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Bruno Lucchi, «Parole scavate» – Di Daniela Larentis

L’inaugurazione della grandiosa mostra dello scultore trentino si terrà il prossimo 6 aprile al Forte delle Benne, Levico Terme

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Dormire 2017 - Semire ossidi - h cm 80x180.
 
Al Forte delle Benne, Levico Terme, Trento, il prossimo venerdì 6 aprile verrà inaugurata alle 17.00 la mostra dello scultore trentino Bruno Lucchi, intitolata «Parole scavate».
Fra i promotori dell’evento, curato da Carmela Perucchetti e Fausto Moreschi, figurano la Provincia Autonoma di Trento, il Comune di Levico Terme e l’APT Valsugana Lagorai.
Saranno presenti all’inaugurazione il Sindaco di Levico Terme Michele Sartori e l’Assessore alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento Tiziano Mellarini.
Un percorso espositivo riconducibile alle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra e all’intero progetto scultoreo che ebbe inizio nel 2016, con un’esposizione nella cattedrale di Trento, e che si concluderà nel novembre 2018.
Allestita in un luogo di grande suggestione, la mostra rappresenta una complessa riflessione sull’uomo e sulla sua sofferenza riguardo agli effetti della guerra, attraverso la bellezza di sculture ed istallazioni che prendono spunto principalmente dai versi di un celebre poeta, Giuseppe Ungaretti.
 
Il poeta fu inviato a combattere sul Carso, dove presero forma le prime liriche pubblicate nel 1916 con il titolo «Il porto sepolto» e quelle del periodo successivo che troviamo in «Allegria di naufragi» del 1919.
Le due raccolte confluirono successivamente, con qualche altro testo, nel volume «L’allegria» del 1931, che comprende la prima fase della poesia di Ungaretti.

Bruno Lucchi ritratto da Davide Fazio.

Una delle poesie dai contenuti più forti è «Veglia», scritta al fronte il 23 dicembre 1915, in cui viene descritta una situazione terribile, la vicinanza con il corpo sfigurato di un compagno morto nella notte. È un componimento da cui trae spunto una delle splendide opere esposte, dall’omonimo titolo.

La poesia, attraverso l’utilizzo di espressioni quali «la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio» o l’uso di aggettivi come «digrignata» o «massacrata», mostra tutta la durezza e il dolore che la guerra trascina con sé, lasciando però nell’ultima strofa spazio alla speranza.
 
Due parole su Bruno Lucchi, prima di passare all’intervista.
Nato nel 1951 a Levico Terme, Trento, dove vive e lavora, ha iniziato a esporre da professionista agli inizi degli anni Novanta.
Al suo attivo conta più di duecento mostre personali in musei, sedi pubbliche e prestigiose gallerie in Italia e all’estero.
La sua ricerca abbraccia materiali come il bronzo, il semire, la porcellana, il mosaico e l’acciaio corten.
È autore di importanti opere pubbliche di grandi dimensioni, le sue sculture solcano i mari a bordo di ben quattro navi della Costa Crociere.
Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto alcune domande.
 

Elmi 2017 - Semire e ossidi - h cm 40.
 
Il progetto «Parole scavate», partito nel novembre del 2017 per celebrare il centenario della Grande Guerra, si concluderà il 4 novembre 2018. Si tratta di una mostra in progress ambientata al Forte delle Benne, potrebbe delinearcela brevemente?
«L’idea è nata agli inizi del 2016 mentre stavo lavorando alla mostra sull’avvento Al compiersi dell’attesa, già allora si iniziava a parlare del centenario della fine della Prima guerra mondiale. Mentre preparavo l’esposizione, mi venne in mente che il successivo Natale, quello del 2017, avrebbe celebrato l’ultimo Natale di guerra, il Natale è stato l’unico momento di tregua, nel quale i soldati dei due fronti avevano smesso di combattere e si sono scambiati dei doni, potuto seppellire i morti caduti in terra di nessuno e addirittura organizzato partite di pallone.
«Era stato da poco ultimato il restauro del forte delle Benne, parlando con il sindaco di Levico nacque l’idea di ambientare una mostra in quel luogo suggestivo. Non avevo ancora individuato il tema attorno al quale sviluppare l’esposizione, un po’ alla volta iniziai a immaginare come il Forte si sarebbe potuto trasformare nell’ambientazione perfetta per una mostra che potesse celebrare non la Guerra ma che potesse parlare dell’uomo che ha dovuto combattere e soffrire gli effetti della stessa.
«La prima frase che mi è venuta in mente di rappresentare l’avevo letta con mia moglie 35 anni fa a Orgosolo, in Sardegna, poi riletta quattro anni fa girando nuovamente in Barbagia, si tratta della celebre frase di Bertolt Brecht che campeggia in cima a un murales: Felice il popolo che non ha bisogno di eroi.
«Da lì lo spunto di vedere l’evento partendo dalla letteratura, ho iniziato così a leggere poesie che avevano come tema la guerra, prima Clemente Rebora, ma la sua poesia era dura e tragica; scelsi di continuare, invece, con le poesie di Giuseppe Ungaretti, i suoi versi erano toccanti e mi hanno aperto il cuore, è stata una vera riscoperta.
«La mostra è ispirata dalle meravigliose poesie di Ungaretti e prende spunto anche da due citazioni, una di Bertolt Brecht e l’altra è tratta dal film Torneranno i prati di Ermanno Olmi, dove in un dialogo fra due militari, la frase non c’era la morte nei nostri sogni è stata da me rappresentata con una Pietà.
«Si tratta, quindi, in estrema sintesi, di una mostra sulle sofferenze dell’uomo che è costretto a subire il tragico evento. Non sulla guerra in quanto tale, considerandola dal punto di vista di questa o quella fazione, non dalla prospettiva dei vincitori o dei vinti, ma sull’uomo, tanto che per rappresentarla ho scelto l’elmo spartano (per simboleggiare il guerriero universale).»
 

