Il Cammino portoghese/ 2 – Di Elena Casagrande
Dopo le due ultime tappe lungo il fiume Tago, tra immense distese di pomodori, arrivati a Santarém lasciamo il Cammino portoghese diretti a Fatima
La ciclabile nei pressi di Alhandra.
(Puntata precedente)
Nonostante la cena di ieri, a base di fave con costolette, morcilla (sanguinaccio) e riso bianco, dormiamo bene anche «no chão» (sul pavimento), complice la stanchezza. Di buonora scendiamo in fondo alla città e, finalmente, ci ritroviamo nella natura.
Sorge il sole quando entriamo a Alverca do Ribatejo: c’è chi aspetta il bus, chi è seduto dal barbiere, chi ha già comperato il pane.
Intanto il traffico aumenta e, purtroppo, dobbiamo fare strada fino a Alhandra. Lì, grazie al cielo, comincia un’altra ciclabile lungo il Tago e così, tra monumenti ai pescatori, oleandri e palme, arriviamo quasi senza accorgerci a Vila Franca de Xira, famosa per le corride.
«Che bella la Praça de Touros! – Esclamo stupita. – Non pensavo di trovarne in Portogallo.»
Anche l’antica stazione ferroviaria è caratteristica, «tappezzata» com’è di azulejos (piastrelle smaltate) blu e gialle che raccontano la vita del borgo.
Il cammino, però, è interrotto per lavori e solo dopo snervanti sterrati e un pezzo di Nazionale, raggiungiamo Castanheira e Vala do Carregado.
Purtroppo un’enorme centrale termoelettrica rovina il paesaggio.
La Praça de Touros a Vila Franca de Xira.
Il cammino portoghese ha molti tratti su asfalto e su pavé
Davanti a noi, d’un tratto, appare un signore anziano. Ha le mani nei capelli.
È disperato e quando ci mostra la sua macchina, nel fosso a bordo strada, capiamo subito il perché. Ci spiega che è scivolato lì per evitare un falco.
«La aiutiamo noi», – dice Teo.
Cominciamo a spingere l’auto e il signore sta alla guida. Con qualche sforzo riusciamo a riportare la macchina sulla carreggiata.
A me non sembra vero, eppure… ce la facciamo! Lo abbracciamo e lo salutiamo. Ha gli occhi lucidi. Proseguiamo contenti verso Vila Nova da Rainha.
Lì c’è una coda impressionante di Tir pieni di pomodori, appena raccolti. Attendono di scaricare il loro prezioso carico rosso.
Mi viene in mente l’Ode al Pomodoro di Pablo Neruda («la strada si riempì di pomodori, mezzogiorno, estate…»), ma c’è poco da declamare: ci aspettano gli ultimi 6 km e sappiamo che dovremo farli sulla Nazionale N3.
Li percorriamo sulla corsia di emergenza, attenti ai camion e alle macchine che «ci fanno il pelo» ad ogni passaggio.
In una stazione di servizio tiriamo il fiato.
«Teo, lo avevamo letto che il Cammino Portoghese sarebbe stato per lo più su asfalto o pavé!»
Lui tace.
«Per forza, stai zitto: questo cammino lo hai scelto tu», – gli ricordo!
I Tir carichi di pomodori.
Azambuja, con le case e la strada, mi ricorda alcuni paesini del New Mexico
Nel pomeriggio arriviamo nel paese di Azambuja, un piccolo centro molto caratteristico, specialmente per la piazza, ove spiccano il Municipio, la Chiesa e il Pelourinho con le sue teste zoomorfe (la colonna in pietra ove si mettevano alla gogna i malfattori).
Ci accolgono i pompieri (oggi i VVF non lo fanno quasi più, visto che l’elevato numero dei pellegrini ha portato all’apertura di ostelli e alberghetti anche nella parte "bassa" di questo cammino).
Per cena troviamo una pizzeria al secondo piano di un condominio e nessun ristorantino particolare. In ogni caso ci danno il benvenuto con delle olive e del pane e burro.
Nella notte i vigili del fuoco accompagnano un signore a dormire con noi.
Non ha l’aria ben messa e, prima di partire, gli regaliamo i biscotti della nostra colazione.
Fra 5 km, sul cammino, dovrebbe esserci il bar dell’aeroporto degli ultraleggeri, usati per fertilizzare questi campi infiniti.
Ovviamente, neanche a dirlo, è tutto chiuso. Non mi resta che sospirare davanti alla scritta: «Si vendono bibite e spuntini».
La Piazza di Azambuja con la Chiesa.
Al paesino di Reguengo c’è un baretto aperto, vicino all’argine del Tago
Sembra uno di quei villaggi lungo il Po, a parte il colore delle case, che qui è bianco e giallo. Ci voleva proprio la colazione!
Sul cammino ci affianca un vecchio camioncino pieno di meloni. Fatica a fare la salita… forse più di noi.
«Magari l’autista ce ne regala uno», – dico a Teo.
Macché. A stento ci saluta. Che voglia di melone! A Valada vedo un negozietto.
I meloni sono proprio in entrata, ammassati in un carrello della spesa. La commessa chiede quale voglio.
«Un bo melão» (un buon melone), – riesco a dire.
