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Il cammino di Assisi – Di Elena Casagrande

Dodici giorni di marcia negli Appennini, sulle orme di San Francesco e Sant’Antonio, da Dovadola ad Assisi, seguendo il tau e le frecce verdi o tricolori

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Freccia e tau sul Cammino di Assisi.
 
 Da Dovadola, Dvêdla in romagnolo, inizia il Cammino di Assisi  
Tornati da Boadilla del Camino, dove abbiamo dovuto abbandonare anzitempo (e momentaneamente) il cammino di Santiago con la nostra piccola Giulia, a causa delle cimici dei letti dei rifugi (ma questa è un’altra storia), ci rimangono alcuni giorni di vacanza.
Teo mi propone di rimanere in Italia e di andare a piedi ad Assisi.
«Non so – gli rispondo. – È agosto. Non vorrei trovarmi imbottigliata in qualche gruppo numeroso e non trovare posto.»
«Non ti preoccupare, – mi dice. – Ho visto in internet un cammino diverso, non è quello segnato nelle guide di Terre di Mezzo Edizioni e sembra regolino il numero dei pellegrini alla partenza.»
E sia.
 
Nel pomeriggio arriviamo a Dovadola. Siamo in Romagna, nel primissimo entroterra dietro Forlì.
Ci aspetta don Alfeo.
«Siete Elena e Matteo?»
«Sì.»
«Entrate, vi do le credenziali e la guida. Qua sopra c’è l’albergo dei pellegrini. Poi visiteremo insieme la Chiesa.»
Brevemente ci spiega che dovremo prenotare i rifugi, giorno per giorno e che saremo «controllati».
«Sapete, alla riapertura del cammino, in aprile, si è perso un pellegrino. Aveva nevicato ed abbiamo dovuto far intervenire il CAI per ritrovarlo!»
Incoraggiante, penso.
 

La tomba della Beata Benedetta Bianchi Porro a Dovadola.
 
 Nell’Abbazia di San Pietro si venera la Beata Benedetta Bianchi Porro  
Don Alfeo è molto orgoglioso della «sua» Chiesa di Sant’Andrea in Badia. Riposano qui le spoglie di Benedetta Bianchi Porro, una giovane donna, affetta dalla poliomielite sin da piccola, poi da sordità, cecità e paralisi.
Morì molto giovane, da studentessa di medicina, in odore di santità. Sulla sua tomba c’è una tartaruga, simbolo della sua tenacia, passo dopo passo, nell’andare avanti mantenendo la fede, nonostante tutto.
All’epoca (il nostro cammino risale al 2015) è Venerabile, ma nel 2019 Papa Francesco la dichiarerà Beata, in virtù di un miracolo avvenuto nel 1986.
Dopo una novena a Lei dedicata, fece uscire dal coma un giovane caduto in moto e dichiarato cerebralmente morto.
È toccante vedere la "camera da letto" dove passò gli ultimi anni. Mi pervade un senso di tristezza, ma anche di speranza.
 

L’Eremo di Sant’Antonio a Montepaolo.
 
 A quanto pare non cammineremo da soli, ma con una coppia di amici  
Nel rifugio per pellegrini c’è anche un’altra coppia. Renzo, dalla Lombardia e Reidun, dalla Danimarca.
Sono amici ed inizieranno domani, come noi.
Oramai si è fatta ora di cena. Visto che abbiamo la macchina, prima di lasciarla definitivamente nel parcheggio dell’abbazia, decidiamo di andare a Castrocaro.
Alla Trattoria Bolognesi (purtroppo ora chiusa definitivamente) mi tuffo nei sapori di questa terra generosa: terrina di verdure in gelatina di pomodoro, ravioli ripieni di burrata e coniglio arrotolato.
Unica nota dolente sono le zanzare, implacabili, nonostante le candele di citronella e gli spray messi a disposizione dalla signora Melania, la proprietaria del ristorante. Lo stomaco pieno, però, mi fa sentire in pace col mondo.
«Un veloce sguardo alla cartina e torniamo a Dovadola.» – Dico a Teo.
Domani dobbiamo alzarci presto.


Il Passo del Monte Trebbio.
 
 Teo ed io partiamo sempre adagio, come veri montanari  
Al risveglio Renzo e Reidun sono già operativi. Sfoderano a terra il materassino, fanno piegamenti, flessioni, stretching.
Hanno 20 anni più di noi, hanno già fatto colazione ed ora partono, dopo la ginnastica. Matteo mi guarda sconvolto.
Noi, in confronto, sembriamo camminatori poco seri. Vabbè. Un po’ di frutta e due merendine e poi via.
Il sentiero sale subito ripido verso l’Eremo di Montepaolo.
Fu San Francesco ad inviare qui Sant’Antonio, dopo averlo incontrato ad Assisi, al Capitolo dell’Ordine. E qui iniziò la missione di Sant’Antonio in Italia: correva l’anno 1221.
Nonostante la ricostruzione dell’antico Santuario, visto che quello originario andò distrutto per una frana e nonostante gli ampliamenti susseguitisi nel tempo, al suo interno c’è ancora la grotta dove pregava il Santo. Il posto trasuda spiritualità e serenità.
Ci raccomandiamo alla Sua protezione e ripartiamo. Fuori dalla Chiesa dei bei mosaici ricordano la storia del Santo di Padova.
 

Il paesaggio nei pressi dell’Azienda Montebello.
 
