guerra inglese Charles Sorley, Omero, Vera Brittain e Gabriel Garcia Màrquez, Jori si è chiesto come sia possibile evitare oggi altri conflitti.
«Non per orrore della guerra – ha concluso – ma per amore di un’altra bellezza.»
 
Dopo di lui Francesco Vallerani, docente di Geografia all'Università di Ca' Foscari, studioso attento alla storia e alle modalità di sviluppo del Nordest, ha parlato «di quell’anima della nazione che è fatta di acqua, boschi e alberi», degli effetti devastanti della guerra sulla natura e sulla biodiversità, del dibattito sorto in tempi moderni sulla salvaguardia del paesaggio.
«Se c’è pace – ha concluso – c’è bellezza e rispetto della natura.»
Al termine dei loro interventi due giovani interpreti hanno dato voce alla memoria dei profughi che al termine della guerra fecero ritorno a casa per trovarvi solo morte e distruzione.
Ilaria Vescovi, allieva della scuola «Reggenza 7 Comuni» di Asiago, ha recitato uno scritto di Melania Moioli, tredicenne di Besagno, che condivise la sorte di altri 110mila trentini: il testo è raccolto nel libro «Scritture di guerra» edito dalla Fondazione Museo Storico del Trentino.
A Nicola Stefani, ventunenne di Asiago donatore di voce al Centro internazionale del libro parlato, è stata affidata invece la lettura di due brani tratti da «L’anno della vittoria» dello stesso Rigoni Stern.
 
Si è dunque passati alla cerimonia di premiazione vera e propria, con la consegna del riconoscimento ai vincitori e delle menzioni alle opere segnalate dalla giuria, composta da Ilvo Diamanti, Paola Maria Filippi, Mario Isnenghi, Daniele Jalla e Paolo Rumiz, e coordinata da Margherita Detomas.
Data la quantità e la varietà delle opere ricevute, sono stati ben cinque i volumi segnalati: AAVV, Per forza o per scelta.
L'immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini (Aracne); Antonella Tarpino, Il paesaggio fragile (Einaudi); Gaëlle Cavalié, Cent heures de solitude (Paulsen – Guerin); Ilaria Tuti, Fiori sopra l'Inferno (Longanesi) e Massimo Bubola, Ballata senza nome (Frassinelli).
 
Si è svolta di seguito la proclamazione del vincitore. II Premio Mario Rigoni Stern è stato ritirato da Gianfranco Bettin e da Michela Signori, moglie, compagna di lavoro e produttrice di Marco Paolini, coautore del libro «Le avventure di Numero Primo» (Einaudi).
A Perugia per la messa in scena della pièce teatrale tratta dal romanzo, Paolini ha tuttavia dedicato al pubblico del premio un videomessaggio, registrato nella giornata di venerdì al Passo di Giau.
«Paolo Rumiz – ha spiegato l’artista veneto dallo schermo – ha detto che come pegno avrei dovuto cantare un’ode alle Dolomiti.»
E così ha fatto, girando immagini suggestive delle cime che circondano il passo, in una clip che è disponibile da ieri sera anche al sito albumdinumeroprimo.it.
 
Interpellato a proposito della «fantafavola» di Numero Primo, Bettin ha poi parlato di tecnologia e ibridazione, della lingua letteraria di Rigoni Stern e del rapporto con la montagna, «grande madre e luogo di uomini e donne, come Mario, che hanno sviluppato anche dentro di sé una forza del tutto speciale».
L’ultima tappa della premiazione ha portato sul palco del Palacongressi la nipote di Ulysse Borgeat, guida di Chamonix che ha vinto questa edizione del Premio «Guardiano dell’Arca – Osvaldo Dongilli»: riconoscimento assegnato a chi si sia distinto nella difesa del paesaggio, del territorio e dei valori della montagna.
Elisabeth «Babette» Merten, giunta a Riva del Garda da Strasburgo, ha dialogato con Paolo Rumiz, che ha scovato la figura di Borgeat, figura leggendaria tra gli alpinisti di tutta Europa, «Atlante» capace di sobbarcarsi per anni il peso dei rifornimenti dei rifugi del Monte Bianco, e con Anna Dongilli, moglie di Osvaldo, alla memoria del quale il riconoscimento è stato dedicato.
«Tutta la valle di Chamonix è orgogliosa di questo premio, – ha detto Babette. – E così il vecchio Ulysse, oggi novantaduenne, che è letteralmente impazzito quando ha saputo della notizia e aspetta ansiosamente di sapere come sia andata questa serata.
«Confidiamo che questo premio, insieme al lavoro di questa Fondazione, rendano ancora più facili i contatti montanari tra Italia e Francia.»
 
L’intera serata è stata animata dal coro Sant’Isidoro, diretto dalla giovane maestra Letizia Grassi, che ha eseguito diversi brani, anche in lingua friulana, ucraina e inglese: tra le canzoni legate alla guerra e alla montagna spicca «Volano le bianche» su parole di Mario Rigoni Stern.
Di Bepi de Marzi, che la musicò, è stato letto ieri sera un breve ricordo, appuntato per il pubblico della serata dallo stesso musicista: «ti raccomando, Bepi – racconta che gli avesse detto Rigoni Stern – fai sentire l’infinito del dolore nella follia della guerra insieme all’ansia del silenzio e della pace».
 
Gremita la sala allestita per il premio: tra il pubblico, anche il sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi, già finalista del Premio, nel 2016, con il libro «Di gelo e di sangue».

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