Poeta 2010 - Aciaio corten e semire - h cm 265 - formella 2018 semire cm 60x60.
San Martino del Carso 2017 - Semire h cm 60.
 
Qual è il filo conduttore del percorso?
«Il filo conduttore è la poesia di Ungaretti. Infatti, il titolo rimanda all’ultima delle poesie della raccolta L’Allegria, poesia che il poeta dedicò al suo sottotenente, il quale aveva pubblicato la celebre raccolta poetica. Lui dice di scavare nelle parole per ritrovare se stesso e anche io, come lui, ho scavato l’argilla per trovare me stesso».
 
Fra pochi giorni, il prossimo 6 aprile, ci sarà l’inaugurazione della sua personale, accompagnata da un prezioso catalogo. Potrebbe darci qualche anticipazione?
«La mostra sarà documentata da un prezioso il catalogo con le opere e le installazioni fotografate nel forte, come avevo fatto con la mostra di qualche anno fa al Muse, stesso formato e stessa grafica.
«Oltre alle immagini e al testo critico di Carmela Perrucchetti, il catalogo contiene le poesie di Giuseppe Ungaretti, accompagnate da dei testi poetici che hanno assunto la forma di ipotetiche lettere scritte da me al grande poeta.
«Detti testi, redatti in forma poetica, verranno recitati durante l’inaugurazione dell’evento, a cui parteciperanno anche i rappresentanti istituzionali del Comune di Levico Terme, della Provincia di Trento e dell’APT Valsugana.
«La mostra è quindi un dialogo tra il poeta e l’artista, per provare ad esplorare quello che Papa Benedetto XV ha definito l’inutile strage
 

Veglia 2017 - Semire e ossidi - h cm 56x56.
 
Quante e quali opere sono state esposte?
Sono più di 600 pezzi, complessivamente, realizzati in più di due anni.
 
Resterà permanente?
«No, non resterà permanente. La mostra sarà itinerante, ho lavorato con questa intenzione, di farla circolare in altri luoghi, l’idea sarebbe quella di esporla nei luoghi dove si è svolta la Grande Guerra.»
 
Pieni e vuoti, luci e ombre, la sua scultura in che modo si sposa con la poesia?
«Le poesie mi sono servite come spunto, alcune mie opere ne rappresentano alcune, altre rimandano a dei concetti più generali legati agli effetti che la guerra ha avuto sull’uomo.
«La scultura richiede tempi lunghi di esecuzione, per cui durante il lavoro mi dedicavo anche alla lettura delle poesie, succedeva che in fase di ultimazione di un’opera già volgevo il pensiero alla successiva, cercando di immaginarla.»
 

Elmi 2017 - Semire e ossidi - h cm 40.
 
Giuseppe Ungaretti e la poesia in trincea: una delle sue liriche più famose è «Veglia», composta sul fronte carsico. Quel «non sono mai stato tanto attaccato alla vita» dell’ultima strofa ci mostra tutta la tragicità della guerra e il contrasto fra la vita e la morte. C’è una scultura, in particolare fra quelle esposte, ispirata a questa poesia?
«Sì, l’opera intitolata appunto Veglia, che ritrae un volto e una mano, è l’immagine più forte. Vorrei anche dire di aver scelto Ungaretti, rispetto a Rebora, per esempio, in quanto le sue poesie pur affrontando il tema della guerra contengono sempre una speranza di vita, sono meno dure.
«Ho anche realizzato più di 200 foglie in terracotta prendendo spunto dal noto componimento intitolato Soldati, un’altra poesia che rimanda al contrasto fra la precarietà della vita e la morte».
 

Soldati foglie 2017 semire ossidi h cm 15 - 30.
 
Da artista come affronta oggi il tema della guerra entro i nostri confini: è dell’idea che i valori che sono alla base della creazione dell’Unione Europea, ovvero la libertà, la valorizzazione della diversità, la giustizia, la solidarietà, possano oggi essere ancora perseguiti al fine di scongiurare nuovi conflitti? Le opere esposte che messaggio veicolano in tal senso?
«Partendo dal principio che questi sono valori che tutti dovrebbero perseguire, e questa mostra è improntata proprio sull’uomo, non ho alcun dubbio sul fatto di condividere i valori fondativi dell’Unione Europea, la mia unica perplessità è che questa Europa unita lo sia solo per certi versi, sono state eliminate le frontiere, tuttavia non esiste un governo né un esercito comune, né un vero spirito di appartenenza.»
 
Qual è, secondo lei, la funzione dell’arte nella nostra epoca?
«Dovrebbe essere quella di veicolare il concetto della bellezza, noi artisti dovremmo essere degli ambasciatori.»
 
Progetti futuri?
«Sono molti in cantiere, il prossimo, una mostra a maggio in una chiesa del XIII-XIV secolo organizzata dall’assessorato alla cultura di Spinea VE, legata sempre alla poesia di Ungaretti, verranno esposte opere sulle quali sto ancora lavorando.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it
 
Sono una Creatura 2017 - Semire - h cm 138.

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