 Questo cammino si può percorrere anche in bici, con qualche variante  
Camminiamo tra le colline dove si allenava in bici Marco Pantani. Dopo qualche chilometro d’asfalto arriviamo al Monte Trebbio, col suo monumento ai ciclisti e ai passi di montagna.
Da qui si gode una splendida vista sulle vallate circostanti, fino all’agriturismo di Pratello. Pausa cappuccino e poi di nuovo in marcia.
Dopo due «strappetti» in salita sbuchiamo su un viale con un capitello.
Dovremmo essere all’interno dell’Azienda Montebello, ma non la si vede subito. Finalmente, dopo un bosco ed alcuni incroci segnalati non proprio benissimo, scorgiamo un segnale per la Capannina, dove abbiamo prenotato.
La proprietaria, Silvia, che è brasiliana (e che ha vissuto in Germania) è molto accogliente. Ci fa accomodare in giardino dove possiamo pranzare al sacco.
Nel frattempo finisce di sistemare la stanza. Ha due figli, due cani (di cui uno con la malattia del lupus), 100 conigli e 100 polli, un lamponeto e le arnie per il miele. In più deve badare a noi pellegrini.
Per fortuna, poco dopo, la raggiunge Giovanni, il marito, che la aiuta per la cena.
 

L’agriturismo Capannina di Silvia e Giovanni.
 
La tavola è apparecchiata. Arriva Reidun, ma di Renzo non c’è traccia. Anche se tutti abbiamo fame cominciamo a preoccuparci.
Silvia aspetterà una mezz’ora e poi chiamerà i soccorsi.
Alle 20, finalmente, suonano alla porta. Eccolo! È lui: sudato, ma felice. Chiede di aspettarlo, perché ha bisogno di una doccia.
«Fai pure Renzo, noi intanto iniziamo,» – gli risponde la padrona di casa.
«Meno male ce l’ha fatta» – sussurro.
Tra risotto alle carote e crostini con paté di verdure, chiacchiere e risate, la serata trascorre serena.
Silvia e Giovanni raccontano della loro scelta di vita, dei sacrifici fatti per restaurare il complesso e per poter vivere a contatto con la natura.
Sono felici di condividere la loro casa con persone di ogni parte del mondo e di ogni estrazione sociale.
 

Il vulcano di Monte Busca.
 
 Sul cammino ci imbattiamo nel vulcano più piccolo del mondo  
Giovanni ci prepara la colazione, a base di caffelatte e pane con le confetture di more e fichi ed il succo di lamponi prodotti da loro.
È tutto buonissimo. Ringraziamo di cuore dell’ospitalità e lasciamo la Capannina da uno sterrato in leggera salita, sino al vulcano di Monte Busca.
Si dice sia il vulcano più piccolo del mondo, ma si tratta, in realtà, di un braciere naturale, alimentato da depositi di gas sotterranei.
Al vicino bar-albergo ci fermiamo per un caffè e finiamo per chiacchierare con una signora che è qui in villeggiatura.
È una bidella in pensione di Lugo di Romagna e mi racconta che, prima di tornare a casa, va sempre alla Capannina a comperare un coniglio e i succhi di lampone per la figlia.
«Noi veniamo proprio da lì,» – le dico.
Poco dopo riprendiamo il cammino. La strada comincia a scendere.
Nel bosco che la fiancheggia vediamo dei caprioli che si fermano a guardarci: sono bellissimi.
A Portico (dal latino porticum, luogo di mercato) timbro la credenziale al Comune (da sempre conteso tra Romagna e Toscana). Il funzionario, fiero, mi mostra il vecchio gonfalone.
 

Sul Ponte della Maestà a Portico.

 Le specialità dell’Appennino tosco-romagnolo ci rifocillano a dovere  
Si esce da Portico attraversando il Ponte della Maestà. Ci si inerpica su una vecchia mulattiera nel bosco sino al Monte Orlando. In cima la vista è magnifica.
Fa caldo e si suda molto. Per fortuna abbiamo nello zaino delle prugne e tanta acqua.
Si arriva a Premilcuore attraversando una bella foresta. Al rifugio possiamo entrare grazie ad un codice che ci dà la signora Carla, al telefono. Il tempo di una doccia ed arrivano anche Renzo e Reidun.
Scendono dall’auto rossa del cognato di Carla, che viene a riscuotere l’obolo per il pernotto.
Sono distrutti: queste salite nei boschi sono effettivamente molto dure. Noi, invece, ci facciamo un giretto in paese.
Ceniamo al ristorante-pizzeria Il Granaio. Tortelli di patate al ragù e straccetti di manzo con radicchio ci sfamano con gusto.
In centro fotografo un antico cartello stradale di divieto di transito per i carri! Non ne avevo mai visto uno.
Torniamo al rifugio passeggiando lungo il Rio Rabbi, con la borsa della spesa. Per il pranzo di domani abbiamo focaccia, finocchiona e roviggiolo (un formaggio tipico dell’Appennino tosco-romagnolo).
L’aria è frizzantina, siamo alle porte del Parco delle Foreste Casentinesi e le sensazioni sono buone.

Elena Casagrande

(La 2ª puntata del Cammino di Assisi sarà pubblicata mercoledì 5 aprile 2023)

In vetta al Monte Orlando tra i segnali dei Cammini d’Assisi e Sant’Antonio.

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Cecilia 29/03/2023
Li avete scovati proprio tutti i cammini, tu e Teo?!
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