Cartoline di Bruno Lucchi: Tiziano Terzani e il mio Nepal
…Quella sulle pendici dell’Himalaya era la foresta di tutte le leggende….
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Nel bellissimo «Un altro giro di giostra», il libro che soprattutto nella parte finale è un'immersione nei ricordi di luoghi e di pensieri conosciuti, Terzani non racconta la fatica del salire i sentieri fatti soprattutto da gradoni, ma i dettagli, i particolari, la bellezza, ciò che resta più impresso nei ricordi.
Il freddo, il fiato corto, i muscoli delle gambe provati dal continuo saliscendi dei sentieri, si dimenticano, nella memoria rimangono solo le immagini dei paesaggi, degli incontri, dell’accoglienza, degli sguardi curiosi, degli indimenticabili sorrisi dei mille volti incrociati.
…E la foresta mantenne le sue millenarie promesse. Bastò incamminarsi. A ogni passo si animava di più, diventava più misteriosa, più sacra. Gli alberi parevano le navate di un’immensa cattedrale, il sole filtrava obliquo fra le fronde come attraverso magiche vetrate.
Presto intorno a noi non c’era più niente che ci ricordasse il nostro tempo. La sola traccia umana era il sentiero che ora saliva, ora precipitava in una forra oscura per poi salire di nuovo, sempre più su, sempre più in alto.
Gli alberi erano antichi: i lecci, barbuti di muschio e licheni che pendevano dai rami contorti; i rododendri giganti dalla corteccia di infinite sfumature di grigio, rosa e violetto; ogni pianta aveva la sua personalità, la sua storia, cicatrici di fulmini e incendi impresse nei tronchi secolari.
Quella sulle pendici dell’Himalaya era la foresta di tutte le leggende…
Così Anam, il non nome che Tiziano Terzani aveva scelto nel suo viaggio alla ricerca interiore di ritorno alle radici divine dell’uomo, racconta la salita verso la sua casa di pietra, posata alle pendici dell’Himalaya (hima è la neve, alaya la dimora, in sanscrito «dimora delle nevi»).
Con Graziella e due cari amici, dopo un primo viaggio, siamo tornati in Nepal nel 2008. Desideravamo assistere alle cerimonie del capodanno tibetano a Katmandu e dintorni.
Arrivati con qualche giorno di anticipo ci siamo goduti un trekking nell’Helambu, attraversando il Sivapuri National Park, nelle valli segrete del buddismo tibetano e dei suoi monasteri, salendo fino a quota tremilasettecento.
Una settimana con una guida e quattro sherpa, in un circuito poco frequentato dai turisti e, di conseguenza la difficoltà a trovare liberi i pochi e scarni lodge dove poter riposare. Disavventura decisamente compensata dalla gentile e generosa ospitalità tipica dei nepalesi.
Siamo sempre stati abituati a camminare in montagna e alle visioni sorprendenti che la stessa regala, ma trovarsi immersi in una vegetazione completamente differente e così particolare (come magistralmente Terzani descrive), enormi alberi di rododendro alti più di sei metri, con grandi fiori rossi, bianchi e rosa, occhi e anima ci si illuminavano di gioia.
Spettacolari le orchidee, aggrappate a rami ricoperti da barbe enormi di licheni; indimenticabili, a distanza di anni, gli incontri avuti con i bambini, donne e uomini nepalesi.
Sguardi curiosi, sorrisi luminosi, mani giunte accompagnate da un leggero inchino e il saluto: Namasté (in sanscrito significa riconoscere la sacralità sia di chi porge il saluto sia di chi lo riceve).
Scrivere il racconto del viaggio personale alla ricerca di una cura e della pace interiore nonostante la consapevolezza dell’implacabilità del male che aveva aggredito lo scrittore, è atto di generosità nei confronti di chi leggerà quel libro.
Riflessioni profonde che porterà l’autore ad accettare la propria morte serenamente.
Viaggiare era sempre stato per me un modo di vivere e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio: un viaggio involontario, non previsto, per il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più impegnativo, il più intenso.
Terzani scrive queste parole nel 2004, all’apice di una carriera da giornalista e scrittore. Lascito testamentario ad una società dove ogni singola persona è alla ricerca dell’affermazione del proprio io, del proprio nome, del proprio lavoro, del proprio successo, della propria vita, ma anche delle proprie costrizioni.
Tiziano, presentandosi in un ashram (eremo) nel sud dell’India, chiede di essere chiamato Anam: il «Senza-nome».
Lezione illuminante.
Bruno Lucchi
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