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Storie di donne, letteratura di genere/ 95 – Di Luciana Grillo

Loredana Licasale, «I giorni di Rina» – La giovane scrittrice, al secondo romanzo, dimostra di aver acquisito padronanza espressiva e una felice vena creativa

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Titolo: I giorni di Rina
Autrice: Licasale Loredana
 
Editore: Aletti 2015
Collana: Gli emersi narrativa
 
Pagine: 204
Prezzo di copertina: € 12
 
Questa giovane scrittrice, al secondo romanzo, dimostra di essere maturata e di aver acquisito padronanza espressiva. Conferma inoltre una felice vena creativa che le consente di presentare a noi lettori e lettrici una storia vera, ambientata in un paese del sud affacciato sul mare.
Nel romanzo, ad una prima parte descrittiva, segue una seconda movimentata e a volte frenetica, come a voler mettere a confronto la vita in un paese che dall’autunno cade in letargo con quella tentacolare delle metropoli.
 
La protagonista è Rina, una ventenne alta e magra che non ha voluto concludere un percorso di studio, ma ha preferito lavorare presso un affittacamere, in un ambiente familiare.
«L’età della gaiezza era tutta là, sulle sue gote accese, nei capelli raccolti ma ancora ribelli. Là, tra le pieghe della gonna che svolazzava come una fioritura contro le gambe lunghe e dritte, e nel suo passo naturalmente incerto per il desiderio di fare in fretta.»
La coprotagonista è Carmen, l’amica di sempre, laureata e colta, afflitta da problemi di cellulite e da rotondità che non le piacciono.
Insieme, si crogiolano al sole sugli scogli, nuotano libere, si raccontano sogni e segreti.
 
Poi, la morte della madre di Carmen segna un’improvvisa frattura: Carmen parte, chiude la sua bella casa troppo vuota e va a Londra. I contatti telefonici fra le due ragazze tengono viva la loro amicizia.
Per Rina, al lavoro si aggiunge l’amore quando incontra Franco, studente di architettura. Si ritrovano anche d’inverno, quando la casa dell’affittacamere è vuota, e si rifugiano nella stanza dell’aquila, un’aquila torva incollata sul letto, a ricordare per sempre la delusione di Antonia che, tanti anni prima, aveva invano atteso il ritorno dal Venezuela del suo promesso sposo.
 
La Licasale sa andare indietro nel tempo, descrive con tenerezza «Antonia [che] ricamava e sospirava incantata dall’attesa. Nei ricami intrecciò i suoi sogni. In ogni trama di quei canovacci infilò i suoi desideri di donna. S’immaginò il giorno delle nozze. Le sue compagne le avrebbero allestito l’altare di rose e di ginestre…»
Ma l’aquila non porta felicità neanche a Rina che, qualche tempo dopo, deve preparare la “sua” camera per una giovane turista che vi si sistema con il suo bimbo.
E Rina capisce che quella ragazza viziata e fortunata è la moglie di Franco.
Si sente tradita e umiliata, ma comprende che le umiliazioni «sono necessarie ad ammansire. Si nasce tutti puledri scalpitanti e caparbi, le umiliazioni rimediano alla rabbia e all’orgoglio, al voler sovrastare il resto del branco».
 
È questo dolore a spingerla a partire per Londra: decide di raggiungere Carmen e, tra delusioni, incomprensioni, accuse, ribellioni, Rina diventa più forte. Ad un certo punto si trasferisce in Francia con nuovi amici, rifiutando i consigli di Carmen.
Le esperienze francesi sono complesse, il rapporto con il mondo sregolato degli artisti le procura ansie e delusioni; infine un gesto di generosità l’aiuta a sostenere il suo amico Maurice e a ritornare a Londra.
Gli avvenimenti si susseguono rapidamente, Rina finalmente decide di tornare a casa, di non voler sopportare più quel «senso di inadeguatezza culturale» che l’accompagnava da quando, bambina, aveva abitato in Germania con i suoi genitori emigrati lassù.
 
Una riflessione va fatta a proposito di questi genitori semplici, che si accontentano di poco e vivono sereni, ma che non ostacolano né l’ansia di libertà della figlia, né la sua voglia di partire. E quando torna, la accolgono con amore e non le fanno domande.
Per Rina tutto sembra riprendere, quasi come prima:
«Il campanile gettava nell’aria i suoi rintocchi. Cadevano sparsi, come petali di ginestra; coprivano i tetti, bagnavano la piazzetta, arrivavano fino al faro, sull’ultimo promontorio, appena fuori dal porticciolo».
Dopo tanto vagare, finalmente Rina è serena; ha capito che «se non si prova, si cerca, si scopre, senza cacciarsi in un pantano, non si capisce che la vita anche quando trascina nel fango, poi restituisce sempre la meraviglia di una fiorita buganvillea».
 
Luciana Grillo
(Precedenti recensioni)

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