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Storie di donne, letteratura di genere/ 431 – Di Luciana Grillo

Rosa Maria Grillo, «Vivere per testimoniare, testimoniare per vivere» – Un libro coinvolgente, che offre molti spunti di riflessione

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Titolo: Vivere per testimoniare, testimoniare per vivere
Autrice: Rosa Maria Grillo
 
Editore: Officine, 2022
Genere: Storia e critica
 
Pagine: 356, Brossura
Prezzo di copertina: € 28
 
È molto difficile recensire il libro di una sorella, ma sono certa di poter garantire l’imparzialità del giudizio.
Premetto sottolineando che è un testo impegnativo, che rivolge lo sguardo all’America del Sud; è molto interessante, sia perché indica la nascita di un nuovo genere letterario – la letteratura testimoniale – sia per l’ampiezza dell’orizzonte che si spalanca davanti agli occhi di chi legge.
 
«L’oggetto concreto di questo lavoro è amplificato dalla globalizzazione delle violenze di Stato contro soggetti deboli ed emarginati» scrive l’autrice che inizia spiegando che la testimonianza ha un valore politico in quanto costruttrice di storia, tanto che «nel 1571 a Siviglia fu creata la figura di Cronista Mayor delle Indie… con la parola scritta stavano contribuendo alla costruzione di un Nuovo Mondo e di una memoria condivisa».
In seguito, si è mantenuta l’abitudine di raccontare, ma dato il costo elevato dei libri, si optò per la stampa periodica, che in qualche modo favorì anche la diffusione del racconto breve.
 
Ma, pensando a tempi più vicini, possiamo senz’altro concentrare la nostra attenzione sugli avvenimenti drammatici che sconvolsero l’America latina negli anni ’70 e ’80 del secolo: il racconto di regimi dittatoriali, torture, esili, sequestri che «ha nel carcere il luogo di gestazione e il continuo punto di riferimento, ha avuto la stessa difficoltà di cercare le parole per dirlo e per andare oltre».
A quello che fu il Nuovo Mondo è dedicato questo lavoro.
 
Tra il 1971 e il 1984 inizia in Uruguay la lotta fra tupamaros e forze dello Stato; sappiamo che più di 60.000 uruguaiani sono stati «sequestrati, torturati e processati dalla giustizia militare: 6.000 sono stati i prigionieri politici di lunga degenza, 210 sono i desaparecidos, una quarantina i niños apropriados. Nel 1986 la Asamblea General approvò una legge che impediva di indagare sui delitti commessi da polizia e militari…».
Eppure per molti cittadini, in quegli anni non accadde nulla, ci fu solo silenzio, rotto poi nel 2010 dalla presidenza di José Mujica, che per 11 anni era stato considerato tupamaro, preso in ostaggio dalla dittatura.
 
Un caso curioso, emerso pochi anni fa, è quello di Jorge Néstor Troccoli, uruguayano ritornato in Italia dove, ottenuta la cittadinanza, ha vissuto libero fino al 2021: ha raccontato senza ombra di pentimento «le pratiche del terrorismo di Stato durante la dittatura: non mi sono mai pentito per quello che ho fatto… perché risponde in realtà alla circostanza del vissuto, il dolore deriva dal non aver potuto vedere la vera dimensione della circostanza, che nessuno poteva dirmi».
Anche l’Argentina ha un passato di dittatura, violenze, desaparecidos e niños apropiados; cominciano faticosamente a emergere testimonianze sofferte.
 
Arrigo Levi, giornalista e saggista, inviato in America Latina negli anni tra il 1964 e il 1980 per Il Giorno e La Stampa, scrisse articoli sul Brasile, il Cile di Allende, l’Argentina e intervistò Borges e Sàbato, si interrogò sul mistero di come «un paese che era, mezzo secolo fa, tra i più ricchi della Terra, con un territorio immenso e una ricchezza di risorse naturali illimitata, con una popolazione di alto livello culturale e civile, non ha saputo costruire una società industriale e democratica d’avanguardia».
Molti ebrei italiani fuggirono in Argentina, ma solo alcuni di loro hanno poi voluto parlarne o scriverne.
 
Grillo cita tra gli altri Vera Vigevani Jarach ed Eleonora Maria Smolensky che hanno raccolto le voci degli ebrei italiani rifugiati in Argentina per sfuggire alle leggi razziali.
Vera Vigevani ha raccontato così la sua storia:
«Mi chiamo Vera Vigevani Jarach e ho due storie: io sono un’ebrea italiana e sono arrivata in Argentina nel 1939 per le leggi razziali; mio nonno è rimasto ed è finito deportato ad Auschwitz. Non c’è tomba. Dopo molti anni, altro luogo, Argentina, altra storia: mia figlia diciottenne viene sequestrata, portata in un campo di concentramento e viene uccisa con i voli della morte. Non c’è tomba. Queste due storie indicano un destino comune e fanno di me una militante della memoria».
 
