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Il tribunale della Crisi. La finanza sul banco degli imputati

Nell'ultimo processo del festival si confrontano le tesi di Marco Onado all'accusa e di Luigi Zingales alla difesa

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Le responsabilità delle banche, dei governi e dei clienti che si sono fidati dei «titoli tossici».
La finanza sul banco degli imputati nell'ultimo processo di questa quarta edizione del festival dell'Economia, e non poteva essere altrimenti considerato il tema che lo ha attraversato lungo tutti e quattro i giorni come un ideale filo rosso, quello della crisi economica mondiale.

A sostenere l'accusa il professor Marco Onado, mentre la difesa è stata affidata al collega Luigi Zingales (entrambi già sentiti nei giorni scorsi come relatori del festival). Presidente Massimo Gaggi del «Corriere della Sera», persone chiamate a deporre perché informate sui fatti Markus Brunnermeier, John Cochrane, Pietro Modiano, Wolfgang Munchau. La giuria, come per gli altri due processi già tenutisi in sala Depero, nel Palazzo della Provincia di Trento, è affidata a studenti nelle discipline interessate provenienti da ogni parte d'Italia.

La finanza è stata definita da Gaggi in apertura «il più facile dei bersagli».
«Da sempre gli uomini con la bombetta o gli yuppies di Wall Street non sono molto simpatici all'uomo della strada, figurarsi oggi che con il loro operato si sono resi responsabili di disastri di portata planetaria.»
Eppure la finanza è vitale per l'economia, ha prodotto negli ultimi trent'anni un aumento straordinario della ricchezza mondiale, di cui hanno beneficiato non solo gli speculatori di professione. La dicotomia un po' scontata fra economia reale, quella che produce beni, e economia di carta, basata su prodotti finanziari più o meno sofisticati, in realtà nasconde interrelazioni fortissime e fortissime dipendenze.
C'è poi chi dice, come ricordato ancora da Gaggi, che in fondo le banche hanno fatto il loro mestiere, esattamente come il leone quando attacca la preda (una metafora forse un po' ardita per il pubblico trentino, abituato ad avere a che fare con le più rassicuranti casse rurali ndr). Resta il fatto che, anche una volta finita la crisi, le cose non torneranno come prima. Anche solo a livello psicologico, il crollo della fiducia nei meccanismi del mercato è stato ed è epocale. Dunque, che fare?

Il pubblico ministero ha chiarito subito che non era sua intenzione «sparare nel mucchio», cioè fare un processo alla finanza in quanto tale.
Per Onado - docente alla Bocconi di Milano - va processata solo una parte del mondo finanziario, quella che ha prodotto danni enormi all'economia, che ha ingannato i risparmiatori attraverso la creazione di prodotti finanziari complessi e «opachi», che i cittadini non erano in grado di valutare, che ha occultato i rischi di queste operazioni spregiudicate anche agli organi di vigilanza, provocando un'espansione senza precedenti del debito delle famiglie soprattutto nei paesi anglosassoni.
Il risultato? Ricchezze enormi prodotte a beneficio delle banche e dei manager e rischi rivelatisi poi fatali per moltissimi risparmiatori in ogni parte del mondo. Solo negli Usa la ricchezza delle famiglie, a causa della crisi, è diminuita di 9 trilioni di dollari, oltre 2 milioni di famiglie hanno perso la casa, il Pil è tornato ai livelli dei primi anni '90, chi si affaccia oggi alla pensione non potrà mai recuperare quanto ha perso. Ed ancora: 35 milioni di persone sono tornate, secondo la Banca mondiale, sotto la soglia di povertà.

Quale parte della finanza ha peccato di più?
Quella rappresentata dalle banche americane di investimento.
Seguendo Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia, l'America secondo Onado ha esportato nel mondo titoli «tossici», ed inoltre la sua «cultura dell'irresponsabilità nella gestione delle imprese».

