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Storie di donne, letteratura di genere/ 407 – Di Luciana Grillo

Alessandra Marzola, «Gli anni diversi» – L’autrice racconta solo i primi 13 anni della sua vita ma lo fa in modo straordinario, prima da bambina e poi da adolescente

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Titolo: Gli anni diversi
Autrice: Alessandra Marzola
 
Editore: Iacobellieditore, 2021
Genere: Narrativa contemporanea
 
Pagine: 180, Brossura
Prezzo di copertina: € 14
 
Alessandra Marzola racconta i suoi primi tredici anni, trascorsi con ingenuità e leggerezza, ma anche con intensità, con attenzione verso i familiari vicini e meno vicini, verso la grande famiglia ebrea, le compagne di scuola, i giochi con i maschi nel cortile, le vacanze al mare o in montagna.
Non mancano affermazioni argute, e ancora attuali: «La zia Luciana, che aveva preso il diploma di ragioniere per essere subito indipendente, aveva un buon stipendio anche se si lamentava perché, solo per il fatto di essere donna, non sarebbe mai diventata dirigente…».
 
E quanto al Natale, Alessandra riconosce che i bambini andavano alla messa per convenienza, che «alla fine, anche se controvoglia, ci accompagnavano, per dovere, la mamma e il papà» e che in famiglia, con zii e nonni, «c’era molta confusione e nessun accordo su cosa fare nel giorno di Natale».
Sicuramente, negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, c’erano anche problemi economici da affrontare, a Natale si mangiava meglio che gli altri giorni, ma comunque «era vietato lasciare una briciola… I piatti arrivavano già pronti, con le porzioni misurate in base all’età e al sesso, e si finiva in fretta… i grandi avevano l’urgenza di andare avanti per discutere di questioni importanti, di politica soprattutto, ma anche di lavoro, di soldi, di affitti da pagare, dei clienti, delle cause, e dello sfascio dell’Italia in mano a disonesti…».
 
Alessandra sarebbe intervenuta volentieri per cambiare argomento, ma non riusciva a interrompere i dialoghi, a infilarsi «in qualche brevissima pausa tra un discorso e l’altro»; e nota che se la zia e la tata tacciono, la mamma avrebbe voluto parlare, forse protestare, far sentire insomma la sua voce ed esprimere le sue idee.
Alessandra confessa di farsi «assorbire dalle occupazioni degli altri…stare all’ombra delle donne», osserva il lavoro della Rosa, che con grande foga faceva il bucato, ciondola di qua e di là, ricorda che gli aggettivi che caratterizzavano lei e suo fratello erano «giudizioso» per Giorgio e «poverina» per lei, passa in rassegna le fotografie, rivede genitori e fratello al mare, ripensa alla prudenza con cui tastava l’acqua, racconta il cambiamento provocato dall’elezione dello zio Giorgio a senatore.
 
Una delle conseguenze più gradite fu l’arrivo di un televisore.
Il papà vuole che Alessandra – detta Mimma – frequenti una scuola media esclusivamente femminile, per seguire la tradizione delle donne di casa; nascono le prime amicizie, Anna un po’ stucchevole, Adele paziente e un tantino goffa; alla fine dell’anno, ci sono due materie da «riparare»: latino e matematica, al primo pensa il nonno, per la seconda è scelta un’insegnante.
Si decise che quell’estate Mimma sarebbe rimasta a Milano, «necessità che accettai subito volentieri per la contentezza che si pensasse a me con una certa preoccupazione e che a me sola si riservasse tempo e denaro».
 
Mimma cresce, diventa un’adolescente un po’ più sicura di sé, sperimenta la tenerezza paterna, si sente finalmente al centro dell’attenzione della mamma, supera gli esami di terza media e i test attitudinali dicono che è adatta a qualsiasi tipo di scuola, vive la morte della nonna («un grembiule nero a pois svanito nel nulla») in modo del tutto naturale, scopre la musica che proviene da «una specie di scatola grigia e bordeaux attrezzata con un braccio munito di puntina… che papà aveva appena comprato», si rende conto che lo zio Giorgio, non più eletto al Senato, lanciava improperi e bestemmie anche per un nonnulla, si appassiona alle vicende della famiglia reale inglese e comincia a collezionarne le fotografie, raccogliendo «un album di famiglia alternativo», sostenuta dalla mamma che «dell’Inghilterra diceva un gran bene. Lì sì che la monarchia era una cosa seria, non come da noi che avevamo avuto un re pagliaccio».
 
Una strana vacanza da sola, insieme con le cugine ebree poco conosciute, che avevano subito persecuzioni e campi di concentramento, un altro soggiorno presso la Luli, cugina cattolica che soggiornava in Liguria, mamma della piccola Anna che Mimma volentieri «stropicciava», fanno capire a Mimma che il suo papà è ammalato e «anche se nessuno mi parlava di lui, tutti mi guardavano, mi abbracciavano e mi accarezzavano molto più spesso del solito… come se avessi bisogno di attenzioni particolari…reagii in un modo infastidito e scostante».
L’inizio della nuova scuola e la morte del papà, il guardaroba che si arricchisce con capi rivoltati, come il cappotto di lana di cammello del papà, l’atteggiamento dolente e silenzioso della mamma fanno maturare Mimma, che riesce ad accrescere l’autostima, a ottenere l’esenzione totale delle tasse e una borsa di studio che l’accompagnerà per tutti gli anni scolastici successivi.
 
È il tempo delle feste in casa, dell’amica del cuore, del primo amore di Giorgio, dell’abbandono di Mimma per Alessandra, del comprendere che, nonostante la scomparsa del papà, «tutto, a parte lui, andava avanti come prima».
Intanto, finiscono gli anni Cinquanta, si prospetta un trasloco e la mamma spera di poter ricominciare a dare lezioni di pianoforte, torna il Natale e l’impegno di addobbare l’albero.
E per Alessandra è veramente il momento di diventare adulta.
Chi, nato negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, non si riconosce almeno un po’ in Mimma/Alessandra?

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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