Vera testimonia che l’orrore si è ripetuto, ma che in Italia ha infine avuto giustizia perché a Roma sono stati processati alcuni dei carnefici dei desaparecidos che avevano origine e passaporto italiani, come sua figlia Franca Jarach.
La Corte d’Appello ha condannato all’ergastolo i 24 imputati e la sentenza è diventata definitiva il 9 luglio 2021.
Maria Smolensky, insieme a Diana Guelar e Beatriz Ruiz, ha continuato a pubblicare testimonianze argentine e racconta le storie dei giovani che si sono salvati con le loro famiglie fuggendo insieme dall’Argentina; con Carla Tallone e Vera Vigevani ha raccolto le testimonianze dei reduci tornati in Italia dall’Argentina e dei parenti di chi non è tornato.
Nel processo di Roma, hanno testimoniato quattro niños apropriados; ne ha scritto Federico Tulli.
 
Di Marco Bechis non si può non parlare: pur con grande fatica, ha raccontato le vicende che lo hanno riguardato in prima persona mediante le sequenze di un film, «Garage Olimpo» del 1999, che apre uno squarcio sull’orrore dei centri clandestini e dei voli della morte, mentre con il film «Hijos» ha raccontato il dramma dei «niños apropriados», bambini sottratti ai genitori, a volte partoriti nei centri di detenzione e adottati dai sequestratori/assassini.
«La solitudine del sovversivo», sua recentissima pubblicazione, è una testimonianza agghiacciante della violenza subita e rappresenta in realtà le storie e le voci di una intera generazione colpita dalla sopraffazione e dall’orrore che, dopo quaranta anni, risultano ancora «indicibili».
 
Marco aveva venti anni quando, uscendo da una scuola per maestri, fu sequestrato da tre militari. Era il 19 aprile 1977:
«Sto cadendo in un burrone e non vedo il fondo…»
Insieme ai grandi eventi storici, Marco racconta la terribile esperienza carceraria, descrive i compagni di cella e i torturatori, i dettagli della tortura, e spiega come cercava di resistere: «Penso senza controllo, senza logica… Invece qui c’è bisogno di disciplina in testa. La cosa importante è riuscire ad andare avanti, rimanere integro bilanciando l’esperienza con la circostanza forte. È un braccio di ferro e devo vincerlo per uscirne intero».
Esce dal carcere dopo il pagamento di un riscatto, ma «…non vi dimenticherò… mi sento sempre più distante dai miei compagni di prigionia, e si allarga uno squarcio dentro il mio petto. Sono libero e loro sono ancora bendati nel sotterraneo... A diecimila chilometri di altitudine sono tecnicamente libero, ma tra la pelle e l’animo c’è uno squarcio ricoperto di uno strato sottile e invisibile, pesante più del piombo, cemento che asciuga. Sono le mie prime ore da sopravvissuto in libertà e questa è la mia nuova pelle».
 
Sa che è stato salvato da un amico, ma sa anche che questo generoso amico, un industriale argentino «non ha mai denunciato alla comunità internazionale i metodi della dittatura».
E chiude il suo libro con parole forti, che non hanno bisogno di commento: «Sono sopravvissuto a migliaia di desaparecidos. Quando faccio qualcosa che mi piace… in quell’istante il mio cervello mi dirotta dall’estasi facendomi ripiombare nell’angoscia di essere vivo.
«È un’angoscia per me essere vivo… i miei compagni di scuola Miguel Angel e Adriana, Muneca e Pablo, nessuno di loro ha più vissuto, nessuno di loro ha più visto, non hanno sofferto per amore e non hanno pianto quanto me… Ma dopo tanti anni vissuti come un usurpatore, come un traditore perché sopravvissuto agli altri, finalmente sono diventato vittima.
«È successo poco tempo fa, scrivendo questo libro… Se posso continuare a esercitare la memoria nel ricostruire i minimi dettagli sonori e sensoriali, non posso prevedere cosa mi succederà quando vedrò di fronte a me, seduti ai banchi, tutti e diciassette gli imputati per crimini commessi nel Club Atlético.
«Come reagirà il mio corpo? Perché la mia mente è allenata, da anni ricostruisce, rielabora, cataloga, confronta, ma il mio corpo è indipendente dalla mia mente e potrebbe reagire per conto suo, ha una sua memoria… Come reagirà il mio corpo di fronte a chi lo ha abusato?»

Mi rendo conto che, come recensione, questa è davvero lunga, ma gli spunti di riflessione sono talmente coinvolgenti che mi è sembrato opportuno sottolinearli.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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