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Giovani in azione: Mariele Giori – Di Astrid Panizza

Lavora in un allevamento a Desenzano «la ragazza che parla ai cavalli»

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È lei, oggi, la nostra protagonista: Mariele Giori, originaria di Rovereto, 28 anni, laureata in scienze e tecniche equine all'università di Parma e ora, per esperienza acquisita sul campo, anche ostetrica dei cavalli.

«Fin da quando avevo 15 anni ho desiderato ardentemente avere un cavallo, ma solo verso la fine delle superiori, compiute all’Istituto Agrario di San Michele, sono riuscita a coronare questo sogno.
«Certo – afferma Mariele – ci sono voluti parecchi anni per raggiungere lo scopo durante i quali, tuttavia, non ho mai abbandonato la mia idea: sembrerà ridicolo, ma per me era troppo importante per lasciar perdere!
«Titti, così si chiamava la mia cavalla, la accudivo ogni giorno, anzi più volte al giorno perché la tenevamo in un recinto vicino casa. Così l'amore per i cavalli non ha fatto altro che crescere con il tempo, quindi, finite le superiori, ho incominciato a fare qualche tirocinio o semplicemente ad aiutare in qualche piccolo ranch dei dintorni.
«A quel punto, la Facoltà di scienze e tecniche equine presso l’Università di Parma - unica in Italia specializzata nello studio dei cavalli - mi sembrava la via più scontata per rendere questo desiderio un lavoro vero, magari un impegno per la vita.
«Non è che volessi diventare veterinaria, cosa che di certo non mi sarebbe dispiaciuta, volevo fare però proprio l'uomo, o meglio la donna di scuderia, in gergo caporazza, la figura in sostanza che conosce per filo e per segno ogni singolo cavallo presente in allevamento.»
 
«Con il tempo, tuttavia, questa possibilità è andata un po' sfumando soprattutto perché grandi allevamenti in Italia non ce ne sono più, vuoi per la crisi degli ippodromi, vuoi perché è un lavoro totalizzante per chi lo fa, anzi direi che è un vero e proprio stile di vita. Devo ammettere, comunque, che quello che faccio oggi si avvicina molto a ciò che sognavo da ragazzina.
«Lavoro in un allevamento a Desenzano, vicino al lago di Garda, dove gli esemplari sono cavalli di grande prestigio, frutto di un progetto di selezione che mira all'eccellenza. Al momento ce ne sono una settantina, ma in stagione ne ho gestiti anche fino a centoventi. Li vedo nascere e li tengo sotto la mia ala protettiva (sorride soddisfatta) fino a quando hanno circa due anni.

«Devo dire, però - sottolinea Mariele - che nel mio ruolo non è facile coniugare il lavoro con la vita privata. Per farti capire, io vivo lì in allevamento 24 ore su 24, ho una mia stanzetta a lato della scuderia di modo che appena c'è una qualche necessità riesco a intervenire immediatamente.
«Il lavoro in stalla, inoltre, si coniuga con quello della ricerca. Il progetto di cui ti parlavo, che mira all'eccellenza della razza, è nella pratica una specie di fecondazione assistita. Per dirla in parole povere, ci occupiamo della produzione di ovuli estratti dai migliori esemplari di cavalle, inseminati in vitro e, dopo la giusta maturazione in laboratorio, impiantati in madri riceventi.
«Non si tratta di una pratica invasiva, né dolorosa e la cavalla che partorisce il puledro ovviamente lo riconosce come figlio anche se biologicamente non è suo. Anzi, quest'anno abbiamo avuto anche casi di puledri orfani che sono stati accettati da mamme di altri cavalli e che si sono prestate a fare da balia.»
 

 
«Mi sono laureata nel 2012 e dopo aver passato un periodo lavorando per un caseificio trentino - non esattamente il campo dove avrei voluto approdare - ho deciso di mollare tutto e riprendere l’avventura.
«La ragione principale del mio abbandono stava nel fatto che non trovavo stimoli, anche perché il lavoro che cercavo è così particolare che in Trentino non esiste offerta, e in giro per l'Italia non trovavo quello che faceva al caso mio. Quindi, messe le mie cose in valigia, ho deciso di partire per l'Australia, una terra che avevo vagheggiato sin da ragazza, meta di sogni e di sognatori, fra cui senza alcun dubbio pure la sottoscritta.
«Non c’era nessun progetto ad attendermi, solo, come si dice in questi casi, una buona dose di avventura e di grande determinazione. Avevo dei contatti di amici a Perth, nel Western Australia, che mi inizialmente mi hanno fornito supporto logistico, per lo meno fino a quando ho trovato lavoro.
«All'inizio sono stata in un allevamento familiare di pony dove gestivo un centinaio di esemplari. Dopo un mese e mezzo ho cambiato datore di lavoro e sono arrivata in un ranch dove la mia mansione era quella di portare i turisti a passeggio. Anche lì sono stata circa un mese e mezzo.
«È stato bellissimo, vivevo con una sessantina di cavalli che montavo quotidianamente in giro per le steppe, nella natura selvaggia dove i canguri sono di casa. Come in un film per davvero! O forse come in un sogno.»
 
