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Storie di donne, letteratura di genere/ 361 – Di Luciana Grillo

Valentina Durante: «Enne» – Una matrioska di storie che sostano sull'ambiguo crinale tra realtà e finzione, tra amore e desiderio, rimorso e volontà di controllo

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Titolo: Enne
Autrice: Valentina Durante
 
Editore: Voland 2020
Collana: Amazzoni
 
Pagine: 176, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
Questo è uno strano romanzo epistolare, costituito da lettere che l’io narrante (un uomo) scrive all’amico Enne, a cui racconta metodicamente – direi quasi ossessivamente – le sue nuove giornate, cambiate completamente dopo un lutto che lo ha colpito gravemente.
Lasciato un lavoro soddisfacente e di alto profilo, è diventato un codista, cioè una persona incaricata di spedire, per conto di altri, pacchi e lettere, di pagare bollette, di ritirare referti al CUP, di falciare l’erba e di custodire un parco all’interno del quale ha la possibilità di abitare in un piccolo alloggio ricevuto in comodato d’uso.
 
Una vita ordinata in modo paranoico, dove nulla è lasciato al caso. Lo scrivente non si vergogna di dire che vive con poco, senza famiglia, senza legami, senza frequentare persone o locali, senza leggere: «Il tetto del mio mondo intellettuale è oggi tremendamente basso, ma in compenso mi si è aperto un cielo dalla libertà sconfinata».
È libero anche di sfogliare il quotidiano del giorno prima che il padrone di casa «mi fa trovare ogni mattina sopra il bancone della reception… questo è uno dei tanti eventi che si depositano sulle mie giornate senza mai aderirvi».
 
Nelle sue lettere, sempre corredate di data e orario, compare spesso «la donna che avrei dovuto sposare».
Questa donna, in un giorno preciso - il 6 febbraio 2013 - «ha scelto di rendersi vittima, e così facendo ha trasformato me in carnefice. Ma la violenza peggiore che ho ricevuto da lei, Enne, l’atto più terribile, imperdonabile, che lei ha rivolto contro di me, è stata la sua stessa morte. Morendo… ha reso il male che avevo agito nei suoi confronti un male irredimibile… ha congelato la mia condizione di carnefice in condizione perenne… ha esercitato su di me una violenza grandissima: la violenza che sempre le vittime commettono sui loro carnefici, nel momento in cui li rendono definitivamente tali».
 
Dunque, «lui» si sente carnefice, si chiede come potrebbe non essere diverso dall’uomo di prima, cordiale e affabile: «Dovrei forse fingere di essere felice?... Io oggi non sono altro che azioni: quelle che devo eseguire e quelle che eseguo».
Ogni giornata è caratterizzata da quel suo sostare a lungo nell’ufficio postale, in attesa che il suo numero venga chiamato, osservando gli altri individui, parlando anche con qualcuno di loro, scrutando con un po’ di attenzione la donna col basco, che scriveva ma non spediva nulla, sempre seduta nello stesso posto.
 
E poi a casa, la sera, sempre gli stessi gesti, i medesimi riti: cucinare, mangiare, lavare il piatto e il bicchiere, spostare e risistemare – centimetro alla mano – dei barattoli di vetro su una mensola di ciliegio.
Sempre così, ogni sera.
La donna che avrebbe dovuto sposare ritorna nei pensieri che condivide con il destinatario delle sue lettere: amava la pittura, le piaceva Hopper che invece per lui era insopportabile, «un cronista depresso della classe media americana»; lui cercava invece di farle amare la musica, «di convincerla ad ascoltare Bach, Rameau, Tartini… detestavo l’arte, la trovavo riprovevole…».

Dopo quel maledetto 6 febbraio, nulla è più come prima, «tutto il resto non lo possedevo più… neppure il mio corpo… né la mia mente, visto che mi adoperavo per annientarmi con metodicità ogni notte», poi la curiosità per certi pacchi da spedire lo spinge ad aprire, guardare, indagare, distruggere… forse hanno a che fare con il suo passato?
E la donna col basco cosa gli fa pensare?
E le foto cosa gli rivelano?
Ai lettori e alle lettrici il compito di rispondere!

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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