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Alice viaggiatrice, Capitolo 3 – Sulla cresta dell'onda

Alice in Australia: come il surf le ha fatto tornare il sorriso e la consapevolezza di saper cogliere le oportunità che ci circondano – Racconto di Astrid Panizza

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Link alla puntata precedente.

  Capitolo 3: Sulla cresta dell'onda  
 
Gli anni della prima adolescenza li vissi in maniera abbastanza turbolenta. Non mi piaceva andare a scuola, ero entrata nel periodo in cui mi sentivo indipendente e volevo fare tutto di testa mia, senza sentirmi legata a qualcosa o a qualcuno.
Ero una ribelle e mi piaceva andare contro il sistema.
Dalla prima alla terza superiore andai avanti svogliatamente, senza nessuna voglia di fare, vivendo la scuola e la vita in generale senza nessuna gioia. Non mi sentivo felice in niente di tutto ciò che facessi, e non trovavo una via d'uscita da questa situazione.
 
Mi portavo appresso un peso non indifferente, il peso di chi non ha niente da perdere. Entrai in un circolo vizioso che sembrava più un ciclone che mi trascinava verso il basso, ed io, stremata e senza forze, non reagivo.
I miei genitori invece si accorsero di questo mio disagio interiore e cercarono di parlare con me, senza molto successo. Mi lasciai convincere però ad intraprendere un percorso psicologico, di cui vi risparmio i dettagli, che fu però d'aiuto e mi permise di crescere e di avere più consapevolezza del mio essere.
 
La vera svolta, il punto in cui capii che potevo risalire, fu dato da una comunicazione ricevuta a scuola, una di quelle carte distribuite senza dare spiegazione in un'anonima giornata nuvolosa. Eppure da quel giorno cominciò nella mia vita a fare capolino il sole.
Il volantino spiegava come vi fosse la concreta possibilità di partecipare ad un programma studio di un anno in una delle sedi estere proposte.
Gli Stati erano molti, dall'Inghilterra alla Grecia, dalla Francia alla Russia, ma quello che mi colpì fin dall'inizio fu uno e uno soltanto: l'Australia.
 
La Terra dei canguri era sempre stato il mio sogno, mi immaginavo in mezzo al deserto circondata dalla natura, o tra le onde dell'oceano a fare surf. Avevo deciso, volevo partire.
Ne parlai con la mia famiglia e decidemmo di comune accordo che questa era la terapia giusta per farmi aprire gli occhi sul mondo.
Finito il terzo anno scolastico e compilati i moduli per poter partire, riempii la valigia più grande che avevo e lanciato uno sguardo ai miei genitori che mi avevano accompagnata alla porta d'imbarco, girai l'angolo per cercare il gate.
Era l'inizio di una nuova vita.
 
Planando con l'aereo sopra la città di Sydney riuscii a scorgere il ponte e il teatro pittoresco costruito con vele bianche.
Ero elettrizzata ed allo stesso tempo terrorizzata. Ma ormai ero in ballo e quando si è in ballo non si può far altro che ballare.
Atterrai una tiepida mattina di inizio luglio, in pieno inverno australiano, che però inverno non sembrava affatto dato che le temperature erano quelle che in Italia arrivano normalmente a primavera inoltrata.
 
La famiglia che mi avrebbe ospitata nell'arco di tempo che avrei passato in Australia era una giovane coppia inglese trasferitasi dall'altra parte del mondo ormai da qualche anno: lei, Jane, manager industriale e lui, Scott, titolare di una galleria d'arte, con un bambino di 7 anni, James.
Mi colpirono subito la loro allegria e spensieratezza, che non mi fecero pesare il mio arrivo in casa loro e anzi resero l'impatto con la nuova realtà un momento che, se prima temevo, fu invece leggero e piacevole.
 
I grandi occhioni azzurri di James e i suoi folti capelli biondi mi colpirono subito, era un bambino molto intelligente e affettuoso e quando mi vide uscire dall'aeroporto, pur avendomi precedentemente vista solo in foto, si mise a sventolare il foglio sopra cui aveva scritto «Welcome Alice» e mi corse incontro abbracciandomi con un sorriso a trentadue denti.
La casa in cui fui accolta si trovava in un sobborgo di Sydney, vicino alla famosa «Bondi beach», spiaggia della città dove molti ragazzi si riunivano con il loro surf sottobraccio.
 
Avevo sempre sognato di poter cavalcare le onde sopra una tavola da surf. In Italia sapevo andare con lo snowboard e questa sembrava ai miei occhi la trasposizione marina alla tavola usata sulle montagne.
Espressi il mio desiderio di surfare alla famiglia e furono felici di potermi iniziare a questo nuovo sport, a una condizione in accordo con i miei genitori: i primi risultati scolastici sarebbero dovuti essere positivi.
 
Mi impegnai con tutte le forze e diedi il massimo per non fallire. Cominciarono ad arrivare i primi voti e non erano per niente male.
Ero soddisfatta, sembrava che la mia vita stesse prendendo una piega migliore.
Quando arrivò il momento di salire sulla tavola da surf non stavo più nella pelle. Non vedevo l'ora di alzarmi in piedi e scendere dalle onde come avevo visto fare mille volte in TV.
Scoprii ben presto che invece avere il controllo sulle onde non era per niente facile, non era la stessa cosa che scendere dalle piste innevate con la tavola da snowboard, era tutt'un'altra cosa.
 
Caddi molte volte nel mare, ma feci riemergere la testa sempre una volta in più, con il sorriso sulle labbra. Cominciai a prendere confidenza con l'oceano e mi creai un gruppo di amici con la tavola sottobraccio.
 Convinsi James a provare e gli insegnai i primi passi che avevo imparato pure io qualche mese prima. Lui mi guardava e rideva e rideva, una risata che porto sempre addosso anche ora, a distanza di anni.
Giunse presto la fine dell'anno e non ci potevo credere, era già arrivato il momento di fare la valigia per tornare a casa, e con me decisi di portare sottobraccio anche il surf che aveva seguito le mie cadute e i miei progressi durante quei mesi.
 
Conservo ricordi preziosi del mio anno in Australia, ho imparato da allora che non ha senso mollare se non si trova al momento una luce in fondo al tunnel.
Riconosco adesso che c'è sempre qualcosa per cui valga la pena lottare e ciò può essere accanto a noi come dall'altra parte del mondo.
Dopo quest'esperienza australiana affronto ogni imprevisto con il sorriso di James, mi dico che tutto passa e le opportunità ci sono, se si sanno cogliere, creare e sfruttare al meglio.

Astrid Panizza
(Continua)

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