«A quel punto, mi sono spostata verso Sydney dove per sei mesi ho lavorato all'ippodromo in qualità di manager di una delle scuderie. In Australia la cultura del cavallo da corsa è ancora molto sentita, lì è normale trovarsi la domenica a vedere le gare.
«Il mio compito era quello di preparare i cavalli per le corse il fine settimana, mentre gli altri giorni mi svegliavo sempre alle tre del mattino, si iniziavano a preparare i cavalli per i fantini e alla nove mi occupavo, invece, delle terapie mediche per i cavalli che ne avevano bisogno. Non contenta insegnavo anche a dei bambini ad andare a cavallo. Giornate molto intense, devo dire.
«In tutto, a Sidney mi sono fermata un anno e ci sarei rimasta ancora per molto se non fosse stato per il visto di soggiorno che era in scadenza. A malincuore, dunque, sono tornata in Italia per rinnovarlo, con l'idea comunque di volare di nuovo, subito dopo, nella terra dei canguri. Pensa che avevo già un nuovo e ottimo lavoro che mi aspettava.»

«Solo che una volta in Italia mi è stata fatta la proposta di sostituire una veterinaria in un allevamento a Desenzano. E la sostituzione, poi, da provvisoria si è tramutata, come vedi, in lavoro permanente.
«Pensa che la prima notte che sono arrivata qui - ed ero completamente da sola - hanno partorito due cavalle che sulla carta avevano il termine qualche giorno più tardi. È stata un'emozione grandissima e per fortuna è andato tutto bene! Ma con settanta cavalli da accudire e con continue gravidanze l'emozione non cala mai: è sempre talmente coinvolgente che c'è nell'aria un'adrenalina pazzesca e l'unica cosa a cui riesco a pensare in casi del genere è Corri!.
«Sono ben vicina eh, perché se apro la finestra della mia stanza sono già in scuderia, ma i parti delle cavalle sono così veloci che bisogna essere lì nel minor tempo possibile.»
 

 
Con questo lavoro qui a Desenzano, pensi di essere arrivata alla meta, oppure hai qualche altra idea nello zaino?
«Forse in futuro ci potrebbero essere delle opportunità anche in Trentino. Ad esempio mi è stata offerta recentemente una collaborazione da un veterinario che si occupa di cavalli, ma non è una cosa sicura, quindi diciamo che al momento non mi pongo nessun problema. Per ora ho il mio lavoro e va bene così, ma se servisse potrei anche ripartire: ho la valigia sempre pronta sotto il letto.
«Certo, mi piacerebbe tornare in Australia, o in Nuova Zelanda. Lo stile di vita che hanno in quei posti lo sento anche mio, è tutto un take it easy [tranquillo, va tutto bene - NdR].
«Mi spiego meglio: il benessere e la contentezza per noi italiani sono molto più effimeri di quanto lo siano per gli australiani, nel senso che qui da noi velocemente si produce, ma allo stesso tempo velocemente si consuma. Pure quando si ragiona di sogni e di prospettive di vita.
«In altre parole, in Australia un giovane trova sempre opportunità e stimoli nuovi, senti la gioia di vivere e di progettare la propria vita, anche in piccolo. In Italia, invece, da quando sono tornata ho percepito un malcontento generale, il non sapersi accontentare e piangersi perennemente addosso e questo proprio mi ha pesato soprattutto ai primi mesi.
«Pensavo semplicemente: Ma di cosa vi lamentate? Se non vi piace la vostra situazione fate qualcosa per cambiarla, per riuscire a raggiungere ciò che volete. Perché vi lasciate condizionare e omologare? Chi vi nega di cambiare anche le vostre abitudini?
«In Australia è così che funziona: se vuoi qualcosa la fai e basta. Per farti capire con un esempio forse banale, durante le mezze stagioni in Australia ci sono persone che si vestono con i guanti e il berretto di lana e altri che invece camminano tranquilli con le infradito e maglietta. Ma è normale, nessuno ti giudica e ognuno si sente di fare quello che vuole. Così è anche per il resto della vita.
«Ecco, ero diversa prima di partire. Sono cambiata, certo che sono cambiata, però finalmente mi sento bene, sento di avere ritrovato me stessa. Nella vita così come nel lavoro.»
 
Cosa potresti dire ai giovani che vogliono inseguire un sogno?
«Una volta ero una persona che diceva O sempre, o mai. Adesso, invece sono quella del Mai dire mai e di ciò mi stupisco ogni giorno, essere arrivata, cioè, a vedere la vita in questo modo.
«Ero una persona rigida con me stessa e la situazione non si sbloccava. Quando invece ho cominciato a lasciarmi trasportare, a non mettermi più paletti, ma a valutare ogni possibile scenario, ecco in quel momento ho visto che le opportunità alla fine mi si fiondavano addosso.
«Quindi il Mai dire mai ora è diventato il mio motto pensando al fatto che le porte non vanno mai chiuse, ma tenute sempre un po’ aperte. Provateci anche voi: chissà che non sia questo, in fondo, il segreto della felicità.»
 
Astrid Panizza – a.panizza@ladigetto.it
(Puntate precedenti)


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