Ce ne vende uno gigante. È contenta perché, sottolinea, sono stati coltivati qui vicino.
Pesa un botto ed è impensabile caricarlo nello zaino. L’unica è mangiarlo subito.
Ce lo gustiamo in spiaggia, lungo il grande fiume, che scorre placidamente.
Lo guardiamo già con nostalgia, visto che fra poco, a Porto de Muge, lo lasceremo.
Solo quando ce ne andiamo arriva una colonia di ragazzini.
«In Italia, un posto del genere, sarebbe pieno di gente!» – Dice Teo.
Ha ragione.
Il bar di Reguengo.
Nella campagna del Ribatejo ad agosto si raccolgono i pomodori
C’è molta afa. I trattori fanno avanti e indietro dai campi, sollevando nuvole di polvere.
L’aria è irrespirabile e finiamo presto l’acqua. Siamo circondati da coltivazioni intensive di pomodori. In lontananza si sente il rumore dei macchinari moderni che li raccolgono e smistano.
Vicino al cammino, invece, c’è una giovane donna intenta nella raccolta manuale. È paonazza in volto. Ci sono anche il marito e i figli piccoli che giocano sotto un albero.
La salutiamo. Anche noi non dobbiamo avere un bell’aspetto. Infatti ci domanda come stiamo e se vogliamo dell’acqua.
«Bene, bene. No. Grazie! Conserva l’acqua per te. Stai lavorando», – le rispondiamo.
Lei, invece, si volta e va a prendere una bottiglietta ghiacciata nella borsa termica.
È mezzo litro e ce la sgoliamo in men che non si dica. Le auguriamo ogni bene, pieni di gratitudine.
Campi di pomodori con le frecce dei due cammini.
Come scriveva José Saramago, la città di Santarém sembra un deserto
Nella frazione di Omnias dovrebbe esserci il bar dell’aeroporto. Macché. Anche lì è tutto chiuso, società ricreativa compresa.
Siamo stanchi e proprio ora inizia la parte difficile: la salita per Santarém. Lungo l’erta, come in un miraggio, appare una fonte con tre sorgenti.
Quando sono lì lì per bere, ecco che, dalla casa di fronte, esce una signora anziana con dell’acqua fresca in bicchieri di vetro.
«Bevete questa, è migliore», – ci dice.
La ringraziamo.
«Di nulla. Lo faccio per tutti i pellegrini», – sottolinea fiera.
È l’unica persona che vediamo in centro.
Alla Casa della Misericordia timbrano la credenziale, ma non accolgono. Le chiese di Santarém non sono aperte. Il paese è deserto.
Tutto sembra chiuso, come scriveva Saramago. Passa anche la voglia di "consolarsi" ai giardini di Portas do Sol. I vigili del fuoco sono lontani e, visto che non si può visitare niente, meglio andarci subito.
I pompieri ci accettano e ci fanno accomodare nell’aula magna.
La Jgreja da Graça a Santarém.
Le frecce azzurre indicano il Cammino per Fatima
Ceniamo in un fast food vicino ai VVF dove, incredibilmente, si mangia portoghese: un ottimo caldo verde (la crema di patate con cavolo, che spopola in Lusitania) servito in una coppetta mono-uso.
A Santarém lasciamo il cammino di Santiago ed iniziamo a seguire le frecce azzurre per Fatima, il «pellegrinaggio dei pellegrinaggi» dei portoghesi.
Tra querce da sughero, campi coltivati e melocotogni arriviamo a Casais das Milhariças giusto per il pranzo, che consumiamo alla churrascaria (ristorante-grill) «A Floresta».
Ci portano vitello con pomodoro, migas (pane fritto) e insalata mista. Serve fare il pieno di energia perché vogliamo dormire a Minde e bisogna percorre 43 km circa.
Sostiamo, giusto per pochi minuti, vicino alla Chiesa di Arneiro. Da qui inizia una bella salita verso i mulini di Chã de Cima: sembra di essere in Extremadura.
I mulini di Chã de Cima.
Poco oltre, inaspettatamente, da un paesaggio color senape, abitato da quercioli, olivi e piante di agave ci ritroviamo nel verde della spiaggia fluviale del rio Alviela.
È pieno di gente che fa il bagno e c’è pure un chioschetto. Ci beviamo una tonica, una coca-cola e una bottiglia da un litro e mezzo di minerale, vista fiume, finché ci tocca ripartire.
Monsanto sembra non arrivare più, ma, almeno, ha una bella fontana, proprio sul cammino, dove possiamo rinfrescarci.
Anche Covão do Feto si fa desiderare. Dopo aver percorso un sentiero delimitato da bellissimi muri a secco, tra gli ulivi, eccola apparire bianca e fiera.
Si sale ancora, in un bosco mediterraneo, pieno di essenze profumate, fino alla forcella, da dove si vede Minde.
C’è un cartello con scritto Fatima. La discesa è pietrosa e ripida. Il paese è ancora lontano. Arriviamo per ora di cena.
La caserma dei VVF ha anche il bar che serve hamburgher «casalinghi».
La cena e il pernotto sono garantiti.
Elena Casagrande
(La terza puntata del Cammino portoghese sarà pubblicata mercoledì prossimo 14 dicembre)
La discesa verso Minde.
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