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Cent’anni fa cominciava la Quarta battaglia dell’Isonzo

Continuò fino al 5 dicembre, costò 49.500 perdite fra gli Italiani e 32.100 tra gli austroungarici, senza portare alcun risultato

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Trincea Delle Frasche San Martino del Carso - Wikipedia.

Già il 4 novembre, mentre impartiva ai comandi d’armata l’ordine di sospendere le operazioni della Terza Battaglia dell’Isonzo, il generale Luigi Cadorna annunciava la ripresa dell’attività offensiva per il 10 novembre.
Eppure le due armate schierate sull’Isonzo, la Seconda e la Terza, avevano scagliato già tre volte i loro battaglioni dissanguati contro le inaccessibili fortificazioni austriache. Non solo, le condizioni meteo annunciavano l’arrivo dell’inverno, per cui un nuovo assalto avrebbe significato solo inutili spargimenti di sangue e immani sofferenze.
Cadorna, come si legge dalle lettere da lui inviate ai suoi familiari, conosceva le condizioni dei suoi soldati e sapeva dell’inutilità degli assalti. E i suoi generali sul campo non mancavano di annotare le condizioni assurde in cui si trovavano a operare. In particolare, i soldati in prima linea si trovavano anche per più di una decina di giorni con le divise bagnate, con i piedi nel fango, con il rancio che arrivava freddo e spesso immangiabile.
Ma allora cos’è che spingeva il generalissimo a insistere così? La necessità di portare qualche risultato al Paese.
Gli interventisti si trovavano i serio imbarazzo, i pacifisti avevano esaurito da tempo le proteste, il governo Salandra era sempre più traballante.
Insomma, un’ennesima sanguinosissima battaglia voluta sostanzialmente per motivi di pubbliche relazioni.
 

 
Questa volta l’«azione risolutiva» doveva svolgersi esclusivamente nel tratto tra Oslavia e Monte Sei Busi. Ma visto che era stato disposto l’attacco generalizzato per alleggerire la pressione nemica sugli assalti principali e per mascherare il disegno strategico, ancora una volta si trovò all’attacco tutto il fronte, dal Rombon all’Adriatico.
La neve e il gelo infierivano in tutta l’aspra zona del Monte Nero, flagellata dalla tormenta, solcata dalle valanghe, sferzata dalle piene impetuose dei corsi d’acqua che travolgevano le passerelle.
Ma nonostante l’azione incontrasse difficoltà insormontabili, i fanti della Salerno riuscirono a portarsi fino alla vetta del Merzli. La conquista riuscì, ma l’artiglieria nemica obbligò il ripiegamento. L’operazione fu ripetuta più volte, ma senza risultati consolidati apprezzabili.
Stessa iniziativa venne attivata sulle balze di Santa Maria e Santa Lucia, dove i fanti dell’VIII Corpo d’armata andarono a esporsi inutilmente al fuoco delle batterie austriache annidate sulla Bainsizza. Eppure, il 1° dicembre un caposaldo nemico venne espugnato.
 

 
Sul resto del fronte, effimere conquiste venivano perse nel giro di poche ore, incalzate dai contrattacchi nemici.
La IV divisione tentò di conquistare la testa di ponte di Gorizia, attaccando Oslavia e superando il Podgora, ma trovò impossibile superare lo spaventoso costone del Sabotino. Nelle giornate del 10 e dell’11 novembre (cioè i primi due giorni) la Brigata Granatieri di Sardegna perdeva la metà degli effettivi.
Il 18 novembre le batterie italiane cominciarono a bombardare Gorizia. Non per preparare un attacco, peraltro inverosimile in quelle condizioni, ma perché gli aviatori avevano segnalato grossi concentramenti di cannoni nemici. In realtà questi si trovavano nelle alture che dominano la città.
Il 20 novembre, dopo tre giorni di assalti, i fanti italiani conquistavano le alture di Oslavia. Gli austriaci alla fine si erano dovuti ritirare lasciando le trincee «piene di cadaveri» e 459 prigionieri. Ma la conquista di queste alture sulla strada che porta a Gorizia rappresentavano un pericoloso cuneo per gli austro ungarici, che il 27 novembre decisero di riconquistarle a tutti i costi. I risultati volsero ancora una volta a favore di una o dell’altra parte.
L’11° e il 12° reggimenti della Brigata Casale raggiunsero la dorsale del Calvario e vi resistettero nonostante il fuoco delle artiglierie.
Poi le piogge divennero torrentizie e il gelo della bora bloccarono di fatto le operazioni militari.
 

 
Il 5 dicembre tutte le operazioni si conclusero.
Vi avevamo perduto 49.500 uomini, tra morti, feriti e dispersi. Nelle ultime due battaglie dell’Isonzo avevamo perduto 116.000 uomini. Per niente.
Gli austro ungarici avevano perso, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri 32.100 uomini.
Le malattie ebbero una notevole recrudescenza. Basti pensare a quanto annotava il generale Capello commentando la situazione di un ospedale da campo che accoglieva 1.400 soldati: i feriti erano 600, gli ammalati 800.
Per tutti era chiaro che ci sarebbe voluto almeno un altro anno di guerra.
 
G. de Mozzi.

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