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All’Università di Trento il lavoro diventa... «smart»

L’Ateneo trentino è la prima università pubblica a sperimentare lo smart working attraverso uno specifico accordo sindacale

Lavorare mezza giornata alla settimana o due giorni al mese senza andare in ufficio, in una modalità diversa.
Il termine tecnico è «smart working», ma viene indicato anche come lavoro «agile».
Ciò che lo caratterizza è la rottura di una formula, quella che misura la produttività in base a tempo e luogo di lavoro. Già il telelavoro aveva aperto la strada a una nuova prospettiva.
Ora lo smart working va oltre, in modo strutturato e organico, valorizzando l’autonomia del personale e la sua capacità di raggiungere gli obiettivi, innovando l’interazione con responsabile, team di lavoro e utenza.
L’Università di Trento ha subito raccolto la sfida. Nei mesi scorsi ha avviato una fase sperimentale per introdurre lo smart working tra le ordinarie modalità di lavoro.
 
Mario Depaoli, responsabile della Direzione Risorse umane e Organizzazione di UniTrento, osserva: «L’Ateneo è la prima università pubblica in Italia a sperimentare con una significativa percentuale del proprio personale lo smart working, disciplinato in modo distinto rispetto al telelavoro che, come tradizionale istituto di conciliazione, prosegue su un binario parallelo.»
Nel dettaglio, in Ateneo sono già state attivate 35 posizioni di telelavoro e 63 di smart working, su un totale di circa 660 persone in servizio (comprese anche quelle le cui attività non sono compatibili né con il telelavoro, né con lo smart working).
Nella fase sperimentale si è previsto, per lo smart working, di attivare fino a 100 posizioni pur con un limite nel numero di giornate in cui sia possibile lavorare in modalità agile.
L’Ateneo ha programmato un’attività di monitoraggio dell’andamento della sperimentazione e una serie di passaggi organizzativi finalizzati a ottimizzare l’implementazione dello smart working, considerato uno degli strumenti per migliorare l’efficienza dell’Organizzazione.
 
«L’Ateneo – riferisce Depaoli – ha disciplinato l’introduzione dello smart working nel proprio Contratto collettivo integrativo 2016-2018 anche recependo le indicazioni contenute nel Piano delle azioni positive di cui l’Ateneo si è dotato. La buona qualità delle relazioni sindacali ha permesso di definire, successivamente, uno specifico accordo volto alla gestione partecipata della fase sperimentale, immaginata per ottimizzare quella che, tra due anni, sarà l’introduzione stabile di questo istituto tra quelli in grado di connotare UniTrento, da tempo abituata all’organizzazione del lavoro per obiettivi, come una tra le università all’avanguardia anche sotto il profilo delle politiche di gestione dei propri collaboratori».
 
Prosegue: «In un contesto dove tutte le organizzazioni devono confrontarsi con il concetto di work-life balance, UniTrento prosegue nel solco dell’innovazione gestionale nella convinzione che, accanto all’informatizzazione e alla reingegnerizzazione dei processi, sia necessaria un’evoluzione sul piano culturale e della condivisione degli obiettivi da realizzarsi anche attraverso modalità lavorative che privilegino, nei collaboratori, il perseguimento degli obiettivi piuttosto che lo svolgimento della mera prestazione definita con il parametro delle ore lavorate.»
 
In sintesi, smart working come strumento per una migliore armonizzazione tra vita privata e lavorativa, per adeguare l’ambiente alle attività da svolgere, per valorizzare l’autonomia e per responsabilizzare individuo e pubblica amministrazione a dare il meglio.
Infine, lo smart working potrebbe essere un alleato per affrontare i problemi connessi con l’età dei lavoratori e delle lavoratrici che aumenta:
«Questo strumento può essere utilizzato per gestire l’invecchiamento del personale, nella prospettiva di avere a breve un’età media di occupati sopra i 50 anni. Nell’ottica delle politiche di Age Management lo strumento dello smart working rappresenta una frontiera doppiamente sfidante perché, accanto a modalità innovative di lavoro e di organizzazione, implica un salto culturale da far compiere a una popolazione mediamente non abituata a cogliere le opportunità digitali.»

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