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Cent'anni fa Caporetto: la tragedia del 28, 29 e 30 ottobre

Il drammatico passaggio del Tagliamento – La IV Armata si ritira dal Cadore e dalla Valsugana – L'esercito deve ripiegare sulla linea del Piave

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(Link alla puntata precedente)
 
Triste l’alba del 28 ottobre 1917. Mentre profughi e soldati italiani stanno continuando a ritirarsi sotto la pioggia, a Udine si respira il clima di morte generato dall’abbandono delle nostre forze armate e dal presagio che stanno arrivando i soldati nemici.
Nelle prime ore del pomeriggio Udine cade in mano nemica (nella foto di copertina le truppe austro germaniche davanti alla Loggia del Lionello). I generali tedeschi sono in testa alle loro truppe. Von Berrer, comandante del III Corpo d’Armata di Brandeburgo, muore fulminato sulla sua auto in periferia della città. Un drappello di carabinieri che si stava ritirando ha aperto il fuoco contro la vettura, senza immaginare che a bordo ci fosse niente meno che un generale.
Una tavola di Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere immortala l’unico piccolo grande successo in quel momento di sfacelo generale.
Ma sono stati abbandonati anche Gorizia e il Carso con tutti i luoghi che erano costati tanto sangue e tanti sacrifici. Nomi destinati a diventare sacri per la patria erano andati al nemico.

La tavola di A. Beltrame.

Quello stesso pomeriggio Cadorna detta il bollettino ufficiale al generale Carlo Porro.
È giungo il momento di dire agli Italiani la verità. Ma la verità non sarà certo onorata nel testo del Capo di Stato Maggiore.
«La mancata resistenza di reparti della Seconda Armata – si legge nel documento – vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti a impedire all’avversario di penetrare sul sacro suolo della patria.»
Il testo del bollettino va direttamente anche alle redazioni dei giornali e le prime edizioni lo riporteranno così. Troppo tardi al Ministro dell’Interno (che non esercitava alcun controllo preventivo e forse eravamo l’unico paese a non farlo) si accorgono delle accuse infamanti ai danni della forza che rappresenta il Paese in un momento così difficile.
I giornali vengono sequestrati in edicola e il Ministero degli Esteri prega i governi alleati di impedire la diffusione della notizia.
 
Orlando prepara rapidamente una versione ufficiale nuova. Ma anche in questo caso la verità sarà lontana.
«La violenza dell’attacco e la deficiente resistenza di alcuni reparti della Seconda Armata – si legge – hanno permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sul fronte Giulio.
«Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti a impedire all’avversario di penetrare nel sacro suolo della Patria.
«La nostra linea ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini e i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti.»

Luigi Cadorna.

«Il valore dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battaglie condotte e vinte in due anni e mezzo di guerra – conclude il comunicato – dà affidamento al Comando Supremo che anche questa volta l’Esercito, al quale sono affidati l’onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il proprio dovere.»
Purtroppo è tardi per chiudere la falla così grossa aperta di Cadorna. Tutti, meno lui, capiscono di avere i giorni contati.
 
Cosa ci fosse di non veritiero nella versione di Orlando appare come un carico in un mazzo di briscola.
Che la ritirata si stesse svolgendo «secondo i piani prestabiliti», come abbiamo visto era una pietosa bugia.
Che le nostre unità lasciassero dietro di sé terra bruciata era una clamorosa menzogna. Enormi depositi erano caduti in mano al nemico.
Oltre ai 100.000 uomini e 1.000 cannoni già finiti nelle loro mani, avevamo lasciato anche 5 milioni di scatolette di carne e 700.000 di salmone, 27mila quintali di gallette, 13mila quintali di pasta, 7.200 di riso, 2.530 di caffè, 4.900 ettolitri di vino, 672mila camice, 637mila mutande, 4.300 paia di pantaloni, 823mila di calze e 320mila di scarpe.
Grazie a questo bottino insperato, il nemico riuscì ad alimentare i loro deficitari servizi e riprendere fiato.
 

Ponte sul Tagliamento crollato - Foto dell'Ufficio Storico dell'Esercito Italiano.
 
Il 20 ottobre la confusione al Tagliamento è indescrivibile.
Il passaggio all’altra sponda è caotico. Mantiene un assetto di combattimento solo il corpo speciale del generale Di Giorgio che, lo ricordiamo, era appena stato incaricato a formarlo proprio per gestire il passaggio del Tagliamento.
Tuttavia la Terza Armata del Duca D’Aosta, avendo un maggior numero di ponti riservati, compie una ritirata razionale. La sua salvezza sarà fondamentale per la battaglia d’arresto finale.
A quel punto Cadorna capisce che diventa urgente sganciare dal Cadore la IV Armata del generale Di Robilant. I due generali si incontrano in tutta fretta, ma non decidono subito, provocando un altro pericoloso ritardo. Eppure l’armata doveva abbandonare le proprie postazioni perché serviva in pianura a contrastare i reparti tedeschi che stavano arrivando da settentrione a ridosso di quella parte del nostro esercito non ancora trasferita sulla sponda destra del Tagliamento. Inoltre, se fosse restata nel Cadore, la IV armata avrebbe rischiato di restare imbottigliata.
Con un giorno di ritardo viene ordinato il ripiegamento. Con le retroguardie agganciate dal nemico, l’armata si ritira dal Tesino, dal Primiero, dalla Valsugana. Abbandonano le strutture che avevamo costruito con grande fatica, ma grazie a un ripiegamento ben strutturato, attivano azioni capaci a rallentare l’avanzata degli austro ungarici, l’armata arriva intatta nella pianura veneta e si assesta allo sbocco della Valsugana e alle postazioni del Monte Grappa.
 

 
Il giorno 30 il nemico si affaccia sulla riva sinistra del Tagliamento e converge verso sud, verso i ponti di Codroipo, dove non sono ancora terminati i passaggi del fiume. I fuggiaschi allora ripiegano ancora più verso il mare, ai passaggi di Madrisio e Latisana.
Il 31 ottobre tutta la riva sinistra del Tagliamento è controllata dagli austro-tedeschi e numerosi sbandati italiani vengono catturati.
Ora si corre il pericolo che il nemico riesca a forzare l’alto corso del Tagliamento e, con una manovra di accerchiamento, possa piombare su Pordenone e Conegliano. Si rischia che venga a saltare la linea del Piave prima ancora che vengano attivate le difese per tentare l’arresto del nemico.
Il nostro esercito deve dunque sganciarsi rapidamente dal Tagliamento e puntare sul Piave senza esitare.
Cadorna è ancora una volta esitante, ma a Roma era stato varato il nuovo governo e le cose erano destinate a cambiare in maniera significativa.

G. de Mozzi
(Continua)

Si ringrazia Wikipedia per le foto che abbiamo potuto scaricare.

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