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Storie di donne, letteratura di genere/ 340 – Di Luciana Grillo

Amélie Nothomb, «Sete» – Arrivata all’ultima pagina, si vorrebbe ritornare alla prima e leggere ancora quanta sete di amore si possa esprimere con le parole

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Titolo: Sete
Autrice: Amélie Nothomb
 
Traduttore: Isabella Mattazzi
Editore: Voland 2020
 
Pagine: 128, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
Ho già letto e recensito vari romanzi di Amélie Nothomb, ma quest’ultimo esce fuori da ogni schema, sorprende, incuriosisce…
È la storia di Gesù che, nell’ultima notte prima della crocifissione, racconta il suo vissuto, i tormenti che lo hanno accompagnato, le debolezze che ha conosciuto, le fragilità che hanno attraversato la sua breve vita.
E sempre ricorda l’arsura e la sete, da uomo in carne ed ossa: «Sono un uomo, niente di ciò che appartiene all’umano mi è estraneo».
 
A proposito dei miracoli, cita il primo, quello del vino alle nozze di Cana: «È il mio miracolo preferito. La scelta non è difficile, è l’unico miracolo che ho amato…» e si chiede perché poi i miracolati lo abbiano giudicato male: «Hanno falsato ciò che ero venuto a portare, l’amore non era più gratuito, doveva servire a qualcosa… nessuno dei miracolati ha per me la minima gratitudine, al contrario, mi rimproverano aspramente i miracoli… Dopo, ovunque andassi, avevano già predisposto tutto, sul mio cammino».
 
E, quanto a Giuda, «bisognava ricominciare ogni volta da zero… Amarlo aveva il valore di una scommessa, e proprio per questo lo amavo ancora di più».
Gesù, in questa sua ultima notte di libertà, nell’Orto degli Ulivi, parla della sua scelta di innamorarsi di Maria Maddalena («mi sono innamorato… non appena l’ho vista… di tutte le gioie che ho provato con lei, nessuna ha eguagliato la contemplazione della sua bellezza»), descrive cosa voglia dire stare «morendo di sete… La fine della fame si chiama sazietà. La fine della stanchezza si chiama riposo. La fine della sofferenza si chiama conforto. La fine della sete non ha nome… Ci si può dissetare, ma la parola dissetamento non esiste».
 
Non riesce a dormire, il Gesù condannato a morire, pensa a sua madre, ai suoi discepoli: «ho scelto Pietro come capogruppo: meno ispirato di Giovanni, meno fedele di chicchessia, ha il pregio di essere un colosso».
All’alba, vanno a prenderlo, «inizia la farsa. Mi mettono una corona di spine in testa…Mi flagellano pubblicamente… Ci sono spettatori, ma neanche troppi», Gesù si affatica, non dimentica di commentare con amara ironia ciò che gli sta accadendo, vorrebbe che la madre non lo vedesse soffrire, cade più volte, intravede il Golgota, infine gli compare davanti Maddalena: «Vedere mia madre mi aveva addolorato, vedere la mia innamorata mi commuove…» e ancora una volta in Gesù prevale la sua corporeità, a differenza di suo padre che: «non ha corpo e l’amore assoluto che Maddalena e io stiamo vivendo in questo momento scaturisce dal corpo esattamente come la musica dallo strumento. Verità così profonde non si apprendono se non avendo sete, amando e morendo: tre attività che necessitano di un corpo. Anche l’anima è indispensabile…ma non può in alcun caso bastare da sola».
 
Nothomb mi sembra implacabile, Gesù è un figlio che si chiede angosciosamente se sia vero che «...sto espiando i peccati di tutti gli uomini che mi hanno preceduto. Quand’anche fosse vero, che ne sarà allora dei peccati degli uomini che verranno?».
E ancora ritorna sulla sete, cita Giovanni 4,14: «Chi beve di quest’acqua non avrà mai più sete» e confessa: «…pure inchiodato a questa croce un bicchiere d’acqua mi farebbe davvero morire di piacere».
 
Sopraggiunge la morte, ma la voce di Gesù continua a parlarci, anche dal sepolcro; si manifesta alle persone che ama, suggerisce: «Se amate i vostri morti, abbiate tanta fiducia in loro da rispettarne il silenzio» e conclude: «Per provare la sete, occorre essere vivi. Io ho vissuto così intensamente da morire assetato».
Arrivata all’ultima pagina, vorrei ritornare alla prima e leggere ancora quanta sete di amore si possa esprimere con le parole.
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Puntate precedenti)

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