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Storie di donne, letteratura di genere/ 107 – Di Luciana Grillo

Tullia Giardina, «Schermi multipli e plurime visioni. La grande Madre. L’Italia» – Fa sorgere una grande curiosità: rivedere i film citati dall'autrice

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Titolo: Schermi multipli e plurime visioni.
            La grande Madre. L'Italia
 
Autrice: Giardina Tullia
Editore: Marsilio 2016 (collana Ricerche)
 
Pagine: 275, brossura
Prezzo di copertina: € 28,00
 
Non un romanzo, ma un interessante saggio, sostenuto dalla «Fondazione Cesare e Doris Zipelli», è la proposta di questa settimana, scritto – dopo un’attenta e rigorosa ricerca – da Tullia Giardina, studiosa di storia del cinema oltre che dottoressa di ricerca in Storia contemporanea.
Il suo interesse per il cinema l’ha portata a collaborare nel 2007 alla sceneggiatura del film «I Vicerè» e ad occuparsi del rapporto tra storia e cinema.
Questo saggio vuole dimostrare quanto il cinema abbia contribuito, fin dai primi anni del ’900, a costruire un’identità nazionale in un Paese che, riunificatosi più o meno da mezzo secolo, aveva bisogno di comprendere le diverse realtà locali e gli esiti degli avvenimenti storici che avevano portato all’Unità.
Naturalmente, la Giardina aggiunge, al contributo del cinema, anche quello della televisione che, nella seconda metà del secolo scorso, ha dato un’importante spinta anche alla diffusione di una lingua nazionale.
 
I temi storici maggiormente considerati dal cinema sono la spedizione dei Mille, la figura di Garibaldi, la «liberazione di Napoli dai Borboni» ecc. ecc., fin quando non fa capolino il Fascismo.
È allora che «il regista… sovrappone palesemente l’immagine del duce Garibaldi con quella del duce Mussolini, giungendo a prefigurare sulla scena un vero e proprio culto del Capo».
Si tratta del film «La cavalcata ardente. Passione garibaldina» del regista Carmine Gallone, «realizzato nel momento cruciale della trasformazione del Fascismo in regime, a ridosso dell’omicidio di Giacomo Matteotti» (1925): questo saggio, dunque, acquista un valore aggiunto, diventa specchio di un’epoca, quadro sociologico e ci mostra un «Garibaldi-Mussolini dall’alto di un balcone (che) bacia il tricolore, sancendo così per l’Italia la nascita di una nuova Era».
 
Dopo il film di Blasetti, «1860», girato nel 1934, che «insieme con Il Gattopardo di Visconti, all’interno del canone risorgimentale universalmente condiviso, [è] il più noto e famoso sulla spedizione dei Mille e sull’epopea garibaldina in Sicilia», l’autrice si sposta al 1942, anno di «Un garibaldino al convento» di Vittorio De Sica («Il presente storico del film è però il ventennio fascista, al quale sembra rivolgersi con i suoi strali sottili la pungente vena corrosiva degli autori del film…») per arrivare al 1952, quando Pietro Germi gira «Il brigante di Tacca del Lupo», «film frontiera, sia perché chiude un ciclo interpretativo del nostro Risorgimento sugli schermi, sia perché ne adombra per la prima volta le luci e le ombre…».
 
Il tempo sta mutando, ci avviamo verso il neorealismo, Germi si ispira all’omonimo racconto di Riccardo Bacchelli e «sceglie la forma dell’Epos per raccontare il faticoso processo storico della costruzione dello Stato nazionale italiano nel periodo post-unitario ponendo, ma solo in apparenza, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, alla maniera di molti film western all’americana».
Nel 1960 è la volta di «Viva l’Italia» di Roberto Rossellini, che ha «un’impostazione più da documentario a carattere didattico e didascalico che da film storico», girato per il centenario dell’Unità.
Dagli anni ’60, comincia a svilupparsi, anche nella cinematografia, una «interpretazione revisionistica e antiretorica del processo risorgimentale», perciò si leggono  e rileggono le opere degli scrittori meridionali, da Verga a De Roberto, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa, fino a Carlo Alianello, Anna Banti ecc., si guarda con occhi diversi al boom, all’urbanesimo, all’emigrazione da sud a nord: nascono così capolavori come «Rocco e i suoi fratelli» del 1960, «Bronte» del 1972, «Kaos» del 1984, «Noi credevamo» del 2010 che «hanno contribuito progressivamente ad incrinare la memoria unitaria e identitaria del processo risorgimentale… ad incrinarsi maggiormente è il mito garibaldino… Ad emergere con più forza, invece, una memoria cinematografica divisa, lacerata, frammentata, a volte rabbiosa e rancorosa, ma spesso dolente e riflessiva…».
 
La Giardina analizza con cura tematiche e sceneggiature, fino al film di Mario Martone «Noi credevamo», denso di storia e rabbia, di solitudine e disillusione.
Poi, l’autrice si sposta sulla produzione televisiva che, dai romanzi di fine ‘800, trae sceneggiati come «Vita di Cavour», «Napoli 1860», «La Pisana», da «Le confessioni di un italiano» di Ippolito Nievo e altri e contribuisce all’unificazione linguistica del Paese, seguendo il motto «Educare, Informare, Intrattenere».
Sicuramente, il filone storico consegue un alto gradimento e il risorgimento, non dimenticato, diventa «plurimo…raccontato da più prospettive… tenendo conto delle ragioni dei vinti… e dei vincitori… illustrato con profondo senso della misura, della pietà, dell’equilibrio formale… rappresentato… come l’autentico momento fondativo della Nazione, il tratto distintivo dell’identità nazionale…».
 
A questo punto, cosa aggiungere?
In me è nata una grande curiosità, vorrei vedere e rivedere i film di cui la Giardina ci ha parlato con estremo rigore, suggerendo anche le fonti bibliografiche e multimediali.
 
Luciana Grillo
(Precedenti recensioni)

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