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«Madre» – Un nuovo racconto di Patrizia Belli

Il racconto di febbraio 2011 è scritto dalla collega di Rovereto

Ogni volta lei c'era. Si metteva in fondo alla sala. Seduta sulla panca, le mani in grembo, gli occhi bassi, composta, pareva una madonna accecata dal dolore.
Lui non la voleva lì, eppure era lei che cercava nella sala visite del carcere ben sapendo che nessun'altro sarebbe venuto. Ogni volta l'uomo fa il verso di girarle le spalle, ma una forza oscura lo obbliga ad andarle incontro. E lo fa in modo goffo, camminando con le punte dei piedi all'interno, come quando era bambino e provava vergogna.
Vorrebbe dirle: Per favore vattene. Invece tace.

Oggi lei tiene stretta la borsetta e non ha ancora alzato lo sguardo. Lui si siede al lato opposto del tavolo e lei finalmente solleva gli occhi. È passato poco dall'ultima visita ma il tempo la consuma, pare più vecchia. Il collo flaccido e sgualcito, la pelle floscia sotto la mandibola. Gli occhi smunti.
«Buongiorno, mamma.»
Lei inizia a tremare.

L'uomo appoggia i gomiti sul tavolo. La madre allunga un pacco incartato con cura. Ha dato fondo ai suoi pochi risparmi e cucinato lo zelten come le era stato insegnato da bambina.
Quando il profumo del dolce aveva invaso la cucina lei per un attimo era rimasta ammutolita da tanto dolore.

Il figlio guarda il dono.
«Per me?»
La madre scrolla le spalle.
Il figlio la osserva, lei si pente di non aver aggiustato meglio i capelli.
«Immagino che dovrei dirti grazie.»
«Ma no…»
«Sì, invece. Vieni ogni settimana e ora porti anche un regalo. Un fottuto regalo.»

La madre sussulta. L'uomo si muove a disagio sulla sedia. Sbotta.
«Per favore non cominciare a piangere.»
Lei inghiotte le lacrime. Timidamente allunga una mano verso il figlio, le dita protese nell'aria in cerca del tocco della pelle, pelle che è carne della sua carne, ma la muta preghiera non incontra risposta e la mano si appoggia stancamente sul tavolo.

Il figlio guarda quell'arto da vecchia. La pelle macchiata di ombre scure, le dita curve come artigli, le vene violacee e gonfie.
È quella la mano che gli carezzava la testa da bambino.
Quello il tocco ruvido e impacciato che gli calmava il cuore perché la vita era lì, facile, vera. L'amore di una madre, non esiste verità più dirompente e fors'anche più disperata.

Avrebbe voglia di urlare. Di gridare: Guardate il dolore di una madre. Osservate, osservate il mostro che sono diventato.
L'uomo incurva le spalle, pensa che esistono persone capaci di raccogliere la carezza di una madre, ma non lui e lo assale una sensazione dolorosa.
È tristezza, ma c'è di più. È qualcosa che ha a che fare con la perdita.
Abbassa il capo, la gente zittisce di colpo, nel silenzio risuona il gemito d'un uomo adulto.

La madre si alza. In piedi come madre di Dio, la profondità remota dei suoi occhi accecata di pietà.
Si avvicina al figlio, raccoglie tra le mani quel volto tanto amato e lo appoggia a sé come potesse riportarlo al ventre, come potesse farlo rinascere.
In un tremito di lacrime, la donna affida il cuore a un sussurro: «Non è niente… non è niente, figlio mio.»

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