Una delle più grandi mancanze registrate in questa crisi si è rivelata essere quella informativa. Solo nel 2006 le tante informazioni disperse in innumerevoli rivoli sui titoli subprimes sono state aggregate: ed è a partire da questo fatto che il castello di carte finanziario ha iniziato a crollare.

A fronte di questo affresco impressionante la difesa, rappresentata dal professor Zingales, docente all'Università di Chicago, aveva un compito certamente non facile.
«Dovendo fare l'avvocato del diavolo - ha esordito - comincio con il rilevare dei vizi di forma nell'arringa dell'accusa, e proseguo sottolineando come qui si chieda non una condanna politica e morale ma legale, secondo il diritto americano. Negli Usa però chi commette qualcosa di illegale va in galera per 25 anni, in Italia chi come Callisto Tanzi ha subito delle condanne è a piede libero.
«Dunque, vediamo di entrare nel merito dei capi di imputazione. Poniamo che negli Usa il governo decida di diffondere, con incentivi di vario genere, le auto da corsa fra gli adolescenti. Se molti ragazzi moriranno al volante, di chi sarà la colpa, degli autonoleggi o del governo? Analoga è stata la situazione con il mercato finanziario.
«La finanza ha una colpa morale anche molto forte per il suo operato, ma non giuridica: mancavano infatti le regole che avrebbero dovuto disciplinare il suo operato, e che spettava al Congresso americano creare queste regole.
«Non solo: i prestiti spregiudicati fatti dalle banche erano certificati anche dal mondo accademico, ad esempio dallo stesso Stiglitz citato dall'accusa.»

Venendo alle accuse specifiche, Zingales ha sostenuto fra l'altro che creare strumenti finanziari complicati non rappresenta un reato in un mondo libero, dove i cittadini possono scegliere se e cosa comprare, e che non è dimostrato l'occultamento deliberato di informazioni, al pubblico e alle autorità di controllo. Ma nemmeno i clienti delle banche erano totalmente "innocenti": molti sottovalutavano in maniera deliberata i rischi che si assumevano e puntavano a fare soldi in fretta grazie alla crescita del valore degli immobili.
«La verità - ha commentato - è che la gente ama comprare i biglietti della lotteria, ma quando non vince vuole cambiare le regole della lotteria.»

In quanto ai compensi dei manager, nessuno si scandalizza per i compensi dei calciatori, e i manager quando sbagliano pagano di tasca loro, quando fanno bene creano ricchezza per il loro paese.
«No al populismo e al giustizialismo all'italiana», ha concluso Zingales, strappando un (forse imprevisto) applauso al pubblico in aula.

E' stata quindi la volta dei testimoni.
A partire da quelli dell'accusa, Munchau (presente oggi in video, ma nei giorni scorsi in carne ed ossa al festival) che ha parlato delle pratiche «predatorie» utilizzate dalle banche negli Usa e in Inghilterra, e Modiano, una vita ai vertici di importanti istituti bancari, che ha ricordato fra l'altro come le banche abbiano prima venduto ma poi anche ricomprato titoli tossici, creando un «batterio micidiale» nel sistema bancario, un sistema virtualmente perfetto e molto concorrenziale.

I testimoni della difesa - due autorità in materia di «titoli complessi» - hanno a loro volta offerto una testimonianza in vide.
Brunnenmeier e Cochran hanno deposto sull'effettiva utilità dei titoli offerti alla clientela e sulla effettiva capacità degli strumenti messi a punto in questi anni di produrre ricchezza reale, di cui hanno beneficiato tanti paesi. Inoltre una spiegazione tecnica dei «titoli tossici»: crediti che le banche generano prestando soldi a chi vuole comprare una casa e che rivendono ad altri investitori, che li utilizzano magari per fare a loro volta degli altri investimenti. Il rischio viene diversificato e «spalmato» sul mondo intero, con risultati ovviamente positivi o negativi a seconda di come vanno le cose.

Infine le arringhe finali, in attesa del verdetto,che sarà reso pubblico in chiusura del festival, immediatamente a ridosso dell'ultimo appuntamento, quello con il nobel Michael Spence.

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