«Sulle rotte del Mondo»: Africa povera o impoverita?
Un quadro non omogeneo, ricco di sfumature e di contraddizioni
Ospiti della tavola rotonda,
moderata dal giornalista Pierangelo Giovanetti, alla sala della
Fondazione Caritro, padre Luigi Moser, comboniano di Palù di Giovo,
oggi a Kinshasa, Repubblica democratica del Congo, Maria de Lourdes
Jesus, giornalista e scrittrice di Capo Verde, che condusse la
prima trasmissione Rai dedicata agli immigrati, «Nonsolonero» e
padre Giulio Albanese, comboniano, giornalista, fondatore della
Misna, l'Agenzia di stampa dei missionari, dal 1997 preziosa fonte
di informazioni per chiunque si interessi di Africa e paesi in via
di sviluppo in generale.
Il tema, «Africa povera o impoverita?», conteneva già nel titolo la
contraddizione principale dell'Africa: un continente ricco di
risorse naturali (anche se distribuite in maniera diseguale) i cui
paesi sono da sempre agli ultimi posti delle classifiche
internazionali, vuoi per pil pro capite, vuoi per tassi di
alfabetizzazione, vuoi per accesso alle cure sanitarie e così via.
Come mai allora la situazione non cambia? Perché la
globalizzazione, che ha dato ad esempio nuove chanches alla Cina o
a diversi paesi latinoamericane, non sembra arrecare benefici
all'Africa?
Una risposta univoca probabilmente non c'è. Padre Albanese ha
parlato al plurale, di «Afriche», invitando tutti ad abbandonare
l'atteggiamento accondiscendente - da ricco Epulone - a volte
utilizzato dagli europei nel rapportarsi al Continente nero, anche
quando donano qualcosa.
Il messaggio lanciato è questo: «L'Africa non ha bisogno di
beneficenza, l'Africa non è povera, è impoverita. Abbandoniamo le
nostre pregiudiziali ideologiche e cerchiamo di essere soprattutto
realisti».
Vediamo alcune cifre. Il pil dell'Africa subsahariana ammonta a 761
miliardi di dollari (nel 2007); 2 trilioni di dollari quello
italiano, nello stesso anno di riferimento. Togliendo il Sud
Africa, il pil di tutta l'Africa subsahariana è come quello del
Belgio. Evidentemente, qualcosa non va. La sfida, per padre
Albanese, è però in primo luogo culturale. Risposte si attendono
anche dal nuovo Sinodo africano, che inizierà il 5 di ottobre. Fra
gli impegni fondamentali, secondo il fondatore della Misna il primo
dev'essere quello in favore della pace, cosa non facile in un
continente conteso anche da potenze straniere.
E poi, rivedere le regole del gioco, a partire da quelle che
governano la questione del debito, ritornata prepotentemente in
gioco con la nuova crisi economica mondiale. ma anche
l'informazione può fare molto: «Non leggere i giornali è peccato!»,
ha detto padre Albanese, pur nella consapevolezza che i media
riportano solo una frazione delle notizie veramente importanti sui
fatti del mondo.
Padre Luigi Moser ha portato la sua esperienza concreta in Africa,
anno dopo anno.
«Dal mio punto di vista - ha detto - gli africani sono poveri solo
se parliamo di denaro. Se parliamo di benessere in generale, anche
noi siamo poveri, mentre l'africano ha modi di vivere molto belli,
ha facilità nei rapporti umani, è inserito nel clan, che regola la
sua vita, vive in una realtà 'multimediale', fatta cioè di canti,
di balli, ama esprimersi, comunicare.
«In Africa le comunità di base cristiane sono molto forti, - ha
aggiunto. - La partecipazione tanta, l'africano è gioioso, noi non
lo siamo, siamo sempre di corsa, dobbiamo continuamente rinnovare
la nostra tecnologia, e una piccola crisi ci mette in ginocchio. In
Africa l'anziano non è emarginato, l'orfano non esiste, è la
famiglia allargata, il clan, che lo assorbe. L'africano vive con
gli altri e per gli altri, noi siamo individualisti. Per capire la
stessa economia africana, bisogna capire la cultura dell'Africa.
Pensiamo già solo a questo: noi prima di concepire un figlio
guardiamo il portafoglio. L'africano no: per lui la vita è sempre
un dono, la accetta."
Ovviamente ci sono anche aspetti stridenti con il nostro modo di
concepire ad esempio il potere: il capo africano solitamente non
viene messo in discussione, non lo si contesta.
«Se guardaste il telegiornale della sera a Kinshasa, oggi, vedreste
come ogni giorno il presidente che elargisce qualcosa a qualcuno,
dove li ha presi i soldi?»
Maria de Lourdes Jesus ha descritto la realtà del suo paese di
origine, l'arcipelago di Capo Verde, privo di risorse naturali,
situato nella fascia del Sahel, quindi della siccità, omogeneo
etnicamente e linguisticamente, di religione cristiana cattolica.
Un paese dove non ci sono state guerre, e già questo è un grande
vantaggio. In epoca coloniale Capo Verde era poverissimo; la
mortalità infantile era molto alta, non c'erano presidi medici, «io
stessa ho perso tre fratelli da piccoli, uno di morbillo».
Dopo l'indipendenza, nel 1975, molta parte degli abitanti sono
emigrati: 500.000 oggi vivono in patria, un milione è andato fuori.
In questi anni si è investito molto nell'educazione e
nell'alfabetizzazione, non solo dei bambini ma anche degli adulti.
La mortalità infantile si è molto abbassata, la speranza di vita
invece si è alzata.
Oggi Capo verde è un paese di sviluppo «medio»; lo sviluppo è stato
reso possibile dalle rimesse degli immigrati e dalla cooperazione
internazionale, nonché anche dal turismo.
«Tutti gli emigrati prima o poi desiderano tornare in patria. Al
tempo stesso, pur sapendo che emigrare è duro, nessuno si lascia
convincere che non vale la pena emigrare. È stato così anche per
me, che sono cresciuto in una famiglia poverissima. Emigrando ci si
può comperare una casa, degli elettrodomestici, costruire una vita
normale. Il nostro sviluppo, in pratica, è stato tutto fondato
sulla risorsa umana, l'unica che avevamo in abbondanza.»
Anche in Africa, dunque, così come in Italia un tempo,
l'emigrazione crea sviluppo, crea nuove opportunità. Una cosa da
tenere presente, quando parliamo di «invasione di immigrati».
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